domenica, febbraio 17, 2008

LE “ELUCUBRAZIONI” DI GIULIANO FERRARA

Pur convinto che mantenere la stessa idea politica in un mondo che cambia, che si evolve, che si trasforma, possa essere una “comodità” che nessuno si può permettere, non ho compreso quali siano, realmente (non quelli dichiarate pubblicamente con pacatezza e candore) i motivi e gli obiettivi che Giuliano Ferrara ogni tanto sforna, quasi fosse un nuovo vaso di Pandora.

Certamente può lasciar sorpresi per questa “lunga marcia” chi lo ha visto attivista sin da giovincello nelle file del Pci a Torino (ed anche un po’ invidiato da molti che non avevano alle spalle una famiglia importante nella nomenclatura comunista non solo italiana), passare nel Psi craxiano e quindi, al suo disfacimento, nelle file del neonato partito di Berlusconi.

Pur ricordando che è sempre stato una mente fervida (si dice che al liceo i suoi quesiti a qualche docente facessero sorgere patemi più di quelli che venivano avanzati da qualche maoista) non penso possa spiegare questa evoluzione se non nel voler continuare ricercare un tema, una proposta, un quesito che scompagini la situazione e, necessariamente, lo mettano nuovamente sotto i riflettori.

Non condanno per principio, se è questo il caso, il protagonismo o il suo eccesso perché proporsi come protagonisti non è di per sé un grave peccato o difetto, solo nel caso in cui questo comportamento sia necessario per sviluppare e coinvolgere sulle proprie idee nuove, da porre necessariamente al servizio della comunità di cui si fa parte.

In questo senso soprattutto su La 7 mette al servizio della comunicazione e dell’informazione (anche se si comprende in poche parole come la pensa e quali sono i suoi obiettivi) questa sua estroversione, per cui anche non condividendo le sue posizioni appare utile ed interessante seguirlo.

Nell’ipotesi che si presentasse, come sembra, quale competitore per ottenere la poltrona di Sindaco di Roma, nulla da dire: sappiamo perfettamente come la pensa, sappiamo chi può rappresentare e sappiamo anche, qualora purtroppo vincesse, che la sua amministrazione non si potrà occupare del sesso degli angeli, ma di amministrare nel miglior modo possibile, nell’interesse di tutti, una metropoli che è la capitale d’Italia.

Quello che invece trovo in modo inequivocabile fuori luogo è la sua proposta di “moratoria sull’aborto” perché in questo caso non si tratta di una idea da sviluppare, complicata, ma reale, nell’interesse della comunità o di una parte di essa, nemmeno se lo facesse in nome e per conto dei bimbi mai nati.

Appare invece una elucubrazione estemporanea che, poggiando su un fenomeno che comunque socialmente ha una sua consistenza, sembra affrontare con eccessiva leggerezza un tema affrontato oltre 30 anni or sono e che ha prodotto dibattiti, anche duri e sofferti, ma anche una soluzione che a tutt’oggi appare del tutto accettabile (e certamente migliorabile come tutte le cose).

Sembrerebbe quasi volesse sollevare un polverone del quale non so dire assolutamente gli sviluppi poiché inserito in un contesto politico in cui i giochi sul tappeto sono ancor più ampi, compresi i rapporti religiosi che, solo in Italia, hanno un peso su tutta la società, politica compresa, ben più determinanti che altrove.

Inoltre il tema principale non è il miglioramento della legge 194 in vigore, ma butta il tema oltre lo steccato poiché propone la sospensione (come quella sulla pena di morte) della pratica dell’aborto, compreso ovviamente quello terapeutico !

La proposta è forte perché si sostiene implicitamente e conseguentemente che qualsiasi
concepimento non può nè deve essere interrotto, sino alla sua naturale fine, cioè la morte.

E allo stesso tempo una proposta velleitaria e nello stesso tempo speudo rivoluzionaria perché sembra voler saltare a piè pari tutte le problematiche, sociali ed operative con le quali occorre fare i conti.

Enunciare che la vita nasce al momento del concepimento, che è un momento anche d’amore fra la coppia, dice, e questo lui lo sa, una parziale verità ed appare una enorme forzatura, al pari di quelle messe in atto durante la” rivoluzione culturale” di Mao Tze Tung, quando, poiché le cinesi erano molte di più dei maschi e particolarmente prolifiche, avrebbe voluto esportarne 10 milioni negli Usa.

La questione della vita non può essere affrontata con questa superficialità con il sillogismo sulla moratoria della pena di morte: non centra proprio nulla !

Agli stati che praticano quest’ ultima non si chiede di annullare le sentenze, bensì di trasformarle in carcere a vita, più che sufficiente per punire, al giorno d’oggi, qualsiasi misfatto anche il più efferato (è un atto di civiltà, mentre l'interruzione della maternità non lo è).

Nel caso sollevato con tale “candore” da Giuliano Ferrara, non s’è capito se la proposta è per il momento, del tutto relativa al nostro paese o intendente estenderla sul resto del pianeta, perché in questo caso il velleitarismo aumenterebbe a dismisura, dovendo coinvolgere tutti gli stati, con culture, usi, costumi, tradizioni, religioni e regolamenti estremamente difformi.

Ma tornando alla questione di base, la scelta della maternità, vi è stato a suo tempo una lotta infinita su chi avesse titolo per decidere l’interruzione o la prosecuzione della maternità ed ora vorremmo introdurre una moratoria che farebbe decidere a terzi che la maternità deve comunque continuare ?

Per carità, nulla è immobile per cui tutto può essere ripreso in esame, ma alcuni principi, come quello non secondario, dei diritti (e doveri) individuali, non può essere in questo modo eliminato, sostituendolo con una entità, anch’essa giuridica che, immanente, lo sovrasti o lo annulli.

Ma tornando al tema, partendo dalla sua base, la vita, le dottrine delle principali religioni monoteiste coincidono o recepiscono quelle mediche, dove viene riconosciuto che la fase embrionale nella formazione di un essere umano termina con quella fetale (12ma, 13ma settimana) dove la formazione del corpo è completata, compreso il cervello, nel quale entrerebbe l’anima che attribuisce la qualità di soggetto, di individuo; ecco per cui viene posto questo limite per l’uso dell’aborto anche dalle principali religioni(a parte quello terapeutico che, per evidenti malformazioni, può essere praticato anche successivamente).

Le recenti divulgazioni della medicina riguardo alla possibilità di assistere i feti intorno alla 22ma, 26ma settimana sono stati presi inopportunamente (e strumentalmente) come base di discussione per l’aborto che può avvenire invece di norma almeno 10 mesi prima.

Il limite quindi è spiegato con motivazioni oltre che religiose anche giuridiche riconosciute dalla legge vigente (mi riferisco al codice civile in materia) per cui la legge specifica è del tutto coerente nel regolare l’uso dell’ aborto.

Voler imbrigliare invece in nuove norme si corre il pericolo di disattendere le dottrine suddette e scivolare su piani che vorrebbero passare per spirituali, ma che invece contengono inscindibile una materialità evidente, che anche nel passato remoto, nelle storia, è stata affrontata con usi e leggi che sbrigativamente affrontassero, con l’eliminazione sistematica, sia la nascita di figli non voluti, storpi o semplicemente discendenti di dinastie scomode o appartenenti ad etnie da combattere ed eliminare.

Intendo dire che se si salta a piè pari il diritto individuale di scelta e decisione (che non è certamente facile sia per gli aspetti fisici che psicologici) e se ne impone uno “collettivo” che va nel senso della moratoria, questo principio può in futuro essere usato, tranquillamente, con temi ed obiettivi diametralmente opposti, senza l’opposizione o la discussione di alcuno (una volta si sono date le fedi alla patria, poi il ferro ed infine…una guerra mondiale con milioni di morti civili e militari !).

La proposta appare singolare anche se invece ci si vuol comunque farsi carico del risultato derivante dalla sospensione dell’aborto: perché deve essere chiaro al Giuliano Ferrara che la collettività dovrà farsi carico di figli non voluti per innumerevoli motivi materiali (dagli “errori” agli stupri) o quelli, per fortuna limitati, fisici tenendo presente che in questo secondo caso già ora la struttura assistenziale pubblica mostra di non essere all’altezza del problema.

Mi si dirà: quanto a strutture e risorse si troverà il modo di trovarle e non può essere quindi un buon motivo per non creare ed applicare una nuova legge, ma mi sembra un po’ irresponsabile voler applicare regole di principio, per il solo gusto di costruirle senza considerare razionalmente il problema.

Ricordo soprattutto che il tema della maternità è un fatto troppo intimo e personale per poterlo imbrigliare con norme troppo grandi di quella in essere, che già cerca di regolare un problema con molta fatica (non vorrei essere nei panni e quindi decidere di chi si trovasse per i vari motivi suddetti nel dilemma di scegliere).

Se non vi sono quindi velleitarismi nascosti faccio un grosso invito a Giuliano Ferrara: usi la sua intelligenza ed il suo acume per altre cose, per altre battaglie (condivisibili o meno) che possano esser utili per la nostra comunità!

venerdì, febbraio 15, 2008

CHI SEMINA VENTO…

Nella Legislatura che si sta chiudendo anticipatamente, abbiamo visto una azione di governo che non ha potuto né saputo svolgere a pieno la sua guida per innumerevoli intoppi che hanno rallentato o inceppato un procedere sciolto ed efficace, anche quando, si trattava di progetti e realizzazioni che erano efficienti, ma che non hanno potuto esprimere pienamente i loro effetti.

Alcune sono state frutto di mediazioni estenuanti che hanno perso efficacia (penso ad alcune liberalizzazioni) ed altre, se pur impostate, poi si sono arenate nei decreti attuativi (penso a solo titolo d’esempio l’unificazione degli enti previdenziali).

Quel che è fuori di dubbio sono state le azioni di miglioramento del bilancio dello stato, mentre le azioni di politica economica, che il precedente governo non aveva per nulla toccato, non sono state attuate in modo efficace, per cui la situazione fiscale e reddituale di molti ceti economici, soprattutto quelli dipendenti, di sono inasprite.

La conseguenza è stata un sempre minor apprezzamento da parte dell’opinione pubblica, ingigantito però da una opposizione che non è stata in grado di svolgere il proprio ruolo in quanto si è limitata ad un semplice “fuoco di sbarramento”, auspicando ogni giorno che il governo Prodi cadesse, o affermando che il Presidente Prodi dovesse andare a casa e riempiendosi la bocca delle esigenze del popolo facendo salire oltre che il malcontento, magari perché qualche decisione andava a toccare qualche “casta” ( termine tanto di moda in questi mesi), anche una percezione di disagio che rischierà però di presentare un conto severo (brutto termine la percezione: significa letteralmente “avere l’impressione di …” : povertà, sicurezza, ecc).

Accanto a questo battage pubblicitario si sono aggiunti i risultati di continui sondaggi che davano in affondamento la coalizione di centrosinistra presso l’elettorato, ma hanno, implicitamente, comportato la disaffezione progressiva verso gli eletti, i quali da molti anni si sono ben guardati dal rimediare ad un malcostume non molto difforme, nella sostanza, a quello che emerse nella crisi del 1992.

La crisi di governo è arrivata repentina, senza aver modificato la legge elettorale di comune accordo e, mentre tutto sommato i partiti del Centrosinistra, pur non prevedendolo hanno cominciato un processo di aggregazione in qualche caso iniziato molti anni fa: la nascita del Partito Democratico ad ottobre 2006 e i primi incontri su “Cosa Rossa” nel gennaio 2008.

Ora, capendo che continuare ad utilizzare i criteri che hanno portato ad un bipolarismo ingessato, non può essere la strada per cercare di attuare le proprie politiche nell’interesse dell’ elettorato e del paese, questo processo si sta velocemente concretizzando anche se occorre dire che alcuni partiti sempre del Centrosinistra non sono stati sufficientemente attenti ai venti di cambiamento per cui forze come Radicali e Socialisti, portatori di peculiarità utili ed interessanti, rischiano, visti gli sbarramenti a Camera e Senato, di non ottenere adeguate ed utili rappresentanze.

A meno che non vi siano ripensamenti nei prossimi giorni è un vero peccato: i Radicali, a parte il tentativo fatto con la Cdl nella scorsa legislatura, sono sempre quelli della grandi battaglie civili del nostro paese, del referendum su divorzio e aborto e ( a parte Capezzone ) Emma Bonino si è dimostrata un ottimo ministro; Il Partito Socialista di Borselli, ancor di più, ha uomini e tradizioni incancellabili e non può contare più di tanto il desiderio di mantenere il proprio simbolo.

La proposta del Pd non è certo quella di voler annettere due partiti storici, ma fondere più preziose culture che contribuiscano allo sviluppo del nuovo partito; del resto occorre mettere definitivamente da parte la “sindrome da scissione” che la sinistra si porta dietro dal 1921 ed in questo anche i trangughi che si sono riuniti nella Sinistra Arcobaleno, penso l’abbiano capito.

L’ Italia dei Valori invece si è velocemente alleata al Pd con l’impegno di costituire un gruppo unico alle Camere e non escluderei una prossima fusione, visto che alla nascita del Pd avrebbero gradito far parte del processo di fusione.

Per i partiti del Centrodestra la situazione è molto più complessa perché alla base sta il fatto che le aggregazioni sono state pensate al vertice per molto tempo: già alle primarie del Centrosinistra per la nomina del leader e con la nascita dep Pd poi, si parlava di partito unico, ma è apparso più uno slogan; nel 2006 l’ Udc, visti i risultati con minimo scarto, cominciò a parlare di ricerca di nuovi assetti e nuovi progetti, ma la posizione del “primus inter pares” ha bloccato tutto sino a pochi giorni fa.

Il lancio di un nuovo partito è stato preannunciato tante volte, ma non risulta assolutamente che si siano iniziate trattative e studi per la nascita di un grande soggetto politico; sono queste operazioni assai delicate che devono poggiare certamente sui possibili risultati elettorali, ma la sensibilità sull’apprezzamento va sentita ogni giorno tra iscritti,associazioni, organizzazioni e non esclusivamente sui sondaggi che possono presentare magari risultati inaspettati.

I questo ambito il processo di aggregazione ha generato, come nel centrosinistra poco tempo fa, un processo di disaggregazione, in Fi, An e Ucd rendendo ora difficile il processo di riaggregazione.

Questa operazione è assai più complicata e meno comprensibile da parte dell’elettorato di riferimento e non sono sufficienti gli slogan programmatici del “leader maximo” per tranquillizzarlo.

An ha visto uscire anni fa la componente estrema che fa capo alla Mussolini, pochi mesi fa quella sociale di Storace per l’azione avvicinamento verso Fi (anche se interrotta temporaneamente con le dichiarazioni del predellino); l’Udc ha visto uscire Tabacci-Baccini da un parte e Giovanardi dall’altra sempre per effetto dell’avvicinamento "distanziato" da Fi ed ora è in mezzo al guado, indecisa se sostenere, solitaria, il proprio progetto politico o farsi aggregare in una operazione in cui poco crede.

Chi ha “sparato sul pianista” per tanto tempo si sta incartando con le sue stesse mani e l’ elettorato di riferimento rischia di non capirci più niente, anzi può capire sempre di più che tutte queste sono operazioni di semplice potere, poco fondate su programmi condivisi e convincenti, dove sembra contare sempre di più l’obbiettivo di raggiungere uno scranno che di poter attuare
un programma politico aggregante.

Questo unirsi e disunirsi può (lo spero tanto) presentare soluzioni poco piacevoli nel prossimo futuro: l’elettorato di centrodestra avrà forse il pelo sullo stomaco, ma come faranno Fi e An a giustificare al proprio elettorato una alleanza con la Mussolini; e quanto seguito avrà, a scapito di An, la destra sociale di Storace; nel caso di mancato accordo tra Udc e Pdl, che tipo di accordo potrà cercare con i transfughi della Rosa Bianca o con l’Udeur quando 10 anni fa erano insieme nel Ccd (non parliamo dei Diniani che cercano chiaramente una seggiola o le velleità del neonato partito di Bordon)!

Tutto questo lascia presagire che vi potranno essere risposte elettorali inaspettate, visto che la legge elettorale in essere premia il partito o la coalizione con la maggioranza relativa dei voti;
questo è spiegato dai minuetti che vediamo sul fronte del centrodestra dove questo pericolo viene chiaramente sentito, poiché, al di là dei sondaggi, sappiamo tutti che gli schieramenti in campo,nel loro complesso, si equivalgono sostanzialmente per cui una campagna elettorale sbagliata o alleanze incomprensibili (da parte dell’elettorato) potrebbero decretare vittorie inaspettate.

Se a questo aggiungiamo la creazione di liste smaccatamente pilotate, con seggi protetti per qualche transfuga, o per rappresentanti di piccoli partiti come una parte di repubblicani e socialisti, o per uomini o donne "civetta", ecco che il pericolo di disaffezione rischia di salire sensibilmente perchè l'attività politica sviluppata sulla contrapposizione ha come via i fuga putroppo quella più comoda: il non voto.

La cosa peggior sarebbe quindi, a riprova che non paga “seminar vento”, una ulteriore disaffezione da parte di una parte consistente dell’elettorato, che, diffidando degli schieramenti, non prenda nemmeno in considerazione i programmi (tanto sono tutti uguali, una volta al potere); questo sarebbe un vero dramma perché significherebbe che il partito o coalizione vincente sarebbe ancor più debole, politicamente (sostenuta da meno voti) e non potrebbe sviluppare, pur avendone i numeri parlamentari, alcuna grande riforma utile, non al potere ed ai partiti, beni al paese; si potrebbero innescare reazioni su qualsiasi iniziativa, rendendo ancor più ingovernabile il paese.


mercoledì, febbraio 13, 2008

OGGI PIU’ CHE MAI… ATTENTI AI VENDITORI DI FUMO !

Senza voler essere irriguardoso sull’intelligenza del corpo elettorale italiano, penso sia utile metterlo in guardia da tutte le enunciazioni che cominciano ad apparire – tramite i media – in questo primo scorcio di campagna elettorale.

Per la verità siamo ancora nella fase di preriscaldamento in quanto non sono ancora completamente definite le aggregazioni e le alleanze, imposte da una legge elettorale che impone premi e sbarramenti assai insidiosi che potrebbero portare a dispersioni di voti consistenti; sono operazioni assai complesse perché poggiano su iniziative specifiche (come quella di Ferrara) o su difficoltà di aggregazione sia politiche che di rappresentanza (la semplificazione in atto imporrebbe forti rinunce identitarie ed anche di poltrone).

In sostanza quel che non avrebbe fatto l’eventuale accoglimento delle proposte referendarie, ha fatto l’exploit del Pd di Veltroni ed il risultato, si spera, porti ad una reale semplificazione del quadro politico italiano.

Ma quello che più conta sono gli obbiettivi dei vari schieramenti che cominciano ad emergere, sui quali occorre fare molta attenzione anche se penso che una consistente parte dell’elettorato sia già schierato per storica affezione a questo o quel partito, o a questo o quel candidato.

La fetta di elettorato maggiormente determinante per il risultato finale è quindi costituita da quella che deve ancora scegliere schieramento e partito/i, che deve essere convinta, anch’essa, da proposte e progetti credibili e chiari, poiché in caso contrario, il risultato sarebbe una ulteriore diffidenza e scontento nel ceto politico e soprattutto una disgregazione sociale sempre più accentuata, che non consente ad una comunità di progredire economicamente e culturalmente ( non uso il termine popolo, abusato ripetutamente e ad arte soprattutto dagli esponenti di centrodestra !).

L’attenzione va quindi sulle proposte che devono avere senso compiuto perché come espresse in questi giorni sono solo slogan, buoni come specchietti per le allodole; questo vale per tutti gli schieramenti perchè qualche avvisaglia si è vista anche nelle manifestazioni del centrosinistra (a Spello, Veltroni ha parlato di meno tasse e maggiori retribuzioni, ma non ha indicato come questo obbiettivo può essere conseguito).

Oppure riemerge il tema del “tesoretto” sul quale qualcuno vorrebbe forzare la mano, ma che obiettivamente non è opportuno affrontare, sia perché non se ne conosce l’eventuale reale consistenza (e quindi l’effettivo impatto sulla finanza pubblica),sia perché apparirebbe anche ai beneficiati una mossa elettorale comunque irrealizzabile perché abbiamo un governo che può agire solo per l’ordinaria amministrazione (il centrodestra non darà mai per ovvi motivi il suo assenso).

Più credibile invece sarebbe dire che se le condizioni si avverassero la legge finanziaria consente, qualsiasi sia il governo futuro, l’attuazione di questa redistribuzione di risorse e che il merito sarebbe comunque del governo uscente !

Cercare appeal è certamente importante, ma credibilità e obbiettività innanzi tutto.

Nel centrodestra appare sempre più evidente che gli slogan si sprecano in quanto,quando si vuol cercare di dare una parvenza di spiegazione logica e plausibile, ecco che iniziano degli slalom che sollevano un po’ di polvere, ma che poi dimostrano impietosi la loro inconsistenza.

A ben vedere si dice tutto ed il contrario di tutto come quando si parla del recupero di evasione fiscale: da un lato si dice che questa “ha messo le mani in tasca degli italiani” aumentando la pressione fiscale, ma subito dopo si dice che il recupero di evasione in realtà è poca cosa; ma lo slalom non è finito perché si aggiunge che la lotta all’evasione ha spaventato gli italiani e soprattutto ha sottratto risorse per i consumi.

La prima parte è una evidente contraddizione, ma la seconda è di una gravità inaudita (oltre a non sapere di quanto denaro si sta parlando) perché rispolvera il vecchio concetto che le tasse vanno pagate se eque (quando equo è un concetto del tutto soggettivo non essendoci un criterio di misura unico e insindacabile)!

Inoltre si presume che le maggiori risorse derivanti dall’evasione fiscale sarebbero appannaggio dei ceti più ricchi e quindi più protetti dal carovita), non potendo ovviamente includere i lavoratori in nero che subiscono rapporti di lavoro per principio scorretti ed incivili.

Altro tema è l’ abolizione dell’Ici sulla prima casa che riguarda il 70% delle famiglie italiane: è una “operazioncina” da 10 miliardi di euro, ma non si dice assolutamente come e dove verranno reperite le risorse visto che tra l’altro è una tassa comunale !

La proposta diventa fumo perché tutto può essere: aumentare l’Ici sulle altre abitazioni, allargare la base imponibile sino ad ora esclusa oppure imporre ai comuni tagli alla spesa o il reperimento di risorse in altro modo; sarebbe comunque alla fine, se non chiarita, molto probabilmente una redistribuzione della tassazione sui contribuenti con un risultato complessivamente nullo, poiché aumentare (è la più logica) la quantità di soggetti tassabili creerebbe immediatamente una sollevazione popolare.

Anche la diminuzione della pressione fiscale è un bel cavallo di battaglia che trova tutti concordi, ci mancherebbe, ma se non si delineano almeno per capitoli in che modo e con che risorse questa può essere perseguita ecco che il fumo si alza ancora.

E’ fuor di dubbio che non si può toccare la spesa pubblica (visto lo stock di debito che ci portiamo sulle spalle da anni) per cui non resta che economizzare su di essa riqualificando il debito attraverso vari strumenti come una miglior organizzazione del lavoro utilizzando lo sviluppo informatico, la semplificazione delle procedure, aumentando efficacia e produttività ed agendo sulla occupazione.

Naturalmente a toccare quest’ ultimo tasto nessuno si azzarda perché solo a pensare al blocco del tour over, ecco che si rischia di perdere il vantaggio acquisito con la sola enunciazione di principio.

Sull’aumento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti la solfa continua: innanzitutto vi è una differenza abissale in materia, perché il centrosinistra vorrebbe attuare una politica economica che consenta di aumentare le opportunità di lavoro meglio retribuito, mentre il centrodestra, sostenitore del più ampio liberismo, si limita a progettare azioni che si limitino ad aiutare chi non ce la fa.

E’ chiaro che sono due tesi antitetiche perché la prima mette il lavoro al centro dell’azione che consenta maggior ricchezza a lavoratori ed imprese e quindi nel complesso a tutta l’economia; mentre il centrodestra intenderebbe lasciare “le briglie al vento” affinché sia il mercato ad autoregolamentarsi e si limita ad intervenire solo sui singoli che rischiano l’espulsione, loro malgrado.

Su questo tema, quando si vuol dare una parvenza di logica e di strategia, se ne sentono delle belle quando, a difesa della concorrenza dei paesi emergenti, si invoca una coesione europea, magari protezionistica (ma allora che mercato globale è ?), spostando in la il problema perché è fuor di dubbio che l’unione europea poggia proprio sulle sue diversità economiche e politiche, con situazioni di bilancio parecchio difformi, per cui invocare interventi esterni ed univoci, sembra quasi voler abdicare alle proprie responsabilità, che possono pure creare qualche amarezza al proprio elettorato.

Ma ritornando all’enunciazione in premessa è evidente che non può essere usata solo la leva – per quanto possibile – di rimodulazione delle aliquote fiscali perché si ritornerebbe al problema di bilancio dello stato e allo stock del debito per cui una strada – se fiscalmente legittima – potrebbe essere quella di non tassare gli incrementi delle retribuzioni che non riducono così il gettito esistente (non vi sarebbe comunque contestualità tra le varie categorie).

Questo però non può bastare perché per troppi anni (e non negli ultimi due) le retribuzioni reali dei dipendenti sono rimaste al palo a differenza delle altre che sono invece cresciute in termini reali (ciò è confermato dal fatto che i prezzi al consumo sono aumentati in una economia che non cresceva);a giustificazione di tutto questo ricordo le uscite del precedente governo del tutto sconclusionate relative ad ipotetiche penalizzazioni derivanti da uno supposto sfavorevole rapporto di cambio lira-Euro, per cui è bene evitare di attribuire patenti di incompetenza o incapacità al prossimo.

Vanno attivate iniziative idonee all’innalzamento delle retribuzioni minime nei settori produttivi e nelle aziende che non possono realisticamente negoziare contratti aziendali (eliminando le retribuzioni ad personam in nero) e sviluppare nelle altre contratti di secondo livello che possano permettere le peculiarità di queste aziende.

Sul fronte delle tariffe occorre anche qui onestà intellettuale altrimenti si solleva solo fumo e non si trovano soluzioni efficaci, ma solo magari consensi che si possono tramutare ben presto in dissensi o addirittura in contestazioni piuttosto ruvide.

La realtà è che, a parte le tariffe legate all’andamento dei prezzi del petrolio, l’incremento delle tariffe è il risultato di azioni svolte dagli enti locali, che non volendo ridurre le spese generali, hanno scaricato sulle società di servizio le necessità finanziarie; questo meccanismo è stato inventato già nel precedente governo introducendo il limite del 2% all’incremento della spesa e solo quello uscente ha introdotto il principio della riduzione dei capitoli di spesa.

Anche la liberalizzazione subito delle municipalizzate deve essere accompagnato da uno stretto controllo delle tariffe applicate (non essendo semplice favorire la nascita e crescita di competitori che le calmierino) altrimenti ci ritroveremo in situazioni come quella della Società Autostrade spa dove, comunque ogni anno, il suo aumento l’ottiene o come quelle molto abusate in cui molti concorrenti si accordano su prezzi e tariffe, mandando a quel paese la libera concorrenza.

Sull’aumento della tassazione delle rendite finanziarie il fumo si spreca: riemerge una vecchia diatriba del 1986 quando fu introdotta la tassazione progressiva (prima 6,25% e poi 12,50%) dei titoli di stato che rischiò di provocare un terremoto, ma che terremoto poi non fu; l’unificazione sotto una aliquota unica oltre che di equità è motivo di coerenza con il costo di altri fattori economici come il lavoro ed il capitale e, soprattutto, di semplificazione evitando così il “gioco” della finanza speculativa su trattamenti fiscali differenti (ricordo la non tassazione dei titoli esteri che portò nel 1992 all’esodo dei capitali e ad una crisi economica e finanziaria che fece uscire l’Italia dallo Sme).

Terrorizzare (o cercare di terrorizzare) l’opinione pubblica per mero scopo elettorale sostenendo che si ridurranno i rendimenti dei Bot sottoscritti dalle povere vecchiette è estremamente grave, soprattutto detto da soggetti che magari sono stati pure Ministri dell’Economia in questa repubblica perché innanzitutto i titoli di stato colpiti dalla nuova ritenuta alla fonte saranno solo quelli di prossima emissione; inoltre questa manovra non verrà necessariamente digerita dagli investitori in quanto la maggior o minor sottoscrizione di questi titoli avviene a tassi netti (per l’erario è una partita di giro quindi); infine si nasconde il fatto che la ritenuta alla fonte scatterà da subito sui depositi a risparmio, in conto corrente e postali che hanno una aliquota più alta della nuova ipotizzata.

Concludendo, anche se di esempi ne potranno emergere chissà quanti, di fronte a questi primi fumi, sarà bene “star su con le orecchie”.

lunedì, febbraio 11, 2008

CHIACCHIERE E FATTI

Nella recente crisi parlamentare che ha portato alle elezioni anticipate, si è chiacchierato molto sulla modifica della legge elettorale definita dagli stessi promotori una porcata, ma in realtà a parte il tentativo di Veltroni di proporre una nuova legge, si è continuato a chiacchierare perché non vi era alcuna volontà ed interesse se non quello delle elezioni anticipate.

Infatti alcuni partiti pur sostenendo la volontà al cambiamento poi in realtà non disdegnavano il sostegno al referendum modificativo (An), peraltro del tutto legittimo, ma non adeguato a modificare efficacemente la legge in corso.

Altri pur sostenendo a parole la disponibilità a cambiarla, nello stesso tempo sostenevano che comunque è una buona legge (Fi).

Tutte queste chiacchiere nascondevano comunque una verità incontrovertibile: il progetto del bipolarismo è fallito perché, soprattutto per effetto della legge in vigore, si sono venuti a creare, soprattutto nelle due ultime legislature, un guazzabuglio tra i due schieramenti che non consentivano governabilità effettiva, nonostante l’abilità e la determinazione nel governare di uomini come Prodi.

La legge attuale prevede alla Camera un premio di maggioranza che venga attribuito alla coalizione (o al partito) che prenda più voti, superando però comunque il 10% ed i singoli partiti devono superare lo sbarramento del 2% se in coalizione ed il 4% se da soli.

Al Senato, dove l’elezione avviene costituzionalmente in rappresentanza regionale (per cui i resti regionali non possono essere utilizzati insieme agli altri per l’assegnazione dei seggi previsti pari a totali 315) oltre allo sbarramento minimo del 10% di coalizioni e partiti, esiste lo sbarramento del 3% per i partiti coalizzati e l’8% per chi concorre da solo.

Il risultato, con questa premessa, è stato il ricorso in modo spasmodico più sulla ricerca della alleanza più ampia e meno sulla convergenza politica, per cui la limitazione della legge ha mostrato il conto.

In questo ambito vi sono schieramenti come quello di centro sinistra (depurato di alcuni partiti) che ha sostanzialmente lasciato perdere le chiacchiere ed ha puntato con decisione alla stretta aggregazione politica e di programma (restano ancora indecisi in queste prime fasi Socialisti, Radicali e Italia dei Valori), ma è incontrovertibile che non vi è alcun interesse a ricercare le più larghe convergenze possibili per poi non far nulla.

Può sembrare una iniziativa temeraria e autolesionistica, ma in effetti si vuol snobbare in sostanza la legge attuale, dando seguito con i fatti al cambiamento auspicato con le tante discussioni improduttive dei giorni scorsi.

Procedendo per aggregazioni politiche e di programma, saranno i risultati a produrre solide alleanze, aiutati, questo si, dal fatto che vi potranno essere interferenze di piccoli partiti che visto le soglie di sbarramento non avranno (almeno in teoria) rappresentanze.

Sul fronte del centrodestra con le presentazioni ad effetto si continua con le chiacchiere poiché non possiamo considerare nuovi fatti come la nascita del Pdl che non è un partito visto che quello unico tra Fi e An avverrà dopo le elezioni (sic!), non ha un programma politico coeso per effetto di matrici politiche diverse (penso al localismo della Lega, contro lo statalismo di An), ed utilizza la formula degli “indipendenti” in lista, che indipendenti non sono visto che rappresentano veri e propri partiti politici piccoli (penso ai vari La Malfa, De Michelis, Rotondi, Dini).

Se si pensa poi ad altri partiti ( come quelli di Storace, Mussolini) che potrebbero confederarsi, la fragilità politica aumenta.

A dimostrazione che è un cartello elettorale, dov le linee politiche si annacquano, aggiungo che altri non hanno ancor deciso sul da farsi perché da un lato corrono seri rischi – a meno che non conseguano exploit imprevedibili - di non raggiungere e superare gli sbarramenti (l’Udc avrebbe problemi al Senato e l’Udeur sia a Senato che Camera), mentre dall’altro dovrebbero accontentarsi di essere inseriti come semplici “indipendenti”, rischiando un abbaccio soffocante che ridimensionerebbe le loro peculiarità poliice..

Quanto alla Rosa Bianca è orientata ad attuare i fatti (in realtà gli esponenti di chiacchiere ne hanno fatte ben poche), ma con gli sbarramenti suddetti dovrebbe “rosicchiare” consensi parecchio alti per ottenere eletti.

Siamo alle prime battute e quindi si parla ancora poco di programmi sui quali i partiti verranno esaminati e giudicati, ma è certo che già ora si delineano in modo chiaro le linee politiche e speriamo programmatiche, di chi vuol innovare e cercare soluzioni di governo più avanzate e chi invece pensa di cavalcare le chiacchiere, ancora una volta, confidando sull’ appeal mediatico, sugli slogan, sulle promesse, su contratti con gli italiani.

Staremo a vedere.








venerdì, febbraio 08, 2008

PERCHE’ NO ! AL PARTITO DEL “NON VOTO”

Alla vigilia di ogni campagna elettorale per il rinnovo della Legislatura appare spesso il partito del “non voto” che è certamente espressione di una certa insoddisfazione e delusione di come è trascorsa la legislatura scaduta per vita naturale o per la caduta irreversibile della maggioranza che sosteneva il Governo eletto, ma che non può essere una espressione politica attiva per la prosecuzione di una attività politica che comunque è necessaria.

Esiste certamente una percentuale di iscritti alle liste elettorali che storicamente non si presenta ai momenti elettorali, ma rappresenta comunque una percentuale che, pur importante, rientra nello stato delle cose, con motivazioni così disparate da non costituire un fenomeno di disaffezione nei monenti di rappresentanza politica.

In paesi di stampo anglosassone addirittura, come negli Usa, per esprimere il voto occorre necessariamente iscriversi alle liste elettorali ,per cui le percentuali di voto sono molto basse (poco più del 50% degli aventi diritto), ma negli stati europei l’adesione al voto viene considerata sempre come un diritto-dovere.

Sarebbe ovviamente tropo semplicistico controbattere con questa tesi il partito del “non voto”; i motivi in realtà sono molto complessi ed articolati, ma riconducono tutti ad un principio: la politica è l’arte del possibile e pertanto non è detto che una scelta fatta in passato e rivelatasi, dal punto di vista dell’elettore o meglio da una parte dell’elettorato, poco azzeccata o soddisfacente, non possa essere corretta da una nuova votazione che contribuisca a rimediare agli svantaggi ottenuti o agli obiettivi mancati.

Il malcontento, anche in questa fase di nuove elezioni, può essere comprensibile, soprattutto da parte di chi ha contribuito alla formazione di una maggioranza dimostratasi poco efficace o addirittura sfaldatasi in “corso d’opera”, ma da qui a dire : non ci sto più ! ce ne corre.

Certamente l’elettorato non è una entità indistinta bensì costituita da almeno due grandi classi: quella che esprimendo il voto punta a risultati che diano risposte di tipo “collettivo”, mentre l’altra dia risposte di tipo “individuale” o di raggruppamento.

Inoltre i modelli politici ed elettorali che si formano nel tempo non sono immobili e ripetitivi per cui non è detto che insistere e persistere sull’uno o sull’altro, sia la via giusta per raggiungere obiettivi o risultati soddisfacenti; vi è invece il pericolo che questo comportamento contribuisca ad una cristallizzazione del sistema e la nascita di staticità e pessime abitudini che portano direttamente al voto di scambio (io e i miei amici ti votiamo, e tu, eletto, penserai a me ed ai miei amici e a quelli che ti indicherò !).

Già questo avviene, anche se non in modo generalizzato, per cui esprimere il proprio dissenso anziché votando in modo diverso, ma astenendosi non votando, si rischia, pur non volendo, a contribuire a perpetuare tutte quelle storture che ci hanno fatto infuriare.

Ma venendo ai giorni nostri dobbiamo riconoscere che la nascita del bipolarismo, sorto per evitare le frammistioni tra partiti che hanno portato ad un sistema finito poi nelle aule giudiziarie, ha dimostrato il suo tempo; in quindici anni, pur con la nascita dal nulla di un partito personale come Fi e solo recentemente dal Pd, dobbiamo riconoscere che nel panorama politico non è successo nulla di nuovo e che la politica sviluppata non ha prodotto alcun cambiamento radicale (a parte l’entrata nell’euro, o la modifica in più volte, del sistema pensionistico) tale da modernizzare lo stato in modo analogo alla modernizzazione che invece, con tante difficoltà, ha coinvolto la società civile.

Questo ha portato invece ad una certa auto referenzialità del sistema politico, ad un progressivo allantonamento dal paese reale, per cui si impongono nuovi modelli politici, nuovi programmi ed anche alleanze più coese.

Bipolarismo dicevo, dove la definizione netta di due schieramenti non è più (o non è mai stata) garanzia di governabilità, ma soltanto di alternanza, sterile comunque poiché, soprattutto in queste due ultime legislature, si sono visti i sui limiti incontestabili, a prescindere dalle maggioranze raggiunte più o meno solide.

Nell’arco del centrosinistra di tentativi di rinnovare, veramente, se ne son fatti molti: dapprima all’Ulivo e poi all’Unione, ma va riconosciuta la volontà di ricercare nuovi modelli politici aggreganti, per poter meglio esprimere una politica più avanzata e moderna.

Chi ha contribuito a questo ha saputo anche fare autocritica (anche se non in modo particolarmente esplicito) e proporre evoluzioni del sistema che cambiasse anche negli atteggiamenti e nei modi per realizzare effettivamente questa seconda repubblica.

Il tentativo di ritornare a vecchi schemi non è mai morto però; lo si vede ancora più chiaramente nell’azione politica della coalizione di centrodestra, che a parole ha lanciato più volte proclami liberistici e di modernizzazione, ma in realtà la musica suonata è sempre quella, anche in partiti localistici come la Lega la quale fa proclami pseudo-rivoluzionari, ma poi nella pratica esercita il potere ottenuto con metodi vecchi, che la seconda repubblica dovrebbe aver messo in soffitta.

I comportamenti di entrambi gli schieramenti di fatto non convincono e se persistono, questo si potrebbe giustificare la posizione del “non voto”, ma quando emergono novità di strategia e di programmi, va dato ancora una volta (mai demordere) credito, vanno messi alla prova dei fatti e giudicati ex post.

Il primo a muoversi è stato il centro sinistra con la creazione di un nuovo partito, il Pd, dopo una gestazione di parecchi anni (solo a un Berlusconi, eccezionalmente, può riuscire di farne uno dalla sera alla mattina) che ha cominciato a scombinare le carte già nella sua coalizione e visto come è finita questa legislatura non vi sono poi così tante altre alternative: fare marcia indietro oppure ammettere, come l’elettorato ha ben visto, che il progetto dell’Unione è fallito o ha fatto il suo tempo; sarebbe irresponsabile pertanto reiterare modelli simili (se pur corretti) andando incontro al chiaro pericolo di non incontrare apprezzamento da parte dell’elettorato di riferimento, o, peggio ancora, di mancare obbiettivi e programmi.

E’ certamente più chiaro, e spero premiante, in questo schieramento evolvere verso nuovi modelli e nuovi progetti per cui appare interessante l’iniziativa del Pd e mi auguro ne sorga ben presto un’altra, analoga da parte della galassia dei partiti della Sinistra (del resto “cosa rossa” ha cominciato a veleggiare in risposta alla nascita del Pd) dove appaiano chiari in entrambi programmi, obbiettivi e possibili alleanze.

Tra l’altro questa grande novità ha messo di fronte i partiti del centrodestra alla necessità di misurarsi con accordi politici e programmatici che non possono più essere omnicomprensivi, dimostrando chiaramente che le difficoltà che possono aver afflitto in centrosinistra sino a farlo cadere, si possono ripresentare allo stesso modo nel centrodestra, anche nel caso in cui vincesse in modo chiaro e netto.

In quest’ottica è troppo interessante e gustoso astenersi: la curiosità di come potrà andare a finire è più che sufficiente per analizzare, giudicare e quindi votare.

Siamo alle prime battute perché si parla, per il momento spero, di schieramenti ed eventuali alleanze; il bello verrà quando si presenteranno i programmi; il centrosinistra non ha più la necessità di predisporre programmi simili ad un vocabolario perché basteranno pochi temi chiari per indicare la propria azione futura, facendo comunque molta attenzione a non riproporre vecchi schemi che richiamino o rimpiangano il passato.

Il centrodestra avrà il suo bel daffare perché con i “contratti con gli italiani” ha già fatto meschine figure e perché, pur con le alleanze che si stanno delineando, non vengono sciolte assolutamente le divergenze di fondo (statalismo e federalismo maccheronico sono come il diavolo e l’acqua santa)che sono alla base della sua fragilità politica; magari elettoralmente il risultato sarà più soddisfacente, ma l’azione risulterà senz’altro molto ferragginosa.

La pletora dei partiti di centrodestra è enorme, anche per effetto dei partiti transfughi dal centrosinistra o nati da costole dei partiti “pilota”, per cui sarà necessario grande lavoro per trovare formule di risposta, aggravato dal fatto che questo centrodestra ha imparato anche troppo bene i meccanismi della prima repubblica, nonostante i proclami di modernizzazione e di liberismo.

lunedì, febbraio 04, 2008

“TERRORISMO” MEDIATICO

Penso che i principali media – televisione e quotidiani – debbano necessariamente rispettare una semplice regola cioè quella di informare su qualsiasi tema l’opinione pubblica ricordando che, anche in informazioni a tema, debba essere rispettata sempre la chiarezza sia nella esposizione dei fatti che negli eventuali commenti conseguenti.

In effetti quando si tratta di informazioni a tema, soprattutto televisive qualsiasi sia l’emittente, l’opinione pubblica è predisposta ad ascoltare dedicando il tempo necessario, mentre molto spesso nelle informazioni dei vari tg o anche nei titoli di testa dei quotidiani e settimanali, forzando la indubbia necessità di sintesi, si affermano spesso tesi assurde, distorte e, quel che è peggio, addomesticate, approfittando dell’ovvia fettolosità degli ascoltatori e lettori.

Intendo dire che molto spesso, sempre di più rispetto al passato, si “sparano” notizie e dati che poi a ben guardare si rivelano meno allarmanti, ma nel frattempo l’informazione distorta può contribuire a farsi un’idea altrettanto imprecisa.

Certo, siamo in pre campagna elettorale, e i colpi bassi si sprecano, ma l’uso dei media in modo spregiudicato, possono contribuire non poco a formare orientamenti del tutto legittimi, ma poggianti su informazioni distorte, o a rafforzare le singole convinzioni; a ben guardare si cerca di creare percezioni o a crearne di nuove, ma il termine stesso sta ad indicate una sensazione, un sospetto che non necessariamente poi viene confermato dalla realtà dei fatti. .

Se ci fate caso da qualche settimana a questa parte è cominciato il grande battage sul livello di ricchezza degli italiani ed alcune emittenti continuano a trasmettere gli stessi eventi che senz’altro sono veri, ma che non rappresentano certo una realtà diffusa e soprattutto se non trovano riscontro in una parte degli ascoltatori, comunque insinuano il timore che quella certa situazione incomba immanente su di loro.

E’ poi vero che se l’ascoltatore ha tempo e modo di approfondire,questo messaggio distorto può essere annullato, ma se così non fosse ecco che l’orientamento può radicarsi e portare a conclusioni anch’esse errate.

In questi giorni su Italia 1 continuano informazioni sullo stato della economia familiare estremamente dilatate per cui un problema reale così ingigantito diventa un problema o un pericolo per tutti, mentre invece il fenomeno esiste certamente, ma con drammaticità più contenute.

In una trasmissione si inizia informando che una signora si sentiva umiliata per un debito pe affitto di mille euro all’ Iacp; seguiva una intervista ad una coppia di sposi in attesa del primo figlio nella quale dimostravano conti alla mano le difficoltà nel far quadrare il bilancio; la conduttrice evidenziava che il fenomeno è generalizzato e a dimostrazione mostrava circa 600 email che raccontavano di situazioni analoghe.

La cosa mi ha colpito, ma mi ha anche fatto riflettere perché se da un lato ci possono essere situazioni precarie è anche vero che per fare ascolto è sempre bene sparale grosse: infatti la coppia nello specificare i vari capitoli di spesa affermava che in due persone spendono al mese circa 700 euro per l’alimentazione (il che mi sembra obiettivamente tantino); inoltre i 600 scrittori di email si sono dichiarati ( o sono stati inseriti non si sa bene con che criterio) nella fascia di povertà: sarebbe interessante leggere ciò che hanno effettivamente scritto anche perché mi sembra singolare che, se quella è la loro realtà, abbiano tempo e denaro per “smanettare” sul computer via internet.

Ma l’escalation non finisce qui perché sempre sulla stessa rete si fanno vedere immagini di anziani che vanno a cercare frutta e verdura tra le cassette dei posteggi al mercato servito da interviste, nelle quali si afferma di non mangiare più carni, anche quelle ormai a prezzi proibitivi.

Sempre lo stesso servizio (peraltro ripreso in modo un po’ più chiaro dalla Rai) affermava che il prezzo della carne è aumentato di oltre il 400% !

Analizzando meglio le informazioni balza subito all’occhio che un fenomeno certamente drammatico è per fortuna circoscritto e quindi le iniziative possono essere più facilmente messe in campo, mentre l’informazione sui prezzi della carne sono una grandissima bufala: infatti non si raffrontano i prezzi al consumo in un dato periodo di tempo (per esempio dal 2000 al 2007), ma raffrontando i prezzi pagati all’allevatore e quelli pagati dal consumatore al banco !

Il problema quindi è quello annoso dei cosiddetti “ricarichi” legati molto spesso al sistema distributivo assai sfilacciato e non ad un incremento repentino come avviene per i prodotti petroliferi.

Posto in questo modo distorto invece si capisce ben presto dove certa informazione vuole andare a parare.

Quando si tratta infine di divulgare le ricerche Eurispes un po’ tutti vanno a piluccare fra i dati per far passare un’idea, molto spesso contraddetta dai dati sinteticamente esposti, mentre quando la relazione della Banca d’Italia analizza scientificamente il fenomeno spiegando origini, tempi e modalità ecco che molti sorvolano in modo sfacciato per non divulgare dati e considerazioni che porterebbero ad altri risultati ed ad altre cause.

Continuando, sulla Legge 194 se ne parla nuovamente da almeno un anno, quando il Governo Prodi, lanciò la Legge sui Dico (quella si abortita), soprattutto con interventi precisi da parte della Chiesa Cattolica (anche in questi giorni in Spagna alla vigilia delle elezioni politiche) e solo ieri viene divulgato un documento di specialisti neonatali nel quale, per come presentato, sembrerebbe sostenere la repulsione alla legge in vigore e quindi alla sua abrogazione o, per lo meno, alla sua modifica.

In realtà la posizione espressa, peraltro anche da altri luminari, intende semplicemente ribadire l’obbligo deontologico di intervento in caso di feti vitali escludendo comunque l’accanimento terapeutico; tutto questo in virtù del fatto che l’evoluzione della scienza nella specifica materia ha fatto nel tempo passi da gigante e che quindi sarebbe in grado di efficace assistenza anche in gestazioni di 22/26 settimane, cosa clinicamente impossibile trentenni fa.

Toccare quindi un tema così delicato con informazioni “mordi e fuggi” non possono essere giustificate dalla necessaria sinteticità dell’informazione, ma fanno sorgere il sospetto che gli scopi siano ben altri.

In realtà la grande novità è quella scientifica che impone certamente riflessioni, ma che è riduttivo collegare esclusivamente agli interventi abortivi quando riguarda, molto di più, gli interventi sulle gestazioni a rischio.

Certo questo impone anche di ripensare alla convenzione entro cui l’intervento abortivo è consentito, ma farne – tout court - una guerra di religione ed etica appare una vera forzatura.

Anche sulla sicurezza ogni giorno si punta al sensazionalismo che va dagli incidenti automobilistici causati spesso dall’uso di droghe ed alcol o da fatti di cronaca nera in cui l’informazione viene usata non per comunicare situazioni critiche e comportamenti drammatici, ma per far trarre dall’opinione pubblica conclusioni sul sistema di prevenzione e sull’incapacità di governo dei fenomeni; sul fenomeno degli incidenti automobilistici si dimentica spesso che questo è, in realtà in calo, anche per effetto di prevenzione e repressione, mentre la tipologia emerge per il semplice fatto che in precedenza non venivano fatti controlli specifici sulle persone coinvolte per l’uso o abuso di alcol e droghe.

Tutte queste sembrano sempre più denuncie sensazionalistiche (come il Vernacoliere che livornesi e toscani ben conoscono) piuttosto, informando correttamente l’opinione pubblica, temi che devono essere affrontati e soprattutto risolti o ridimensionati definitivamente da chi ne ha competenza ed onere.

Nella realtà poi queste attenzioni esasperate non possono essere tenute dai media per molto tempo per cui si trasformano in “campagne” ne più ne meno di quella delle polveri sottili, dei possibili default elettrici, delle immondizie o ancora più drammaticamente di quelle sugli stupri e delle morti bianche.

Sui fatti di cronaca nera, se ci fate caso, siamo tutti portati a sapere chi ha commesso reati piuttosto del perché; andiamo a verificare subito se sono coinvolti stranieri extracomunitari ed irregolari, prima di informaci ed essere informati sulle cause dei fatti; fatti come Erba, Perugia e ieri Cairo Montenotte vedono focalizzare l’attenzione sui soggetti coinvolti (o presunti tali) piuttosto che sui singoli fatti e sulle possibili cause che li hanno prodotti.

Concludendo i canali mediatici sono quindi un grande supporto per l'informazione, ma ben sapendo della loro possibile manipolazione, occorre che il senso critico dell'opinione pubblica sia molto più elevato di un tempo, per evitare orientamenti distorti dei quali, magari troppo tardi, di potremmo renderci conto e amaramente pentirci.

sabato, febbraio 02, 2008

LE ANALISI STRUMENTALI SUL ‘68

Ricorre il quarantesimo dal grande evento politico, sociale ed economico che è rappresentato del “’sessantotto” e a fronte delle analisi pur critiche, ma del tutto corrette, ecco che come, le api sul miele, appaiono analisi del tutto strumentali che evidenziano certamente le devianze ed anche le drammaticità di quel periodo, ma nascondono del tutto una lettura obiettiva di quel periodo, delle premesse storiche e delle evoluzioni (ed anche involuzioni) susseguenti.

Affermare come si sente dire in questi giorni che il ’68 è sostanzialmente la causa del terrorismo in Europa dilata, esasperandola, certamente una responsabilità, forse anche una contiguità in certi casi o una sua degenerazione, ma da questo concludere che è stato solo questo significa mistificare la realtà.

Intanto il fenomeno ha riguardato sia l’Europa che gli Stati Uniti ed è iniziato molto prima ed è terminato molto dopo l’anno indicato e la base poggia su principi ed ambizioni legati alla pace, alla libertà, al miglioramento della società civile, allo studio, allo sviluppo di schemi politici nuovi che smontassero l’ingessatura del quadro politico mondiale scaturito dalla fine della seconda guerra mondiale, con la creazione dei “blocchi”, acuita dalla guerra fredda, rappresentata dal più grande paradosso costituito dalla costruzione del muro di Berlino.

Andava infatti esorcizzato il simbolo del potere hitleriano è nacque, dopo la divisione in zone dell’ex capitale, un muro in prefabbricato voluto dall’ Urss con la convenienza inconfessata del Patto Atlantico.

Già l’amministrazione di John Kennedy con il suo “american dream” cercò di innovare la politica, la società e l’economia americana e di riflesso quella mondiale (in prosecuzione ideale del new deal di F.D. Roosevelt) cercando di rimuovere “l’apartheid che ingessava l’ America e la guerra in Vietnam che costava al paese sacrifici e morti per nulla comprensibili alla maggioranza dell’opinione pubblica.

Queste sono le premesse ad un cambiamento mondiale delle varie società purtroppo interrotte drammaticamente sia dall’assassinio del Presidente Kennedy nel ’63, sia del fratello Robert nel 1968, preceduto circa due mesi prima, drammaticamente, dall’assassinio di Martin Luther King (l'America riconosce i suoi errori e i suoi eroi tanto che il 15 gennaio anniversario della nascita di quest'ultimo è festa nazionale).

Sono queste drammaticità che hanno però lasciato il segno nelle comunità mondiali, indicato percorsi alternativi che spingessero verso la pace e verso le eguaglianze dei popoli e delle varie comunità e l’ “I have a dream” di King non resta una frase morta, messa li senza significato e senza futuro, ma diventa soprattutto tra tanti giovani ed progressisti di tutto il mondo una bandiera, un concetto di aggregazione e nello stesso tempo di cambiamento.

Cambiamento che rimbalza ovunque in Europa, travalicando anche i “blocchi” con la Primavera di Praga (5 gennaio – 20 agosto 1968) dove le ingessature dei sistemi politici, anche quelli comunisti, vengono messe alla corda, anche se si trasformeranno in eventi drammatici, perché poi alla fine la storia presenterà loro il conto non molti anni dopo.

Questo è il contesto politico, economico e sociale che credo di aver reso abbastanza nitido e a questo vanno aggiunte nei vari paesi – europei soprattutto - le peculiarità che hanno alimentato questa rivoluzione pacifica e pacifista.

Nel maggio ‘67 comincia la Francia dove emerge sempre più la necessità di uscire definitivamente dal periodo colonialista che nel ’64 aveva raggiungo l’apice più drammatico con la guerra d’Algeria.

L’opinione pubblica si sente ormai lontana dai drammi della seconda guerra mondiale esi aspetta ed auspica un balzo in avanti sul piano economico, sociale e politico.

Lo stesso vale per l’Italia dove il boom economico ha indicato le potenzialità e le aspettative che si potevano auspicare, mentre lo sviluppo politico che pure c’era stentava a tenere il passo.

Lo stesso riguarda altri stati europei soprattutto la Germania ormai fuori dai risultati drammatici di due guerre mondiali perse ed una dittatura che ha prodotto danni che ancora oggi aleggiano nelle società.

In questi contesti i principi di eguaglianza, di eguali opportunità, del diritto allo studio, della rappresentatività, dell’attività politica divengono parlar comune e divengono un effetto dei progetti politici degli anni precedenti e sono la fucina per i futuri cambiamenti che avverrano anche in Europa non pochi anni dopo.

Esiste infatti in filo conduttore tra la rivoluzione dei fiori americana, al maggio francese, al
‘68 italiano ai “garofani rossi” portoghesi (che abbattono la dittatura), dove si gettano le basi per un rinnovamenti su tutti i temi sociali, politici, culturali ed economici; è in sostanza una linea di demarcazione, uno spartiacque, che lanciano il mondo verso il progresso generalizzato che si estenderà anche se non in modo compiuto anche nei paesi dell'Asia e del terzo mondo.

In Italia, ma non solo, accadono anche false interpretazioni che, purtroppo, ci trasciniamo ancor oggi: l’eguaglianza spesso si trasforma in egualitarismo, il diritto allo studio ( con l’eliminazione delle scuole industriali, l’introduzione della scuola dell’obbligo e l’apertura dell’università a tutti i diplomi) spesso rischia di trasformarsi in diritto – comunque - al titolo di studio, i diritti neo-dinastici non sempre in puro merito, il diritto al lavoro ed al salario non sempre è accompagnato dall’etica del lavoro.

Quel che più ha preoccupato però sono il tipo di evoluzione della politica dove, accanto alla modernizzazione di partiti vetusti e legati ai “blocchi” (si pensi al grande balzo di consenti ottenuto per anni dal Pci condotto da Enrico Berlinguer), nacquero degenerazioni che nulla hanno a vedere con questo fenomeno: il terrorismo di sinistra controbilanciato da quello di reazione e di destra ha stravolto e piegato, questa modernizzazione, ad ideologie del drammatico passato.

Ecco che chi dice in questi giorni che il ’68 è la matrice del terrorismo e della diffusione di massa delle droghe, non meriterebbe commenti proprio perché preferisce non analizzare seriamente la storia ed inquadrare invece i problemi correttamente senza così addossare responsabilità per pura comodità o,peggio ancora, per strumentalità.

Il terrorismo manifestatosi in quegli anni e seguenti, pur altamente drammatico, è stato un fenomeno per fortuna circoscritto per entità e adesione e pur con difficoltà è stato sostanzialmente eliminato, mentre gli effetti complessivi del “sessantotto” si sono protratti per anni sollecitando tutti al cambiamento pacifico nell’economia, nella società, nella politica e nella cultura.

Il terrorismo in realtà ha tante anime legate a fattori i più disparati, ma molto spesso legati a matrici etniche o religiose, che permane tuttora, con focolai che si spengono con fatica e definitivamente in certe zone, mentre nascono o rinascono nuovi, con altre matrici e con altri scopi in altri luoghi.

Sostenere quindi che il concetto di terrorismo è un principio insito nel fenomeno del “sessantotto” è una solenne bestialità.

Lo stesso dicasi per l’uso delle droghe (leggere): il loro uso può essere stato una manifestazione – per me riprovevole – di “rottura”, di anticonformismo, ma non centra nulla con la diffusione generalizzata delle cosiddette droghe pesanti degli anni successivi; innanzitutto perché il loro uso –nei ceti più abbienti - esisteva in Europa sin dall’ottocento e il suo uso generalizzato è per lo più legato a fattori essenzialmente sociali (per i consumatori) e politici (per i produttori).

Sostenere una diretta correlazione con il “sessantotto” rappresenta una assurdità evidente, quasi a voler sostenere che l’emancipazione economica e sociale ha portato a favorire i vizi popolari !

LE BUGIE RICORRENTI DEL CENTRODESTRA

Anche in questi giorni ricorrono, ripetute, le bugie del centrodestra per cercare in modo evidente di sfilarsi dalle proprie responsabilità, addossando come sport nazionale le colpe esclusivamente alla coalizione di centrosinistra che non ha più maggioranza in parlamento per poter continuare a governare.

Beninteso, queste accuse non intendono minimamente attenuare le responsabilità del centrosinistra nel non aver saputo mantenere coesione politica né una rotta, se pur accidentata, che poteva comunque continuare a produrre risultati positivi.

La prima bugia riguarda l’ offerta di grande coalizione che Berlusconi avrebbe proposto all’ Unione; in realtà la proposta fu fatta subito dopo la chiusura dei seggi ed il riscontro che i risultati elettorati non erano sufficienti per consentire una maggioranza chiara alla coalizione vincente (se pur di poco) sottoforma di lancio pubblicitario che sapeva più di provocazione che proposta credibile.

Soprattutto proposte di questo tipo vanno formalizzate nei dovuti modi soprattutto perché successive ad una campagna elettorale piuttosto velenosa da entrambe le parti, per cui una operazione di questo tipo sarebbe stata poco capita da tutto l’elettorato anche perché non erano per nulla chiari i temi concreti che avrebbero dovuto costituire l’azione di questa formula di governo.

Sarebbe stato quindi difficile sia alla Cdl che all’ Unione spiegare all’opinione pubblica il perché di una simile operazione quando i programmi dei due schieramenti presentavano caratteristiche e ipotesi di soluzione diametralmente opposte.

L’ulteriore riprova è costituita dal fatto che di fronte al rifiuto del centrosinistra la Cdl non ha per nulla insistito e Berlusconi è immediatamente passato ad attaccare accusando di brogli elettorali; tesi assolutamente fantasiosa non solo per il fatto che successivamente l’organo di controllo ha trovato le cose a posto, ma soprattutto perché le elezioni erano state gestite dal ministro Pisanu, ministro degli Interni del governo di centrodestra !

L'accusa di brogli elettorali è stata accompagnata da "drammatiche" enunciazioni sul pericolo dei comunisti al governo e dell'occupazione di questa maggioranza delle più alte cariche dello stato.

Sui comunisti l'affermazione si commenta da sola, mentre sulle cariche dello stato la Cdl ha cominciato con minuetti degni della prima repubblica perchè in cuor suo Berlusconi sperava di poter salire al Colle (come programmato nella campagna elettorale del 2001); alla fine non restava che tagliar corto percè era evidente che su qualsiasi tema anche "istituzionale" tutto era buono per cercare di impedire il decollo della legislatura.

La seconda bugia riguarda la legge elettorale creata e votata a maggioranza in tutta fretta dal governo uscente, la cui modifica rientrava nel programma dell’ Unione, ma non in quello della Cdl.

La decisione di cambiarla è avvenuta su iniziativa del centrosinistra in modo assai faticoso in quanto la bozza di legge è stata portata in commissione parlamentare per la discussione tra i rappresentanti di tutti e due gli schieramenti ed alla fine questa procedura defatigante, ma necessaria (visto che la posizione del centrosinistra era ed è quella di ricercare le più ampie convergenze su questo tema), è giunta finalmente alla discussione in aula.

Da parte del centrodestra in questa fase è uscito sostanzialmente il riconoscimento che la legge in essere non andava per nulla bene (porcellum) e solo l’Udc si è sbilanciata sino a indicare la sua preferenza, mentre Fi è stata per tutto questo tempo alla finestra, fino a che il neo segretario del Pd non ha preso l’iniziativa sollecitando Berlusconi a ricercare un accordo.

Dire quindi ora che in 20 mesi non si è fatto nulla, si dice una mezza verità perché in effetti è proprio il maggior partito a non aver mosso foglia; inoltre i tentativi di Veltroni che non sono iniziati secoli fa, sono nella sostanza, stati snobbati sollevando perplessità sulla convergenza politica dei partiti dell’ Unione.

La cdl si preoccupava – per scopi del tutto evidenti – a cavalcare le eventuali contraddizioni tra i componenti della maggioranza perché in realtà non era interessata al problema ( aspettava da un momento all’altro – da tempo - la caduta del governo Prodi) nè al principio di larga maggioranza parlamentare che implica necessariamente una maggioranza non totalitaria, con possibili dissidenti da una parte o dall’altra.

La riprova è che proprio in questi giorni viene ribadito che non è necessario modificare la legge in questione prima delle elezioni anticipate, perché, appunto è una buona legge (fregandosene pure del referendum e degli effetti che potrà produrre) !

La terza bugia riguarda i sondaggi di gradimento; in questi venti mesi – sin dall’inizio quindi - ne sono usciti di tutti i tipi e di tutte le risme e fra questi il più succoso riguarda quello che accredita il governo ora dimissionario del solo 20% e di converso la coalizione di centrodestra, necessariamente, del restante 80%.

E’ indubbiamente una leva mediatica d’effetto che la Cdl sa perfettamente non essere vera; innanzitutto perché quando si sbandierano simili dati vanno indicate le fonti e le modalità di indagine (ampiezza e tipologia dei campioni usati) e soprattutto perché non viene indicata la risposta alternativa.

Molti possono essere stati poco propensi ad accordare ancora fiducia al governo in carica, ma il gradimento, potrebbe aumentare con una azione diversa del governo stesso senza perciò implicare un cambio di schieramento.

Prova ne è che la Cdl vuole andare il più presto possibile ad elezioni per non perdere quel piccolo vantaggio che sa di avere e che potrebbe rischiare di perdere (a meno che il partito dell’astensione non aumenti esponenzialmente) in quanto sa perfettamente che le adesioni elettorali sono sostanzialmente radicalizzate e solo poche centinaia di migliaia di voti possono spostare il vantaggio per poter governare.

La quanta bugia riguarda la supposta governabilità che si otterrebbe con una maggioranza di centrodestra.

La legge elettorale in essere (ma anche quella precedente) facilita i bipolarismo, ma favorisce necessariamente le aggregazioni eterogenee con evidenti ripercussioni sull’azione di governo; si è visto in questa legislatura, ma lo si è visto anche e soprattutto in tutta quella precedente (nonostante la larga maggioranza) a tal punto che sono riuscite alcune operazioni come quelle relative ai condoni fiscali, alle depenalizzazioni, mentre quelle costituzionali (pervicacemente costruite a larga maggioranza) sono state abbattute dal referendum e quelle relative al decentramento amministrativo e fiscale sono stati spesso enunciate, ma mai attuate per divergenze strutturali tra i principali partiti della coalizione.

Altri temi come la pressione fiscale sono stati affrontati solo modestamente ed altri ancora per nulla presi in considerazione (prezzi, salari e costo della vita).

Auspicare la vittoria del centrodestra quale simbolo di governabilità appare quindi per lo meno bizzarro visto che occorrerà presentare, per vincere, una coalizione ancor più eterogenea di quella del quinquennio precedente.

La quinta bugia riguarda, come una sorta di battage pubblicitario, il minor potere d’acquisto degli italiani, che non sarebbe stato evitato dal governo uscente.

Non si vuole certamente affermare che il fenomeno non esista, anzi, ma cavalcare questa realtà rischia di trasformarsi in un colossale boomerang in quanto dati alla mano si evidenzia che i redditi reali, dei lavoratori dipendenti non crescono dal 2000 (mentre gli altri crescono in termini reali del 18%), anzi nei primi anni del secolo sono diminuiti e solo nell’ultimo biennio sono aumentati sempre in termini reali del 4%.

Certamente il problema è sempre li sul piatto ed occorre insistere, contemporaneamente, su tre leve fondamentali: la diminuzione della pressione fiscale, l’incremento del Pil ed il controllo dei prezzi e tariffe.

Infatti il precedente governo ha solo enunciato azioni sul primo fattore, mentre sul Pil a semplicemente sostenuto che tutta l’economia era in ristagno e che l’Italia non poteva andare in contro tendenza (la Spagna invece si); sul fronte prezzi – da buon governo liberista – non ha voluto metter becco nemmeno nella fase del change over mentre su quello delle tariffe si è voltato dall’altra parte non avendo il coraggio di effettuare tagli strutturali alla spesa.

Risulta quindi del tutto singolare che un simile comportamento dimostrato in passato sia l’approccio migliore per affrontare il problema in futuro; infatti riguardo al Pil ci stiamo dirigendo verso un calo strutturale a causa della recessione che sembrerebbe investire gli Stati Uniti ed i colossi centro asiatici e non traspaiono assolutamente idee per cercare di andar in contro tendenza.

Per quanto riguarda fisco, tariffe e prezzi invece occorre correggere con decisione e coraggio la destinazione delle risorse verso queste tre allocazioni per favorire la crescita delle retribuzioni in termini reali abbandonando quindi quell’ assistenzialismo che non può produrre effetti per chi è già in “no tax area”.

La sesta bugia riguarda la modernizzazione del paese che nel precedente quinquennio è stata solo enunciata (ricordate le tre “i” ?), mentre in realtà solo questo governo uscente ha iniziato ad affrontare.

E’ curioso, un governo di centrosinistra che cerca di scardinare le rendite di posizione, di semplificare gli strumenti dell’apparato statale, ma viene attaccato, con il beneplacito dell’opposizione, dalle tante caste che animano il nostro paese.

Certamente si potrà dire che si doveva cominciare dalle caste più grandi, o che il modo di affrontare quelle numerose e più piccole doveva essere diverso; ma tant’è il centro sinistra ha avuto il coraggio di prendere il toro per le corna e ne ha pagato lo scotto, perché naturalmente in questo quadro politico la maggioranza di turno è autorizzata ad andare a pescare esclusivamente nel proprio bacino elettorale e giammai dove è necessario intervenire senza, giustamente, interessarsi dei particolarismi di settore.

Se queste sono le premesse suonare la grancassa ora per non far nulla poi (a parte il ponte sullo stretto di Messina) risulterà un esercizio meramente dialettico, ma certamente improduttivo.

Concludendo di bugie ve ne saranno anche altre e ben presto le vedremo, forse, emergere, ma quel che è tragico che i danni continueranno ad essere prodotti (implicitamente l’opposizione al centrodestra si deve comunque misurare anche contro le bugie), alimentando individualismo e soprattutto disaffezione verso il ceto politico al quale accordiamo la nostra fiducia e dal quale abbiamo il diritto di pretendere una azione che sia obbiettivamente efficace.

venerdì, febbraio 01, 2008

I MACCHIAVELLISMI DELLA POLITICA CHE GLI ITALIANI NON CONDIVIDONO

La crisi politica che si è sviluppata in modo repentino dapprima con le dimissioni del Guardasigilli Mastella (per l’incidente giudiziario occorso a se stesso e alla moglie ) e subito dopo con il ritiro della fiducia al Governo Prodi da parte dell’ Udeur diretta sempre dal Senatore Mastella, ha lasciato stupefatta l’opinione pubblica, anche se ormai sin dalla sua nascita la maggioranza dell’Unione era data per abortita; ora apparentemente tutti (o molti) auspicano una nuova tornata elettorale, ma ognuno in cuor suo sa perfettamente che il futuro presenta ulteriori e sconosciute incognite.

Le cause della crisi in realtà sono tali e tante che appare assai complicato poterle tutte enunciare, ma esiste un filo conduttore che le riunisce; in buona sostanza all’Unione è successo in modo più netto e drammatico quanto è accaduto nella precedente legislatura al Governo Berlusconi; cioè l’impossibilità di governare in modo deciso a causa delle varie anime che componevano le due coalizioni per cui le scelte che su piano teorico avevano una loro logica – condivisibile o meno – nella realtà stentavano a prender forma o per effetto di veti incrociati o per effetto di mediazioni che cercavano di riassumere i vari punti di vista, molto spesso poco conciliabili.

Per di più il Governo Berlusconi ha smaccatamente operato questo si, in settori e materie, che si sono rivelate assai utili sia al premier che ai suoi sostenitori (condoni), mentre il Governo Prodi, nonostante le sue grandi capacità di tenere insieme una coalizione così eterogenea, ha sortito soluzioni un po’ raffazzonate, poco chiare che avevano l’intenzione di accontentare un po’ tutti, ma che alla fine hanno rischiato di non accontentare nessuno.

In questi 20 mesi di legislatura certamente importanti cose sono state fatte: si pensi soltanto all’azione di rientro nei parametri indicati dalla Ue, alla lotta all’evasione fiscale, alla riduzione del debito e alla creazione dell’avanzo primario; oppure alla manovra verso le aziende con il 3% in meno di cuneo fiscale, alla integrazione delle pensioni minime, al sostegno delle famiglie numerose e/o con redditi bassi, alla revisione del sistema pensionistico e ai primi atti di liberalizzazione.

Ma alcuni nodi socio economici che vengono da molto lontano (inizio anni 2000) sono giunti al pettine per cui la soddisfazione dell’opinione pubblica stentava a crescere (crescita dei redditi reali dei dipendenti vicina allo zero) e la fragilità della coalizione consentiva sia il grande battage dell’opposizione, sia gli interventi “a gamba tesa “ da parte di istituzioni sovra nazionali come la Chiesa Cattolica che certamente approfittavano della situazione per far pesare la propria posizione o convinzione un po’ su tutti i temi (compreso quello che riguarda il modo con cui viene amministrata la Capitale).

La fase assai complicata che vede affrontare la crisi in atto dalla seconda carica dello Stato (Marini) dimostra però che sono le cause politiche strutturali che in realtà hanno portato a questo risultato; intendo dire che quello che accade in questi giorni è la ripetizione, sotto forma diversa, di una situazione di stallo che è sorta nei primi anni 90.

Dobbiamo avere l’onestà intellettuale di riconoscere che il progetto di creare il bipolarismo in Italia è miseramente fallito (e questo gli italiani l’hanno capito benissimo) perché gli strumenti utilizzati hanno costretto – con la legge elettorale che da il premio di maggioranza alla coalizione con più voti – i vari partiti ad aggregazioni troppo eterogenee, per cui nell’esercizio di governo sono poi emerse poi chiaramente le diversità e quindi l’incapacità di decidere comunque.

In questo contesto il Pd, con il suo segretario, ha capito benissimo dove sta il baco ed in tal senso ha lanciato dichiarazioni che appaiono politicamente suicide, ma che in realtà intendono spezzare questa situazione di stallo perché la prospettiva è che ci potranno essere imminenti nuove elezioni i cui risultati, comunque, non elimineranno queste fragilità, con la conseguenza che non si riuscirà – qualsiasi sia il risultato – ad attuare quello che invece occorre al paese: crescita, distribuzione equa della ricchezza, modernizzazione, economie sui costi di struttura e d’esercizio, diminuzione del debito.

Questo in effetti è stato poco capito nella coalizione di centro sinistra (Veltroni è stato accusato di presunzione e supponenza), mentre è stato capito benissimo dalla coalizione di centrodestra la quale inneggiando al diritto inviolabile del popolo a esprimere nuovamente il suo voto, in realtà intende mantenere la situazione in stallo affinché nulla cambi (non dimentichiamo che sono dei conservatori).

Tutto questo nonostante le divisioni di fine anno collegate allo strappo di Berlusconi con il lancio di un nuovo partito e le diaspore che avvengono in questi giorni all’interno dei partiti di questa coalizione.

Non si vuole infatti procedere di comune accordo alla stesura di una nuova legge elettorale che porti ad una reale capacità di governo , preferendo il sistema attuale, perché questo non imporrebbe innanzitutto chiarezza estrema con il proprio elettorato potenziale, abbandonando gli slogan mediatici, con alleanze chiare ed effettivamente condivise; certamente non è facile affrontare una politica del contenimento della spesa pubblica, della diminuzione conseguente della pressione fiscale, dell’incremento della ricchezza prodotta e della sua distribuzione tra i soggetti che la producono (lavoratori ed imprenditori), ma si preferisce puntare surrettiziamente a raggiungere una maggioranza non è di per sé sufficiente per garantire un governo che produca risultati reali.

Appare del tutto chiaro che si vuol andare subito (si fa per dire) alle elezioni per cogliere – forse – l’attimo fuggente, ma poi, senza obbiettivi chiari, non sarà per nulla facile chiedere – se necessario – sacrifici o rinunce agli italiani; come sempre poi si attaccano –semplicisticamente - i partiti dello schieramento avverso accusandoli di temere il responso delle urne.

Si fa forse finta di nulla, ma ci stiamo avvicinando, volenti o nolenti, alla fine della cosiddetta seconda repubblica: è questione di tempo (fare elezioni subito sposta il referendum all'anno prossimo, ma non l'elelimina) e ben sarebbe che responsabilmente anche in questa fase si attuassero quei cambiamenti che effettivamente favorissero le aggregazioni politiche stabili (il bipolarismo fittizio ha prodotto la proliferazione dei partiti che non si arresta vista anche la recente nascita della “rosa bianca”) eliminando il premio di maggioranza e sostituendolo con lo sbarramento (5% ? ) affinché la rappresentanza politica sia - forse – minore, ma con una capacità di governo effettiva.

Questo significherebbe che il ceto politico per primo metterebbe mano a smontare la cosiddetta “casta”(nel progetto di modifica istituzionale e costituzionale c'è anche la diminuzione dei parlamentari, la modifica del sistema bicamerale perfetto, le preferenze,ecc), ma significherebbe anche autorevolezza nello smontare tutte le altre caste che affliggono il nostro paese e delle quali tutti gli italiani sono ormai arcistufi.

Diversamente la spaccatura – quali che siano i risultati elettorali – si manterrà netta e chi ne soffrirà sarà il nostro paese che manterrà caratteristiche contrapposte: di potenza economica (in declino ) e di paese del terzo modo.