sabato, dicembre 29, 2007

L'ITALIA DEI PIAGNONI

In queste ore salgono sempre più forti le proteste del tutto prevedibili sia sui risultati espressi dal Governo in carica sia sulla decisione del Consiglio dei Ministri di dar corso alle trattative per cedere (o fondere) Alitalia in Air France - Klm.
Sul primo tema, ai soliti ragli espressi in più toni dagli esponenti dei partiti di opposizione (è il loro mestiere) si sono aggiunti i reiterati tentativi del gruppo cappeggiato dal Senatore Dini tendenti a dimostrare che la maggioranza che sostiene il Governo non c'è più (al Senato).
Ebbene il Senatore Dini sostiene di aver predisposto un suo documento che indicherebbe i punti di un nuovo (?) programma sul quale vi dovrebbe essere la totale convergenza pena il ritiro del suo appoggio (per fortuna che Prodi è ostaggio delle sinistre!).
Nel contempo starebbe cercando di creare un suo gruppo parlamentare ed in tal senso (almeno 10 senatori) sarebbero in corso trattative per attrarre aderenti nei gruppi parlamentari (soprattutto di Forza Italia ) per dar maggior forza alla sua proposta.
Nel frattempo non si tira certo indietro nell'attaccare, come tanti dell'opposione, il Presidente Prodi usando termini da buon toscanaccio che nel resto d'Italia hanno un significato molto più pesante.
Cerca in buona sostanza, o dice di voler cercare, un accordo che consenta alla coalizione di maggioranza di ritrovare maggio forza, consenso ed efficacia (abbiamo perso le precedenti elezioni del 2001, rischiamo di perdere la maggioranza e richieremo di perdere pure le prossime)
ma nel contemo assesta certe picconate attendendosi che il Predisente Prodi porga l'altra guancia.
La sua posizione non è per nulla chiara agli italiani; in taluni casi sembra quasi che tra lui ed il premier ci sia qualche cosa di personale, in altri sembra invece che, non si sa bene per che recondito scopo, faccia di tutto per creare le condizioni per una caduta del Governo.
Infatti non si è capito come il Senatore Dini intenda presentare il suo programma: al Consiglio dei Ministri ? Al vertice dei partiti di maggioranza ? O al Senato contando nel voto favorevole dei senatori dell'opposizione (o sfavorevole di qualche senatore di maggioranza)?
Ed in aggiunta, nel caso lo presenti, possiamo sperare che indichi precise scelte o nonrappresenti invece semplici enunciazioni di principio ?
Sul secondo tema i ragli continuano (a proposito non sento voce da parte del Senatore Dini) ed appaiono in larghe schiere, insospettate, come coloro che tengono all'italianità, quelli che tengono ai lavoratori che potrebbero essere soggetti a riduzioni occupazionali, quelli che si interessano degli effetti economici sugli aereporti, quelli che si riferiscono alla legittimità delle decisioni prese dal Consiglii dei Ministri e dal Ministro dell'economia; a questi si aggiungono ovviamente le reazioni di chi è stato escluso.
Ebbene tutto questo puzza di bruciato da almeno un miglio !
Alitalia che è stata il nostro fiore all'occhiello non può più andare avanti così anche se tutti gli italiani lo volessero, poichè la commissione Ue ce lo proibirebbe; non resta quindi che ricercare la migliore soluzione posibile affinchè da un lato riacquisti solidità e dall'altro continui a prestare servizi di qualità a prezzi concorrenziali (oggi pur con quasi 50 milioni di passeggerri l'anno, più vola più perde ed i biglietti non sono certo leggeri) ulilizzando gli impianti aereoportuali che sono cetamente validi.
Per l'occupazione, purtroppo, già secondo i piani concordati da Alitalia e Sindacati, si prevede un alleggerimento non di poco conto (cica 1700 esuberi da attuare gradulamente).
Conseguentemente l'evenuale acquirente sapeva sin da subito quali erano i vincoli ed obiettivi che la vendita comunque presupponeva.
Questi sono i valori e gli obbiettivi in campo ed in tal senso è stata aperta la gara al mercato ed in quanto tale i pretendenti potevano apparire da qualsiasi angolo della terra per cui chi oggi sostiene l'ialianità è perlomeno in malafede perchè ciò presupporrebbe che sin dall'inizio già si sapeva chi avebbe dovuto vincere la gara.
Di competitori stranieri se ne sono visti molti, ma altrettanto velocemente si sono ritirati e se ben ricordate il Governo, questa estate, fu accusato di aver posto troppi vincoli al negoziato, quasi a voler significare che la messa in vendita era solo una mossa,ma che in realtà non aveva il coraggio per procedere alla vendita.
Resta il fatto che acquisire la compagnia di bandiera presupponeva progetti industriali credibili ed una dotazione finanziaria decisamente solida per rispettare gli interessi del paese.
Sostenere oggi che si va verso una svendita è quindi decisamente strumentale perchè a suo tempo i tentativi di matrimonio furono tentati anche con Klm che ricercava sinergie per potenziare ed apmliare il suo raggio operativo (poi si accasò con Air Frnce) sapendo perfettamente che non avrebbe, anch'essa, avuto futuro se non travalicava i confini nazionali
(ne sa qualche cosa Swiss Air,falllita, ora di proprietà di Lufthansa, mentre per Sabena è stato più facile risollevarsi grazie al traffico passeggeri con i paesi di lingua ispanica).
Per questo avvenne l'incontro con Air France la quale tentò pure l'approccio con la nostra compagnia di bandiera; oggi, visto che purtroppo di validi competitori nazionali non ce ne sono, si ripresenta l'opportunità di entrae nel primo network aereo mondiale, ma escono le "lacrime di coccodrillo" da parte di chi nel recente passato nulla ha fatto e si strappa oggi le vesti temendo che Air France possa considerare un mercato da 50 milioni di clienti come semplice provincia.
E' evidente che i motivi sono altri perchè non è ragionevole pensare che con sano masochismo la compagnia franco olandese ridimensioni questo mercato riducendo i voli intercontinentali da Malpensa solo per il gusto di razionalizzare o ricercare economie di scala che le riducano a sua volta la clientela.
Se anche così fosse esiste sempre la sana concorrenza per cui i clienti del nord italia non resteranno certamente a piedi visto che a Malpensa ci sono scali di altre compagnie per voli transcontinentali.
Conseguentemente non è assolutamente prevedibile che il traffico nei nostri aereoporti possa diminuire anzi, se le politiche dei vettori saranno attente, potrà continuare la sua crescita.
Sono quindi veramente singolari le reazioni e le perplessità anche di amministratori locali ed anche qualche ministro.
Quanto al problema occupazionale è veramente curioso che una parte sia stata bene accolta l'apertura delle trattative (Uil e piloti) mentre altri reagiscono in maniera opposta; che ci sta sotto ?
E' una questione di rappresentanza, o un mettere le mani avanti per evitare che gli accordi presi possano saltare ?
Certo è che più tempo passa e più aumenta il pericolo che il problema occupazionale si acutizzi; quindi se si tratta di contribuire ad un accordo conveniente per le maestranze, nulla da dire, ma se lo scopo invece è quello di far fallire il negoziato ecco che la cosa si potrebbe trasformare in un boomerang perchè poi nessun altro pretendente si sentirebbe tranquillo nel riprendere l' eventuale futura trattativa.
Sulla legittimità, per finire, emerge ancora una volta la strumentalità degli interventi perchè per prima cosa se la tesi che oggi si sostiene e di pura prassi (deve decidere il Parlamento) questo andava detto sin da subito, non solo oggi poichè appare del tutto funzionale al tipo di scelta fatta(se la scelta cadeva su Air One sentivamo la stessa solfa ?).
Quanto alla sostanza (caro On. Maroni) da che pulpito: quando si trattò di Telecom (il sistema fu giusto l'opposto applicato dal governo di centrosinistra) non andava bene come fu fatto , ma quando si è trattato di sistemare il bilancio dello stato con la vendita (e riaffitto) di centinaia di palazzi occupati da ministeri, enti, e strutture locali, come la mettiamo ?
Bastò una indicazione in finanziaria votata dalla vostra maggioranza e il gioco fu fatto(solo che oggi quegli stessi venditori, oggi affittuari, pagano locazioni da capogiro a tal punto che qualche ente ha pensato di ricomprarsi il palazzo dove risiedono i suoi uffici).
Quindi come sempre in italia il macchiavellismo impera e riuscire ad individuare i reali motivi che sostengono la posizione ora dell'uno ora dell'altro rischia di diventare un'impresa ciclopica.
Non resta a questo punto che stare a vedere per quel che conta sono sempre e comunque le decisioni prese e mai quelle che avremmo voluto, se potuto, eventualmente prendere, qualora noi fossimo stati al posto di chi oggi decide (nel bene e nel male)!

giovedì, dicembre 27, 2007

Lettera aperta al Senatore Lamberto Dini

email inviata il 26 dicembre 2007


""Illustre Senatore Dini,
dal suo intervento (ricordando il suo vecchio adagio:" quando la lotta si fa dura...i duri cominciano a giocare!") di oggi su La Stampa può apparire chiaro a tutti che cosa Lei ha in mente: contribuire a cambiare il quadro politico in quanto l'Italia avrebbe bisogno urgentemente di una reale politica economica che il Governo Prodi per sua presunzione non intenderebbe o non vorrebbe attuare.
Ci anticipa pure che la formula sarebbe un governo di larghe intese per fare tutto quello che l'Italia ha bisogno.
Sembrerebbe cioè che la formula migliore sia quella che Lei stesso ha attuato e condotto con maestria dopo la caduta del Governo Berlusconi nel 1994 (se non ricordo male).
Quello che non è per nulla chiaro è quanto ha fatto o non ha fatto in questi ultimi 18 mesi in quanto la sua posizione di dissenso è chiaramente emersa solo dopo la nascita del Partito Democratico ed in occasione delle votazioni di fiducia poste dal Governo in queste ultime settimane.
Lei infatti, ora, attacca a brutto muso Prodi sostenendo che avrebbe la presunzione di essere l'unico a poter governare ora, emettendo nel contempo l'assoluzione sull'operato dell' On. Berlusconi.
Questa posizione infatti non è per nulla chiara all'opinione pubblica perché sostenere, ora, che nell'aprile 2006 avremmo dovuto, senza nemmeno provarci, Lei compreso, accettare la proposta della Cdl di un governo di larghe intese finalizzato a rimettere in sesto lo stato, mi sembra assai azzardato e non tenga in minimo conto di quello che in tutto questo tempo è avvenuto sia sul piano politico che sociale (per carità: errare è umano...).
Berlusconi, da buon oppositore, ha messo sul piatto della politica di tutto e di più: Governo di Larghe intese, elezioni truccare, verifica dei voti, colpo di stato strisciante dei comunisti, pressione fiscale alle stelle, ecc. e nessuno della coalizione dell'Unione ha detto nulla, Lei compreso.
Ribadisco che Berlusconi ha fatto bene l'oppositore, ma attenzione, gridare ogni giorno alla spallate, o al colpo di stato strisciante non ha fatto bene certamente al paese: dire ogni santo giorno che Prodi è alla frutta, che sta per cadere (e questa solfa continua ogni giorno) crea delle percezioni (è di moda ora usare questo termine) nell'opinione pubblica che poi si trasforma nei sondaggi in risultati severi, ma crea anche una attesa sfibrante in tutti,( cambiamenti non se ne vedono) utile ad invelenire soltanto i rapporti.
Le ricordo anche non si governa con i se e i ma e ne nemmeno con i sondaggi (ce lo insegna la Cdl in grave svantaggio nella primavera 2006 e poi si è visto come è finita).
Quanto alla coalizione tutti sapevate che la mediazione all'interno dell'Unione sarebbe stata complessa e defatigante e che comunque qualunque fosse stato il risultato, comunque non avrebbe accontentato tutti anche per la maggioranza al Senato risicata (subito messa ulteriormente in difficoltà con il Sen De Gregorio che, forte del fatto di non avere vincoli di mandato, ha pensato di voltar gabbana) e l'opposizione avrebbe fatto il suo gioco dicendo sempre che qualsiasi soluzione non andava.
Quanto al dissenso interno alla attuale maggioranza nessuno ha avuto mai il coraggio, nemmeno Lei, per senso di responsabilità o per altro mettere il crisi l'attuale governo per cui accusare oggi Prodi di avere retto, di reggere o addirittura di aver spadroneggiato come denuncia ora Lei, mi sembra francamente scorretto politicamente.
Ora Lei si propone, (e ne ha tutto il diritto) di perseguire il progetto di Governo di Larghe intese e se questo è realmente attuabile, non penso proprio che il Prof. Prodi non ne voglia prendere atto; caso mai ho dei riveriti dubbi che questo si possa attuare proprio perché i contenuti che Lei si ripropone di attuare sono molto più distanti dalle opinioni e prospettive politiche della attuale opposizione che da quelle della restante attuale maggioranza.
Lei sostiene che la politica economica si sviluppa meglio attuando rigorose politiche di contenimento della spesa piuttosto che promettere (specchietti per le allodole) la riduzione della pressione Irpef sui redditi dei lavoratori dipendenti sino a 40 mila euro: bene, su questo voglio vedere come i partiti dell'opposizione si atteggerebbero visto che il loro cavallo di battaglia è meno spese=meno tasse (la sua strategia è invece meno spese per ridurre il debito e poi, in futuro, ridisegnare le aliquote irpef, visto che quelle Irpeg sono già al 29%)!
Sulle riforme costituzionali ed istituzionali come pensa di sviluppare l'azione di cambiamento ?
Lei è proprio convinto che in un cotanto governo, Fi in particolare, si vorrebbero modifiche che consentano effettivamente la miglior governabilità del paese, lo snellimento delle procedure di voto con doppio passaggio (la finanziaria occupa ogni anno circa 4 mesi di lavoro) o la modifica dei regolamenti parlamentari ?
Spero, come uomo accorto quale appare, abbia fatto le opportune verifiche perché le aspirazioni del Cavalier Berlusconi sembrano andare in altra direzione cosi riassumibile: " prima Prodi a casa e poi si discute!"
La sua aspirazione (di Berlusconi), del tutto legittima, è quella di ritornare in sella, ma il passato governo, anch'esso, ha preso la situazione economica per congiunturale anziché strutturale, e si è visto il risultato.
Quanto all'andamento economico del paese penso occorra far chiarezza e non giocare sui distinguo o sulle informazioni ad approssimazione successiva; gli italiani oltre che riscontrare l'andamento dell'economia sulle proprie spalle che hanno però sopportabilità riverse non hanno nessuna indicazione chiara di come vanno realmente le cose; si debbono fidare solo delle informazioni dei media, ma sfido Lei a capirci qualche cosa!
Ne vuole un esempio? L'inflazione è più bassa in Italia, ma il pil cresce meno che nel resto d'Europa; l'esport italiano, nonstante l'apprezzamento dell'euro, supera quello del Regno Unito e sopravanza di gran lunga quello spagnolo (mentre il pil pro capite spagnolo supera quello italiano); le famiglie italiane non arrivano alla terza settimana, ma basta lo sciopero degli autotrasportatori ed ecco che vuotano, per precauzione, i negozi, oppure ci informano ben che 15 milioni di italiani sono in viaggio per Natale e tre milioni passeranno le feste all'estero !!
L'ultima chicca è la tirata d'orecchie della Ue alla legge finanziaria 2007 immediatamente smentita dalla Ue stessa !
Si sono proposte liberalizzazioni di tutti i tipi, ma poi tutti si inc....no perché non deve toccare a loro, ma agli altri.
Anche ora che si sta decidendo sul destino di Alitalia ne vedremo delle belle perché ci informeranno solo dei più scontenti, non delle migliori motivazioni che sottendono alla scelta!
A chi credere quindi ?
Egregio Senatore lasci perdere quindi le assoluzioni e le condanne, ma se ha filo tessa la sua tela, con chiarezza però.
Non penso proprio che se Lei ha contributi interessanti ed importanti da proporre, i partiti della coalizione della attuale maggioranza non la stiano ad ascoltare (anche la sinistra a suo tempo non l'ha certo snobbata) ed abbia il coraggio di portarle al vertice di maggioranza il 10 di gennaio per migliorare la sua efficienza ed efficacia (chi si estrania dalla lotta...).
Non è piaciuto a molti il tono dei suoi ultimi interventi con terminologia molto simile a quella giornalmente udita da altri pulpiti, al punto che molta opinione pubblica non ha ancora capito dove vuol andare a parare !
Vedremo gli sviluppi imminenti(?) futuri.
Distinti saluti.
""

domenica, dicembre 23, 2007

ALITALIA IN DECOLLO ?

Ci risiamo !
Anche sul rilancio della compagnia di bandiera attraverso la sua completa privatizzazione cominciano i minuetti tra maggioranza ed opposizione ed anche all'interno della maggioranza per la scelta del migliore partner a cui cedere Alitalia.
La storia non ci ha ancora insegnato nulla: nella privatizzazione di Telecom infatti tutti hanno in più riprese attaccato il governo per le scelte fatte, ma non c'è nessuno che abbia sottolineato il modo in cui la compagnia telefonica sia stata acquisita.
L'acquisto è avvenuto essenzialmente utilizzando la leva finanziaria, crescente ogni volta che passava di mano; conclusioni: la redditività riusciva a malapena a rimborsare interessi e quote di debito per cui sono venue a mancare le risorse per lo sviluppo della compagnia in un mercato sempre più competitivo , se non procedendo ad un'opera di dimagrimento (attuata con la conduzione Pirelli).
Alla fine, dopo tante schermaglie a livello politico (ricordate il Caso Roversi) e tanti niet ad imprenditori venuti da molto lontano (vi rendete conto dal Messico) ecco la soluzione con Telefonica,compagnia molto più giovane,che in poco tempo ha raggiunto una capitalizzazione di borsa 2,5 volte più grande di Telecom.
Per la verità l'operazione non è ancora conclusa perchè in questa fase le banche italiane ci hanno messo una pezza subentrando ai soci che volevano fare impresa senza rischiare mezzi propri.
La tanto agognata italianità si è scolorita perchè quel che conta sono gli indici economici,finanziari e patrimoniali attorno ai quali girano gli interessi sociali (dipendenti) e commerciali (clienti) ai quali interessa la sostanza, non la proprietà (Omnitel, pur essendo il secondo gestore nazionale è passata a Vodafone senza alcuna levata di scudi).
Ed ora tutti questi giri di valzer ricominciano con Alitalia sul ui destino il ceto politico italiano (senza distinzioni di sorta) negli ultimi 15 anni non ha saputo far di meglio che dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, ma rinunciando al suo vero rilancio (come avrà fatto Airfrance che nei primi anni novanta era nella stessa situazione di Alitalia oggi, a diventare la prima compagnia a livello mondiale ?).
Si è vivacchiato per anni non proponendo e realizzando un vero piano di rilancio, preferendo accontentare un po tutti, ma non accontentando nessuno a tal punto che una delle espressioni del boom italiano si è ripiegata sempre più in se stessa sino ad arrivare, comunque alla cessione a privati a condizioni che non possono comunque soddisfarci.
La colpa è comunque nostra perchè pretenderemmo di vendere a prezzi e soluzioni folli un palazzo al quale non abbiamo mai messo mano.
Questa storia infinita della privatizzazione che si trascina da mesi ha viso fuggire (per fortuna) acquirenti che, quelli si (a parte forse Luftansa) avrebbero fatto sparire la compagnia integrandola in pocessi poco chiari e lontani.
Sono ora rimasti due competitori e deve vincere quello più forte, che da sicurezza su alcuni aspetti importanti (occupazione, marchio, scali, ecc) e che presenti un piano industriale convincente, sostenuto finanziariamente in primo luogo dalla sua forza implicita, non dalla sua capacità di ottenere credito.
Sollevare ora problemi sulla italianità sembra cosa veramente folle: andava detto prima che non si volevano acquirenti stranieri (ma non si poteva in rispetto al libero mercato).
Per l'occupazione poi si sono già concordati piani di riduzione del personale; ora riproporre il problema quando viene assicurato che verranno mantenuti gli impegni presi che cosa vuol significare ? Ripiantare la bandierina a testimonianza del proprio impegno dimenticando che se questa posizione crerà intralci i rischi occupazionali saranno ancora più ampi ?
E' vero che è importante gestire le problematiche di chi già lavora, ma un pensiero ad un futuro incremento di posti di lavoro legato al rilancio della società, chi ci pensa ?
Naturalmente un'opposizione che si rispetti deve per forza farsi sentire; ed ecco che il Presidente della Regione Lombardia monta sulla sedia, quello della Lega minaccia mobilitazione per le strade, gli altri sono sulla stessa lunghezza d'onda per influenzare il Governo che nicchia ancora perchè anche al suo interno non c'è timore di sbagliare, bensi esistono forze che tirano indietro non si sa bene per quali reali motivi.
Nn credo infatti che le posizioni espresse contro la scelta indicata, badate bene, dal Cda di Alitalia (gli amministratori hanno dato la preferenza all'offerta di Airfrance sulla quale occorre lavorare per mettere nero su bianco)da parte dei partiti siano nell'interesse del loro elettorato, ma nell'interesse del loro peso politico, nella capacità di condizionare (o mettere in difficoltà) la scena politica o la maggioranza.
Ma fin qui poco male; occorre però che le scelte si trasformino in miglioramenti per la collettività siano essi lavoratori del settore, clienti, turisti, imprenditori che utilizzano Alitalia o che servono il modo del trasporto aereo; intendo dire che se ci deve essere battaglia questa deve in modo inequivocabile portare dei miglioramenti ulteriori e non a scelte raffazzonate o sostenute finanziariamente in modo poco armonico.
Poco importa a noi tutti a chi fa capo la proprietà, ma importa invece moltissimo la qualità del servizio, i prezzi, le possibilità di volo ed in questo senso integrare Alitalia nella prima compagnia mondiale dovrebbe dare migliori garanzie rispetto a quelle che, purtoppo, solo Air One è riuscita a mettere in campo.
L'imprenditoria italiana non ha saputo, voluto o potuto impegnarsi adeguatamente in questa opportunità (forse perchè non ha adeguata esperienza nel settore o non ha capitali adeguati da investire); peccato veramente, ma nonostante l'impegno messo da Air One, è obbiettivamente migliore (perchè più solido) quello di Airfrance-Klm e se siamo onesti con noi stessi dobbiamo saper accettare la soluzione migliore, no quella più conveniente (per noi).
Speriamo che queste festività imminenti facciano rinsavire un pò tutti e che questa storia infinita
finisca con logica strettamente economica; diversamente si rischia un pateracchio che ci potrà scoppiare fra le mani fra qualche anno (proprio come è avvenuto con Telecom).

domenica, dicembre 09, 2007

EVOLUZIONI (E INVOLUZIONI) DELLA SINISTRA ITALIANA

Partendo per semplicità di analisi storica dal 18 aprile 1948 la sinistra italiana, costituita da Pci e Psi, ha patito per molti anni per una posizione politica che pur forte per ruolo politico, per iscritti e riscontri elettorali, le precludeva la possibilità, comunque, di competere per il governo del paese; le era consentito, in buona sostanza, soltanto il governo amministrativo locale, ove ne avesse la capacità politica ed elettorale per poterlo fare (regioni rosse).

Sul piano politico sia Pci che Psi erano partiti sostanzialmente classisti, ma pur rappresentando una buona fetta della classe operaia non la rappresentavano comunque totalmente poichè anche il principale partito di governo, la Dc, ne rappresentava una parte di tutto rispetto; inoltre anche altri partiti, più interclassisti, avevano riferimenti in questa grande classe che rappresentava, nel mondo economico e sociale, oltre il 70% del lavoro dipendente ed il 50% di tutto il mondo del lavoro.

Dal 1948 la sinistra italiana ha ricominciato ad accumulare consensi crescenti sino a che nel 1963 sorse il primo governo di centrosinistra, dove la Dc cominciò a governare con coalizioni alle quali partecipò soltanto il Psi; il Pci continuò il suo ruolo di opposizione pur contando su un riscontro elettorale di tutto rispetto (circa un quinto), ma escluso comunque da qualsiasi possibilità di creare alleanze che gli permettessero di alternarsi alla maggioranza di allora, che come oggi, presentava un folto gruppo di partiti.

Il balzo in avanti avvenne con la Segreteria di Enrico Berlinguer che capì la necessità di superare il concetto di partito egemone della classe operaia perché anni di lotte condotte nelle fabbriche non avevano dato adeguati riscontri: in buona sostanza il ruolo egemone del Pci era fuori discussione, ma incrementi determinanti sul piano elettorale, a livello nazionale, non se ne vedevano, ne se sarebbero potuti prevedere.

L'apertura quindi a tutto il mondo del lavoro, anche quello intellettuale (dipendente o autonomo), portò ad un incremento significativo, anzi portò sul piano politico ad una serie di aggregazioni con partiti più piccoli (Psiup) o del rientro (dal Psi) nel partito di molti ex comunisti, usciti nel 1956 con i fatti di Ungheria.

A prescindere che questo cambiamento fosse frutto del nuovo disegno politico costituito dal "compromesso storico", resta il fatto che sin dagli iscritti al Pci, si poteva riscontrare che anche impiegati, intellettuali, artisti, studenti trovavano convergenza sotto la linea politica del partito che alle europee del 1984 raggiunse i massimo storico di consensi elettorali (un terzo).

Il Pci non era più un partito di classe, di lotta e di opposizione, ma si stava trasformando in partito interclassista e con chiare aspirazioni di governo impedite soltanto dalla "convenzio ad escludendum" sostanzialmente imposta dal "patto atlantico" ed dalla divisione in blocchi decisa a Yalta da Usa, Urss e Regno Unito.

La genialità politica di Berlinguer, assecondata dal partito, anche dalle componenti più scettiche, sta proprio in questo: allargare i consensi e su questi innestare l'ideologia marxista che trovava attuazione in una politica che coinvolgesse e rispondesse alle aspettative di più classi sociali e quindi maggior peso politico per l'aggregazione così ottenuta.

Le novità politiche e sociali successive avvenute negli anni a seguire hanno imposto ulteriori evoluzioni del partito: la società economica era sempre meno statica, sempre più dinamica con le grandi fabbriche che diventavano sempre più piccole, la crescita consistente della piccola media industria, la nascita di nuove professioni, arti e mestieri, la tecnologia applicata, l'informatica per cui la società è divenuta sempre più articolata, frastagliata, con la nascita di nuovi bisogni e la morte di altri.

La divisione in blocchi del mondo è scomparsa con la liquefazione dell' Urss per cui anche nella comunità italiana avevano sempre minor peso le ideologie e sempre di più le politiche: le progressiste da un lato e quelle conservatrici dall'altro.

Ed ecco che il Pci (il Psi aveva da tempo imboccato una strada evolutiva più liberista) si prepara ad un altro cambiamento più aderente ai tempi ed accelerato dallo scandalo di "mani pulite" il quale portò alla disgregazione di molti dei partiti storici che avevano governato dal 1948.

Con la svolta della Bolognina nasce il Pds, nasce la sinistra, non più rigorosamente marxista, che si popone di aggregare tutte le componenti progressiste, tutte le classi sociali, e non più e soltanto, quella operaia a tal punto che convergo anche esponenti ed iscritti della sinistra extra parlamentare (operaisti).

Nello stesso tempo però, mentre nasce dal nulla il partito di Berlusconi (forse suggerito da quegli esponenti messi fuori gioco dallo scandalo del 1992), ecco che invece comincia la stagione delle diaspore: i nostalgici della sinistra dura e pura, con mille distinguo se ne escono per formare nuove entità partitiche.

Il percorso ideale ipotizzato nel 1970 (cioè quello che prevedeva la nascita di nuove classi sociali con il ridimensionamento implicito di quella operaia) comincia ad infrangersi perché da un lato si vuol spingere per sviluppare politiche progressiste e di sinistra che coinvolgano le necessità e le aspettative della maggioranza possibile degli italiani, mentre dall'altra, attorno a specifiche strategie emergono linee politiche collaterali (non necessariamente avverse) che cominciano a indebolire e polverizzare non solo lo schieramento di sinistra.

Nel momento storico in cui emergono nuovi soggetti politici che obbiettivamente sono sottovalutati (Fi) o riacquistano vigore e consensi partiti rimasti nell'angolo per decenni (An) ecco che la sinistra non trova di meglio che, sull'onda dei distinguo, scindersi, non essendo in grado di trovare una convergenza che consenta comunque di mantenere le varie identità (anche nel vecchio Pci esistevano le componenti).

La sinistra italiana non si guarda nemmeno intorno ( o se lo fa, lo fa con disinteresse o sufficienza): i partiti comunisti portoghese,francese e spagnolo spariscono, mentre rimontano i partiti socialisti con politiche progressiste e il partito laburista in Gran Bretagna ritorna al governo (pur mantenendo al suo interno anche le componenti trozkiste)e le nuove iniziative come quella della fondazione del Partito Democratico creano nuove scissioni: troppo spostato al centro si dice.

Ma anche qui è forse più la necessità di mantenere la stretta identità con i padri, che la volontà di sviluppare politiche, non progetti, reali ed soddisfacenti.

Parlare quindi di componente di centro nel Pd appare sempre più una scusa che un reale pericolo; nel nuovo partito oltre a quelle ex marxiste o ex comuniste ci sono le componenti cattoliche di sinistra che hanno sempre guardato con occhio benevolo quelle cattoliche comuniste del vecchio Pci; ci sono ex radicali, ex verdi per cui l'identità di sinistra del partito non rischia di essere affievolita.

Pare comunque che questa fase involutiva sia in via di superamento, non certo con il rientro nel nuovo partito dei transfughi (come avvenne durante la segreteria Berlinguer nel Pci), ma con una fase di riaggregazione tra ben quattro partiti di sinistra (il Psi fortemente ridimensionato sembra voler rimanere solitario nella coalizione dei partiti di maggioranza parlamentare).

Affermare che questo evento sia il riconoscimento, implicito, di errori commessi al momento delle diaspore sarebbe ingeneroso, ma è fuor di dubbio che non sta avvenendo per nulla quello che ha preceduto la nascita del Pd: siamo ancora alla fase della confederazione, non alla nascita di un nuovo partito che, compatto, costituisca una entità di sinistra "alternativa".

Sembrerebbe più una operazione di aggregazione in funzione di nuovi e prossimi cambiamenti della legge elettorale, più una operazione con prospettive da utilizzare ai prossimi (imminenti ?) confronti elettorali che il tentativo di verificare convergenze politiche che portino alla fusione ed alla creazione di un programma politico da mettere sul piatto della scena politica italiana.

Certamente il primo innegabile vantaggio sarebbe la semplificazione dello schieramento dei partiti progressisti, ma sono le linee politiche che si possono (tatticamente e strategicamente) realizzare che contano, e soprattutto la rispondenza sul piano elettorale (e quindi di rappresentanza) che si possono conseguire, nonchè - e non ultima - la stretta correlazione con le esigenze dei vari settori della società italiana .

I veti ideologici sono, sembra, caduti definitivamente; tutto sta ora in chi ha più filo per tessere la migliore tela dello sviluppo economico e sociale del paese.

domenica, dicembre 02, 2007

Partito Democratico e Walter Veltroni: prospettive

Il Partito Democratico comincia i suoi primi passi, guidato del segretario , e occorre quindi prestare molta attenzione su le azioni che si stanno sviluppando in questi giorni.
Concentrarsi quindi solo e soltanto sul modo in qui questo partito è nato (ed è stato nominato il suo segretario) può essere solo una analisi teorica perchè ha poca importanza se si è trattato di una "fusione fredda" o se era tutto predisposto sul nome che sarebbe uscito come segretario.
Conta molto di più analizzare invece fatti sui quali il partito potrà dimostrare o meno spessore politico e capacità di aggregazione nell'arco della coalizione di maggioranza che oggi governa il paese.
Il progetto, in gestazione da molti anni, di veder confluire nel nuovo soggetto per prima cosa il partito della Margherita e dei Democratici di Sinistra ha chiaramente indicato che questa operazione ha lo scopo di cercare di evolvere il quadro politico perchè i fatti, nella seconda Repubblica, hanno dimostrato che il sistema bipolare, che pur va mantenuto, sta mostrando i suoi limiti, sensa chiari vincitori e vinti; pertanto lo sviluppo del governo in carica - pro tempore - è a sua volta limitato ed i progetti conseguenti che son chiari in teoria, poi nella pratica arrancano e trovano minor attuazione.
Le prove "di volo" sono iniziate in questa legislatura già con i gruppi unici, di Margherita e Ds, al Senato e alla Camera e bisogna riconoscere che sono stati elemento di forte stabilità della coalizione pe cui traslare questo modello in un nuovo partito appare, quasi vasi di compensazione alle forse centrifughe che oggettivamente rendevano ancor più fragile la coalizione di maggioranza.
Walter Veltroni, in questo quadro politico, ha cominciato la sua azione che deriva o deriverebbe dal mandato ricevuto; è questo il terrreno sul quale si deve misurare affinchè il nuovo partito dia il suo apporto al quadro politico ben sapendo che il riscontro obiettivo di questa azione verrà sia dal livello di apprezzamento da parte degli altri partiti della coalizione, sia dal riscontro elettorale che sino ad oggi avverrà nella primavera 2009 alle elezioni europee.
In questo contesto le disponibilità al confronto affermate dai principali partiti dell'opposizion di centrodestra andavano verificate non lasciando nulla di intentato; nello stesso tempo questo non significa che si sia voluto tagliare fuori dal dibattito e dal confronto i partiti del centrosinistra.
Innanzitutto perchè i temi trattati sono proposte di cambiamenti elettorali, costituzionali e parlamentari (regolamenti) che in via di principio debbono coinvolgere la maggioranza del Parlamento; al riguardo poi i partiti del centrosinistra già hanno affrontato in parte questi temi predisponendo bozze di disegni di legge, mentre sugli altri hanno lasciato trapelare solo modeste considerazioni su temi sul tappeto.
In questo senso l'iniziativa di Veltroni può aprire nuovi orizzonti costringendo l'opposizione e Fi in particolare a confrontarsi su queste tematiche; nel contempo, se non si da seguito ad un dibattito complessivo anche all'interno della magioranza, vi è il rischio che questo vantaggio iniziale possa procurare divisioni al suo interno.
Nella settimana trascorsa gli incontri hanno registrato risposte in effetti disarticolate nel senso che alcune trovano una certa convergenza, menre altre sono in parziale disaccordo, altre infine molto scettiche visti i tempi ristretti che ci separano dal referendum o al fatto che circolano notizie, ma non fatti.
A completamento del quadro occorre evidenziare che Fi, o meglio Berlusconi, da un lato ha rilasciato dichiarazioni di apprezzamento, ma subito dopo, c'era da aspettarsela, insiste all' interno della sua disgregata coalizione proponendo nuovi gazebo uniti all'invito a ricoalizzarsi; inoltre, anche se con tono minore, rispolvera slogan cantati sino all'altro giorno relativi alla tenuta della maggioranza (implosione?), alla necessità di cambiare l'esecutivo con nuove elezioni (ritornello peraltro recitato anche da An, Ud e Lega), o alle maggioranze bulgare emerse dai sondaggi (che ridurrebbero a minimi insignificanti l'apprezzamento della attuale coalizione di maggioranza ed assegnerebbero apprezzamenti enormi prevalentemente a Berlusconi).
Questo atteggiamento ondivago non è certamente frutto di incertezza da parte del Cavaliere sulla straegia da seguire, ma è un percorso, molto articolato, tendente da un lato a rafforzare il partito da lui creato riassorbendo le allenze con Udc, An e Lega e dall'altro cercare di dividere il fronte opposto, vista la sua composizione assai articolata.
A questo punto conta molto la velocità da parte dei partiti della maggioranza, Pd in primis, a realizzare una covergenza su i temi progettati da Veltroni, riproponendoli a quei partiti dell'opposizione che già li stanno apprezzando (Lega, Udc ed in parte An) sfruttando quindi la divisione che in questo schieramento risulta a tutti molto marcata (molto più che in quella opposta di centrosinistra), tagliando l'erba sotto i piedi a Berlusconi costringendolo quindi a scelgliere una sola strada molti piu lineare.
Staremo a vedere

venerdì, novembre 30, 2007

Monte Paschi in rimonta

La recente acquisizione dagli spagnoli di Banca Antonveneta, ha permesso a quest banca antica di ampliare i suoi orizzonti ed incrementare il suo peso specificio nello scenario della finanza italiana.
Subito il mercato sembra non aver apprezzato l'operazione soprattutto per il prezzo e quindi il capitale impegnato, ma in effetti non ha forse attentamente esaminato le importanti sinergie che si prospettano attualizzabili nei prossimi anni.
La rete sportelli acquisita non ha infatti assolutamente alcuna sovrapposizione sulla rete esistente del Gruppo Monte e questi, inoltre, sono collocati in tutta la fascia del nord Italia, da est ad ovest, costituita dalle regioni più ricche e più effervescenti sul piano economico.
Certamente le vicissitudini di Antoveneta in questi anni, prima la Popolare di Lodi, poi l'ABAmbro e quindi il Santader hanno rallentato la crescia, anzi hanno consentito a Popolare di Vicenza e a Veneto Banca di sottrarle quote di mercato, ma il radicamento sul territorio c'è e le potenzialità, che derivano dalla stabilità del nuovo management (il piemontese Beppe Menzi passa dalla vice direzione generale del Monte a D.G. di Antonveneta) potranno velocemente essere nuovamente dispiegate.
Quel che invece emerge in parte della pubblica opinione sono invece fatti che sono più legati a risvolti squisitamente politici e di "campanile" che a fatti economici e finanziari oggettivamente determinanti.
Occorre dire che il Veneto (e meglio ancora il Triveneto) pur esprimendo una vivacità e crescita economica importante (il Pil prodotto è simile a quello della Lombardia) non ha mai saputo produrre una finanza (a parte Generali) in grado di competere con la finanza storica di Milano, Torino o Roma; le banche hanno sempre avuto una dimensione che se pur crescente, si è fermata ad un certo livello (anche ai tempi della Banca Cattolica del Veneto controllata dal Banco Ambrosiano o della CRVRVIBL confluita in Unicredit), quasi vi fosse un timore ad "allungare" il passo, o a superare l'interprovincialismo (resta forse il Banco di Verona e Novara sulla scena nazionale).
La convenienza di una allenza con la Toscana quindi dovrebbe esser ben accolta, dovrebbe esser vista con benevolenza la lieson tra due città antiche, sede fra l'altro di atei prestigiosi; invece ecco che emerge l'anima profondamente legata alla regione, cavalcata da chi sventola, come un cencio, il terrore dei "toscani rossi".
Mentre le altre banche regionali di prestigio prendono atto del fatto ed iniziano prove di dialogo, che potrebbero avere sviluppi importanti, determinanti e inaspettati non solo per la finanza, ma anche per l'ulteriore sviluppo economico della regione, ecco che invece emergono posizioni in effetti assai anacronistiche (dice il Governatore Galan: non è bello cadere in mano ai rossi toscani, ma sempre meglio dei calvinisti olandesi o dei capitalisti spagnoli dell ? Opus Dei !), che travisano la realtà.
Il Monte, ci piaccia o no, è di proprietà della comunità senese e questo spiega lo stretto legame tra banca e città, a prescindere dalle forze politiche che la governano; infatti su tre cose i senesi non saranno mai divisi, anzi uniti come un sol uomo: il Monte, il Palio e le Contrade ed al riguardo non riuscì, durante il ventennio, nemmeno il fascismo a sciogliere questo legame.
Far quindi ora leva sul monocolore politico delle amminstrazioni che dal dopoguerra amministrano Comune e Provincia è un mero esercizio dialettico per nascondere in buona sotanza il semplice disapppuno del ceto sociale ed economico del Veneto per non essere riuscito a compiere quel cambio di passo che i Toscani sono riusciti benissimo a fare da molti anni (gli uomini e donne del Monte non sono tutti toscani, ma esistono forti "etnie" di tutte le regioni).
Certamente le invasioni di campo del ceto politico e istituzionale nella conduzione della banca ci sono state e talvolta non molto piacevoli, ma questo semmai spiega perchè una banca di tale lignaggio non sia ad un livello ancor più grande di quello che ora rappresenta.
Nella sua recente storia diverse sono state le operazioni poco utili alla sua crescita che ha dovuto sopportare; ai tempi in cui il sistema bancario prevededeva procedure estremamente ferraginose per amplicare la rete sportelli era casomai il potere dei partiti di maggioranza nazionale che invadevano il campo per cui gli sviluppi della banca erano orientati verso aree geografiche meno ricche (quante piccole banche del sud Italia acquistate perchè in procinto di fallire) a scapito di aree più ricche (il Monte aprì il primo sportello a Verona nel 1963 e ci vollero 20 anni per aprire il secondo a Mestre).
La musica, pur con operazioni di acquisizione scelte autonomamente, ma oltremodo onerose (Banca del Salento), è continuata sino a pochi anni or sono (l'aquisizione di Bnl era praticamente cosa fatta - molto prima che scendesse in campo Unipol - ma i veti, politici, non economici e sociali , la impedirono) ed ora, finalmente, la capacità di far banca (comunque dimostrata in passato) si può dispiegare ed affrontare solo e soltanto le opportunità e le avversità che il mercato pone.

martedì, giugno 12, 2007

Dove va la Germania e dove va l' Italia

Vi segnalo un interessante articolo sulla Germania apparso ieri, 11.6.07, sul supplemento economico di Repubblica, Affari & Finanza.

Racconta molto bene ed in modo obiettivo cosa è avvenuto e sta avvenendo sul piano economico, sociale e politico in questo paese dalla riunificazione delle due Germanie ad oggi e quelle che sono le prospettive future di questo paese che viaggia ormai da due anni ad un ritmo di crescita importante (3%).

Trattandosi di un periodo che sta arrivando ai 4 lustri, è riduttivo attribuire i meriti ora ad una amministrazione ora all'altra susseguitesi nel tempo,tanto meno darne esclusivamente merito al nuovo governo nato lo scorso anno, perché i risultati vengono da molto lontano e sono stati costruiti pazientemente sia con il governo centrale che con il contributo dei vari Landers ed hanno fatto uscire questo paese da un punto di empasse che sembrava non riuscire a superare (la Germania è uscita dai parametri di Maastricht e rischiava di essere sanzionata).

Cosa è successo dunque: governo centrale e federale hanno progettato ed attuato un percorso di sviluppo economico che poggiasse sui punti di forza storici (meccanica, chimica, manifatture, ecc), ma innestando una stretta correlazione tra industria in senso lato e ricerca applicata sostenuta dal governo centrale o locale,al fine di raggiungere maggiori livelli di eccellenza ad alto valore aggiunto.

E' nato quindi un patto, mettendo da parte o stroncando senza tanti complimenti l'insorgere delle intuibili "furbizie", tra governo, impresa e sindacati, per concretizzare questo ambizioso progetto.

Il pensiero economico anglosassone e nord americano ha arricciato il naso sui termini di questo progetto perché migliorare efficienza ed efficacia nella produzione tradizionale veniva considerato meno utile che convertire su nuove tecnologie e nuovi comparti produttivi e finanziari (un pò come ha fatto Blair nel Regno Unito, dopo il deserto pietrificato prodotto dalla amministrazione Teacher) e poi perché la produzione delle solite cose, se pur eccellenti, sarebbero troppo legate alle esportazioni e quindi al rischio di un calo di domanda estera.

La Germania invece ha insistito nel voler fare le cose che ha sempre fatto in modo eccellente e per il rischio connesso al calo delle esportazioni ha decisamente puntato sulla crescita di stati che erano del terzo mondo (Cina, India, Brasile, Messico, Sudafrica), dopo aver lavorato non poco alla integrazione fra le due nazioni tedesche.

Occorre tener presente che la disoccupazione non è ancora del tutto scesa a livelli fisiologici, che la pressione fiscale è simile alla nostra e che il sistema pensionistico è uno dei più eccellenti e costosi (ed è per questo che si è deciso l'innalzamento dell'età pensionabile salirà a 67 anni con una progressione da sviluppare in 7 anni).

Mi si dirà: interessante, ma che c'azzecca ?

C'entra e come perché, anche se con altri percorsi, la Spagna già si sviluppa a ritmi sostenuti e la Francia, che negli ultimi anni ha sonnecchiato sotto Chirac, potrebbe riprendere la marcia con l'amministrazione Sarcozy.

Mentre l'Italia invece continua a trastullarsi con battaglie di retroguardia che avvantaggiano ora una coalizione ora l'altra, ma un vero progetto di nuovo sviluppo stenta ad uscire e crescere.

Grava effettivamente sulla economia italiana un forte debito pubblico, frutto dei nostri vizietti d'un tempo, il costo nella macchina statale è elevato, ma esiste però una ricchezza prodotta, ma sommersa, di proporzioni enormi (30% del Pil ufficiale).

Inoltre non dimentichiamo che quello italiano è fra i popoli più "risparmiosi"; infatti sappiamo perfettamente che la ricchezza degli italiani è circa 7 volte il Pil annuo.

Come un gioco delle parti però si inneggia ora alla lotta contro l'evasione fiscale, ora contro la eccessiva pressione fiscale, ora contro l'imprenditoria imbarazzante, ora contro l'eccessivo costo delle amministrazioni pubbliche, ma mai accade invece che si costruisca un percorso di sviluppo economico che tenga conto di tutte le componenti, nessuna esclusa, e su questo si innestino le contribuzioni che lavoro, capitale ed istruzione debbono essere messe in campo per concretizzarlo.

Le iniziative, quando ci sono, sono estemporanee, spezzettate, senza continuità ed è per questo che si innestano poi le lotte di cortile, i particolarismi, i distinguo che ci fanno tenere il motore acceso, senza che la macchina però si metta con decisione in moto e sviluppi il suo percorso.

In questo modo si scivola molto spesso nel paradosso: si parla di pressione fiscale eccessiva, ma chi protesta dovrebbe essere chi ha un sostituto d'imposta e non viceversa; si dice che l'impresa è il motore dell'economia si dimentica di sottolineare che i dipendenti non sono un fattore incidentale; quando si parla di evasione fiscale, non si vorrebbero gli studi di settore perché basati sulla presunzione e non sulla deduzione.

Non parliamo poi della occupazione: quando si parla di flessibilità in realtà si pensa ai rapporti di lavoro di tipo precario, non posso costituire una base per programmi e sviluppi duraturi.

Sul sistema pensionistico non si vuol intendere che le età pensionabili andranno progressivamente allungate e la conferma di questa necessità sono le pensioni vigenti, delle quali circa un terzo è sotto i mille euro (cifra che tosata dal libero mercato non può che mettere in difficoltà chi non lavora più).

Le politiche lanciate di tanto in tanto sono poi decisamente avventuristiche:

con le premesse innegabili espresse non è assolutamente possibile attuare lo slogan "più mercato meno stato" perché attuarlo significherebbe pagare si meno tasse, ma anche mettere "a rientro" il debito statale, ridurre ai minimi termini la struttura amministrativa pubblica, deregolamentare un po’ tutti i settori produttivi, dei servizi, assistenziale e previdenziale e quindi ognuno per sé....

Qui si tratta invece di progettare e sviluppare realmente un percorso virtuoso che tocchi il risparmio nella politica, nella amministrazione e finanza pubblica,nel ridimensionamento del debito (ricordo che nei primi anni 70 era un quarto dell'attuale), nella revisione strutturale dei contratti di lavoro e di quelli previdenziali e assistenziali,nello sviluppo dell'istruzione correlata alle reali necessità dell'economia, della ricerca finalizzata allo sviluppo di processo e di prodotto della impresa(forse meno studi di settore e più distretti industriali abbandonati da decenni).

Le potenzialità ci sono perché l'economia italiana, nonostante tutto cresce e dimostra di saper avere i numeri per ritornare ad emergere; quel che manca è una seria e coerente politica industriale e molta coesione economica e sociale che metta da parte gli individualismi, comprendendo quindi che le opportunità debbono essere perseguite da tutti, affinchè tutti ne tragano vantaggio.

lunedì, aprile 02, 2007

Telecom Italia

Si è manifestato in questi giorni l'interesse da parte di compagnie telefoniche americane ad acquisire il 66% del controllo della società che detiene il 18% di Telecom e Tim Italia e stanno sorgendo forti perplessità da parte del Governo in carica in quanto questa operazione porterebbe il controllo della principale compagnia telefonica mobile e fissa fuori dei nostri confini, ma soprattutto questo interesserebbe anche i principali assets, fra cui la rete telefonica.
La preoccupazione è, penso, proprio fondata in quanto, se questa operazione andasse in porto,
sarebbe come vendere una società autostradale ed insieme a questa anche la proprietà anche della rete stradale.
Certamente a suo tempo la privatizzazione di Telecom avvenne in modo assai affrettato per la necessità di ridurre velocemente il debito dello stato e poter quindi rientrare nei parametri necessari per l'entrata nell'euro; il collocamento avvenne in una unica soluzione (a differenza di altre società come Eni ed Enel che avvennero in più tranches) e si venne a creare soltanto "un nocciolino" di comando della società privatizzata.
La disponibilità della rete da parte degli altri operatori telefonici emergenti venne sancita dalla regola "dell'ultimo" miglio, per cui la fruizione degli impianti fu garantita alle società concorrenti presenti e future.
Successivamente avvenne il doppio passaggio del controllo della compagnia prima con l'acquisizione da parte di Olivetti cappeggiata da Colaninno e poi con l'acquisizione da parte di Olimpia cappeggiata da Tronchetti Provera e Benetton.
Il modo in cui questi passaggi di controllo avvennero sono, a mio modo di vedere, la causa che hanno portato nelle secche la compagnia e la conseguente scelta di passare la mano.
Infatti contrariamente alle migliaia di investitori italiani che misero mano al portafoglio, i pacchetti di controllo si appoggiarono quasi esclusivamente su provvista a debito (credito bancario ) contando sul fatto che la redditività della Telecom avrebbe consentito rapidamente la remissione del debito.
Nei vari passaggi però il pacchetto di controllo crebbe in maniera consistente ed altrettando consistente aumentò la provvista a debito che fu poi trasferita in Telecom con una serie di fusioni/incorporazioni.
Questa fu il primo passo che portò alla repressione dei valori di borsa della società, calo che è gravato indistintamente sia sul 18% di controllo che sul restante flottante in mano agli investitori che aveva acquistato con denari propri.
La realtà attuale è che nonostante la liquidazione di assets (più o meno) non strategici il debito in Telecom è pari al fatturato (si parla di oltre 30 miliardi di euro) e la redditività della azienda
non può essere destinata, tutta, alla remissione del debito, ma deve remunerare pure gli azionisti compresi (soprattutto) quelli che controllano il 18% che hanno la necessità, quantomeno, di coprire le perdite derivanti dal diminuito valore di carico del pacchetto di controllo stesso (per effetto del calo sensibile del corso del titoli in borsa).
Il peccato originale sta proprio qui: l'operazione di acquisizione di Telecom è stata attuata esclusivamente con mezzi di terzi , il debito conseguente è stato fatto gravare sulla società stessa, si sono così ridotte le capacità dell'azienda di finanziare ulteriori investimenti ed ora si prospetta , qualora il passaggio di quote Olimpia andasse in porto, una continuità nella fragilità della struttura patrimoniale della società; non penso infatti che sia interesse della nuova, eventuale, proprietà immettere ancora mezzi propri per riequilibrare la fragilità strutturale.
Un particolare interesse potrebbe essere costituito dalla possibilità di Telecom di entrare massicciamente nel settore della trasmissione televisiva, ma, accanto alle indubbie possibilità tecniche, l'incertezza normativa esistente in Italia permane ormai da tempo ed i veti incrociati sul progetto di Legge Gentiloni, non sembrano certo aprire a nuovi players che potrebbero operare nella tv via cavo Tantomeno se ne interesso la precedente Legge Gasparri).
La dimostrazione di ciò può essere anche ricondotta allo "scandalo" Rovati dell'estate scorsa; ha poca importanza sapere se il Governo sapesse o meno, stà il fatto che il progetto Rovati non era poi così peregrino: da un lato la Cassa Depositi e Prestiti acquisiva la rete telefonica (cavi, ripetirori, centrali, ecc) e dall' altra Telecom avrebbe avuto buone risorse sia per ridurre il debito sia per nuovi investimenti nella telefonia mobile e fissa ed anche nel settore televisivo.
Questo da un lato avrebbe diminuito il potere dell'attuale gruppo di controllo e dall'altro si sarebbe creato un vero e proprio terremoto politico poichè con la contenuta maggioranza di questo Governo, l'opposizione sarebbe insorta strappandosi le vesti.
Bah, tutti buoni a predicare concorrenza e competizione, ma quando queste ci toccano da vicino ecco che i distinguo si sprecano.
Stremo a vedere

domenica, aprile 01, 2007

Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare

La Legge Maroni, la cui attuazione è stata anticipata dal Governo Prodi che ha aumentato il numero dei gestori inserendo la più grande assicurazione nel comparto pensionistico costituita dall' Inps, consente oggi ai lavoratori dipendenti di scegliere dove destinare, in alternativa al passato, il salario differito; non solo e soltanto quindi verso il Tfr gestito dalle imprese, ma anche ad altri gestori (banche, Assicurazioni, Inps, ecc).
Il Governo in carica ha pure in progetto, egregio, di procedere all'accorpamento di tutti gli istituti previdenziali (esclusa per il momento l'Inail) che consentiranno, pur mantenendo gestioni separate, la costituzione di un SuperInps, con economie di scala che consentiranno risparmi di spesea in circa 2 miliardi di euro l'anno.
I risparmi, che non sono poca cosa, deriveranno da un migliore utilizzo delle risorse operative e dai risparmi derivanti dalla fusione delle rappresentanze territoriali.
Il Tfr è forse il più antico istituto contrattuale obbligatorio che, in origine, aveva lo scopo di costituire risorse per i lavoratori che non fossero più in grado di lavorare, affiancato successivamente dal sistema pensionistico che sino al 1993 era basato sul sistema retributivo (principio di sussidiarietà) e successivamente sul sistema contributivo.
Gli strumenti legislativi che regolano il diverso modo di gestire il tfr è regolato sia dalla L. 124/93 che dalla successiva 252/05 che si affiancano alle regole che continuano a regolare il Tfr, più precisamente indicate dall' Istat (nell'attualità il 75% dell'incremento dell'indice dell'andamento dei prezzi al consumo per le famiglie maggiorato di 1,5 punti %).
La formula che regola e regolerà il tfr (tasso istantaneo ad oggi ",625%) gestito dalle aziende è una soluzione squisitamente matematica (regola che verrà applicata anche ai tfr, dei dipendenti delle aziende con più di 50 dipendenti, inoptanti che coinfluiranno in Inps) che in regime di tassi relativamente bassi come l'attuale consentono una rivalutazione degli accantonamenti sostanzialmente analoga, appunto ai tassi correnti; nel caso in cui si dovessero presentare situazioni nelle quali i tassi raggiungono livelli ben superiori (come avvenuto sino alla seconda metà degli anni 90) ecco che il tasso di rivalutazione si potrebbe discostare sensibilmente dai tassi correnti (per tassi correnti mi riferisco ai rendimenti dei titoli di stato).
Sul fronte delle imprese il Tfr costituisce una fonte finanziaria per la loro attività che al momento attuale non si discosta molto dai tassi correnti, mentre nel passato la provvista finanziaria derivante dal tfr consentiva risparmi significativi rispetto ai tassi di mercato correnti.
Le leggi succitate hanno lo scopo di costentire una diversa gestione degli accantonamenti di tfr e nel caso in cui vengano scelti fondi di negoziali di categoria, o altri fondi pensione, vi è la possibilità di trasformare, alla pensione, i montante accantonato in pensione integrativa in quanto la liquidazione di tali risorse individuali è limitata, se richiesta, al 50% dei versamenti rivalutati.
Questi nuovi strumenti legislativi hanno quindi un duplice scopo: il primo di dare una maggior dinamicità ai criteri di gestione delle risorse accantonate dai lavoratori dipendenti qualora decidessero di non lasciare in gestione(con la formula matematica indicata in premessa) alle rispettive aziende il tfr e l'altro di creare delle risorse che in tutto o in parte vengano utilizzate sottoforma di pensione integrativa, aspetto non secondario in presenza di un sistema pensionistico a base contributiva ( soggetto anche alla revisione decennale dei coefficenti di trasformazione, correlati agli indici di mortalità ).
Quel che mi lascia un po perplesso però è il tipo di risultati che ci si potrebbero e dovrebbero attendere dalle gestioni "alternative"; a prescindere dalla linea di investimento che il lavoratore intenderebbe scegliere all'interno del fondo pensione, sarebbe logico attendersi rendimenti migliori della formuletta che l'Istat fa applicare sui tfr versati nelle rispettive aziende.
Da una prima indagine non sembra sia proprio così: esaminando il rendiconto 2006 di uno dei più vecchi fondi di categoria, si può riscontrare che solo la linea di investimento più "vivace" consegue risultati decisamente significativi (oltre il 4%) mentre per le altre siamo al livello del tasso Istat o addirittura a meno della metà; inoltre i rendimenti sono tutti inferiori ai rispettivi benchmarck di riferimento (ovvero la media dei rendimenti dei comparti, con analogo livello di dischio, tutti i fondi ).
La legge regola adeguatamente il comportamento dei gestori e delle strutture di controllo ed occorre tener presente che l'operato del fondo ( tramite i gestori) deve essere animato anche da principi di assoluta prudenza e che i devono essere progettati sul lungo periodo, ma occorre però dire che è del tutto lecito confrontare il rendimento del fondo in un dato periodo con la media dei tassi correnti nel periodo stesso ed attendersi risulatati più che analoghi.
Nella realtà, come detto, così non sembrerebbe, nemmeno nelle linee di investimento più aggressive ( a maggioranza azionaria) se si tiene conto che il rendimento è soltanto un quinto della crescita dell'indice di borsa italiano (mitel).
Se lo scopo quindi è stato quello di ricercare strumenti per migliorare il rendimento dei tfr occorrerà senz'altro che vi sia una revisione critica delle azioni poste in essere nel passato da parte dei fondi (e dei gestori) esistenti ed un analoga programmazione da parte di quelli nascenti perchè i lavoratori dipendenti al momento della pensione si attendono risultati sulla rivalutazione dei loro accantonamenti perolomeno analoga a quella che avrebbero conseguito se avessero gestito queste risorse in semplici titoli di stato a medio termine.
In questo ambito andrebbe pure riconsiderato il peso delle spese di gestione (che per il tfr non esistino) in quanto ci troviamo di fronte a masse consistenti di risorse il cui costo di gestione non può, se non entro certi limiti, essere percentualizzato (non possiamo tenere sullo stesso piano la commissione di gestione di un investimento da 10 mila euro e quella di un milione di euro).
Mi rendo conto di aver toccato tasti assai delicati, ma il tema è assai scottante e penso sia utile, sin da ora, approcciarsi in modo appropriato alla gestione (e ai risultati) per non trovarsi in un futuro prossimo in situazioni difficilmente sostenibili e giustificabili.
Del resto occorre tener conto che il flusso da gestire è decisamente importante (considerate che la produzione annua di nuovo tfr è circa 19 milardi di euro) e i clienti (lavoratori dipendenti) hanno tutto il diritto, pur riconoscendo il ruolo dei gestori, di pretendere la fetta maggioritaria dei risultati (rivalutazioni) attesi.