domenica, dicembre 18, 2005

Da Michele Sindona a Giampiero Fiorani, passando per Guido Calvi

DA MICHELE SINDONA A GIAMPIERO FIORANI PASSANDO PER GUIDO CALVI

I recenti avvenimenti che hanno coinvolto il management recentemente dimessosi della Banca Popolare di Lodi, ora Banca Popolare Italiana e sottoposto a regime restrittivo in questi giorni da parte della magistratura, fanno drammaticamente emergere eventi avvenuti negli ultimi 35 anni, eventi che purtroppo non ci hanno insegnato nulla e, per di più, che questi non sono per nulla dissimili da altri, come per esempio il caso Parmalat, dove sono venute chiaramente a galla, oltre che le responsabilità oggettive dei vari attori, le incapacità del sistema a creare controlli veramente adeguati e tempestivi.
E' bene comunque esser chiari su una premessa: in un sistema economico di libero mercato debbono essere chiare le regole di comportamento e altrettanto chiare le regole di controllo da parte delle istituzioni nelle loro diverse formule; non si tratta assolutamente di concepire un sistema per così dire "in libertà vigilata" bensì un sistema ben organizzato, ben delimitato e con pesi e contrappesi che precorra l'orientamento del mercato perchè questo rende il mercato stesso trasparente e soprattutto contribuisce a generare principi etici, a cui gli operatori possono o meglio debbono ispirarsi.
Questo concetto va visto ovviamente in continua evoluzione, perchè illimitate sono le combinazioni che liberamente si posso generare nel mercato, ma è certo che se non vi è preventiva analisi dell'evoluzione del mercato e conseguenti misure di controllo, il risultato è che possono sorgere disastri come quello che stiamo vivendo in questi giorni, nei quali si possono inserire altri fenomeni di malcostume o di azioni occulte che alterano i rapporti sociali ed economici di una collettività.
Nei primi anni settanta scoppiò lo scandalo della Banca Unione e della Banca Privata Finanziaria di Michele Sindona e pensavamo tutti che fosse un brutto evento, una mela marcia, che purtroppo dovevamo mettere in conto come se fosse un fattore puramente statistico; allora, peraltro, il sistema bancario aveva strumenti di controllo molto rigidi vigendo il principio che era consentito solo ciò che era previsto ed era vietato pertanto tutto il resto.
Ma ciò non di meno accadde questa brutta storia che fini tragicamente per alcuni attori come lo stesso Sindona ed il curatore della procedura Dr. Ambrosoli.
Dieci anni dopo accadde lo scandalo del Banco Ambrosiano di Guido Calvi ed anche qui, superata la bufera, tutti pensammo che quel brutto episodio, culminato con lo strano suicidio dello stesso Calvi, fosse un evento eccezionale che aveva superato le maglie del controllo da parte di Bankitalia.
Oggi siamo di nuovo daccapo: le regole che pur esistono, poggiano su principi più liberistici, ma non sono state in grado ne di prevenire ne di reprimere un evento che ci ricorda molto il passato.
Ci sono istituzioni di controllo come la Consob che affiancano, per le società quotate in borsa, l'Istituto di vigilanza, ma ciò nonostante, come nel caso di aziende industriali soggette a procedure concorsuali, si sono potuti commettere reati come l'aggiottaggio, l'inside trading,ed altri ancora, senza colpo ferire.
E' evidente che qualche cosa non ha funzionato nelle nuove regole che hanno liberalizzato il settore bancario; è vero che la spinta alla liberalizzazione del sistema bancario ha prodotto certamente maggior competitività, maggior aggregazione, nuove regole per così dire ex post come l'accordo di Basilea sui criteri di erogazione del credito, ma accanto a gruppi bancari come ImiSanpaolo, Intesa, Unicredit e Montepaschi, dove le nuove opportunità hanno generato la nascita e la crescita di aziende sempre più solide e proiettate sul mercato internazionale, si sono sviluppati gruppi dimostratisi fasulli come quello di Bpi.
Le istituzioni di controllo avrebbero dovuto essere più attente sulla crescita del sistema bancario italiano perchè non è possibile domandarsi ora come mai uno a scelta dei gruppi su indicati abbia impiegato quasi un decennio per aggregarsi e soprattutto integrarsi, mentre altri sono invece "esplosi" in pochissimi anni.
Qui non si tratta di dire che nel primo caso il management era lento e vecchio, mentre nell'altro era più vispo e rampante: la realtà dimostra che l 'etica professionale del primo prevaleva sul suo operato, mentre nell'altro vigeva la regola del crescere a qualunque costo, eludendo le regole di una sana e accorta gestione.
Quel che è ancor peggio poi, è costituito dalla rete di connivenze, di protezioni e di favoritismi che si sono sviluppate, più o meno, alla luce del sole, per cui tanti sapevano, ma vi era il chiaro interesse personale affinché tutto fosse sopito o addirittura insabbiato.
Anche in questo caso non si è certo trattato di seguire o consigliare i modi e tempi di crescita di una iniziativa bancaria da parte delle istituzioni, bensì favorire azioni che poggiavano sulle sabbie mobili ed erano comunque poste in essere per generare valore solo per gli attori.
Un primo elemento che ha indebolito il sistema bancario nella fase della liberalizzazione è quello di non aver posto particolare attenzione sul controllo tra i soci rilevanti di un gruppo bancario e le ragioni di credito che questo può avere nei confronti degli stessi; un tempo era impedito da parte dell'imprenditoria industriale partecipare in modo significativo a banche, ora con la leberalizzazione ciò è possibile, ma non vi è alcun controllo né da parte dell'istituto di vigilanza né da parte di Consob sugli impegni che questa classe di soci ha nei confronti della banca stessa, o di altre banche.
Il risultato è quindi demandato alla correttezza ed onestà dei singoli, ma se tra questi alcuni soggetti intendono approfittare della mancanza di controllo, ponendo in essere operazioni azzardate con il sostegno di banche e banchieri compiacenti, ecco che nascono gli scandali, neppure tanto sbandierati, come per esempio la scalata estiva alla Rcs.
Ora un grande banchiere come l’attuale direttore generale di Bpi, Divo Gronchi, deve sbrogliare un bel papocchio costituito dall’utilizzo di una linea di credito, garantita totalmente da azioni che nel frattempo sono scese di prezzo: bella operazione bancaria questa, nella quale il cliente non sborsa un euro, addossando tutto il rischio alla banca.
Inoltre di operazioni di questo tipo ce ne sono diverse per cui quella citata è la più evidente ma non l’unica; abbiamo infatti saputo di concessioni dello stesso tipo per importi più contenuti cocessi a destra e a manca, concessioni di credito a banchieri di altri gruppi bancario/assicurativi, ma il giudizio non può essere che negativo .
Basterebbe applicare la vecchia regola che vigeva per le bance popolari le quali avevano l'obbligo di "incrociare" gli impegni dei clienti con l'eventuale detenzione di quote azionarie: oggi si parla molto di conflitto di interessi,ad ogni piè sospinto, ma in questo caso la regola sembrerebbe non esistere nel modo più assoluto.
Un secondo elemento è costituito dal fatto che molte banche di alto livello come quelle sopra descritte hanno introdotto, nelle proprie regole di governo, quella della valutazione del "clente a rischio rilevante" ovvero "grandi operazioni finanziarie" riconducibili ad un unico soggetto economico per cui la segmentazione, nell'analisi del rischio, fa emergere le eventuali anomalie e rischiosità, per cui eventuali connivenze o valutazioni per così dire pilotate non sono possibili perchè dovrebbe interessare tutta la filiera di governo, dalla filiale al Consiglio d'Amministrazione.
Nel caso invece oggetto dell'attuale scandalo, sembrerebbe che i criteri di governo sono simili a quelli di una bottega a conduzione famigliare, ma applicati ad una azienda con migliaia di dipendenti ed oltre mille punti vendita, per cui le regole dettate dal trattato di Basilea, visto che c'è ancora tempo, potranno entrare in vigore in più in là possibile. .
Un terzo elemento riguarda le partecipazioni off shore che fanno capo sia all'impresa bancaria che alla sua clientela: le prime, se proprio debbono esistere, vanno accuratamente analizzate dalle istituzioni di controllo per la determinazione del reale patrimonio netto e dove non vi è chiarezza i valori relativi vanno senz'altro cassati; per le seconde dovrebbe valere da parte della banca l'obbligo alla valutazione complessiva del "cliente a rischio rilevante" come detto in precedenza.
Dagli eventi di questi giorni non sembrerebbe che questo esista o sia effettivamente efficace, perchè stanno emergendo fatti ed atti del tutto simili a quelli degli scandali Sindona e Calvi.
Si pensava che il "back to back" inventato e scoperto nel Gruppo Ferruzzi non fosse più possibile, ma la realtà dimostra proprio il contrario e quel che è peggio che non si è fatto nulla perché ciò possa ancora accadere.
A questo punto ben si comprende che simili falle si verificarono un tempo e si sono verificate nel recente passato lasciando il ragionevole dubbio, se non si pongono in essere efficienti rimedi, che ciò possa in modo del tutto incidentale accadere in futuro.
Abbiamo per un certo verso modernizzato, o cerchiamo di modernizzare il sistema economico depenalizzando il falso in bilancio, o scrivendo le regole con la Legge sul risparmio ( anche se stiamo impiegando una legislatura per vararla), di contrappesi non se ne vede l'ombra, o per lo meno non si vedono azioni efficienti che producano risultati altamente soddisfacenti.
Negli Usa, lo scandalo Erron, produsse in soli 6 mesi nuove e più ferree regole che impedissero scandali futuri, noi invece abbiamo prodotto sempre cambiamenti a metà, prestando il fianco, non so a questo punto quanto inconsapevolmente, ad atti che hanno consentito scorrettezze e ruberie non di poco conto.
Riguardo alla depenalizzazione del falso in bilancio abbiamo creato una norma con intenti liberistici, ma
nella realtà si è creato un mostro che potrà consentire altri scandali; in sostanza la nuova norma sostiene la non procedibilità nel caso di falsi in bilancio, qualora questi non ledano i diritti i terzi ai quali è fatto l’obbligo di farsi parte attiva nella denuncia, pena la decadenza del reato stesso.
Questa è una aberrazione perché in qualsiasi società, quotata e non, i terzi che potrebbero essere lesi dal falso in bilancio sono: i dipendenti, i fornitori, le banche, lo stato, gli istituti previdenziali, e i soci di minoranza; l’unico caso in cui sarebbe veramente applicabile e quello della società a socio unico che non ha assolutamente nemmeno un debito nemmeno nei confronti dei dipendenti, dell’erario e degli enti previdenziali !
Per quanto riguarda poi la legge sul risparmio che appare sempre più una tela di Penelope, occorre essere estremamente chiari riguardo, in particolare, alle nuove regole di governo che si vorrebbero introdurre in Banca d’Italia; occorre premettere che la mancanza di scadenza dell’incarico dato al Governatore risale agli anni 20 dello scorso secolo, dopo lo scandalo della Banca Romana, per sancire la sua assoluta autonomia, che non poté essere scalfita da nessuno, nemmeno dal Duce.
La realtà ha dimostrato che questa formula ha sempre funzionato per l’alto senso di responsabilità di chi si è avvicendato nell’incarico e nel caso in cui vi fu qualche problema il Governatore del momento rassegnò le dimissioni a velocità inaudita: ricordo quelle del Professor Paolo Baffi che si dimise perché uno scandalo coinvolse, di striscio, il responsabile della Vigilanza Sarcinelli, coinvolgimento che poi si rivelò infondato; questi grandi manager però non ci pensarono un momento a togliere il disturbo, per non creare imbarazzo oltre che a sé alle istituzioni.
Ora invece sono mesi che l’attuale Governatore viene attaccato da destra e da sinistra, apprendiamo che è indagato, da mesi, dalla magistratura e nulla accade, nessuno riesce a trovare la strada per metterlo alla porta; lo stesso continua per la sua strada, dimostrando di non avere l’onestà intellettuale di farsi da parte, indifferente all’imbarazzo che crea al l’Italia nel consesso internazionale.
Ebbene, trasformare l’incarico del Governatore a scadenza, deve assolutamente ribadire la sua piena autonomia, magari introducendo organi collegiali che consentano il controllo reciproco.
Questo modus operandi ha infine, ma non ultimo, favorito la caduta del livello etico del management bancario, che opera spesso con deprecabile disinvoltura, scambiandosi talvolta favori del tutto interessati, e punta esclusivamente al risultato immediato, senza preoccuparsi minimamente dei risultati successivi.
Buona regola invece di qualsiasi manager, bancario e non, è quello di agire con correttezza per generare, con la sua opera, valore nel tempo, limitandosi a beneficiare di quanto il suo status ed i suoi risultati riusciranno a produrre, trattandosi sempre, a tutti i livelli, di somme di tutto rispetto, proprio erogate affinché non nascano strane idee.
Già le stock options (molto meno le stock granting) infatti si possono prestare a manovre eccessivamente interessate (lo si è visto in più di qualche frangente), ma se a queste si aggiungono desideri di malversazione, penso proprio che qualsiasi impresa debba fare a meno di uomini di questo genere.
lucio.sorge@lsfs.biz

martedì, novembre 22, 2005

LIBERTA' E OLIGOPOLIO STRISCIANTE DEI CANALI MULTIMEDIALI

Il recente articolo“ Tv extra terrestre “ apparso sul numero 45/46 de L’Espresso illustra molto chiaramente le prospettive imminenti e prospettiche, nel breve periodo, che riguarderanno la trasmissione del segnale televisivo in Italia, grazie anche alla recenti Leggi Gasparri e Landolfi sulle telecomunicazioni.

E’ fuor di dubbio che la innovazione tecnologica anche in questo settore si deve e si dovrà sviluppare su spazi illimitati, ma quello che traspare nello sviluppo dei canali mediatici, per come è impostato, invece ha risvolti assai preoccupanti.

E’ buona regola rammentare che l’innovazione, in qualsiasi settore produttivo, ha lo scopo di amplificare i cosiddetti “ segnali deboli”, ovvero le aspettative latenti del un mercato di riferimento nel quale clienti e consumatori auspicano novità di cui hanno bisogno ma che non esistono sul mercato stesso.

Quando invece l’innovazione viene programmata per cercare di imporre un qualche prodotto o servizio che amplifica quelli esistenti, ma del quale clienti e consumatori non sentono assolutamente alcuna necessità, ecco che vi è il rischio assai fondato che possano essere limitate le volontà individuali a favore di un numero assai ristretto di imprese.

Per meglio spiegarsi evidenzio che quando la Rai decise di emettere il segnale di trasmissione anche per le tv a colori (con la lunga diatriba se utilizzare il segnale con il sistema Pal o Secam), la stessa continuò per qualche decennio a trasmettere anche il segnale in bianco e nero; il mercato e quindi i consumatori ebbero la piena libertà di scegliere e lo fecero con i loro tempi, sostituendo a poco a poco i vecchi tv con quelli a colori.

Altro esempio può essere costituito dalle carte di credito che all’inizio ,come status symbol, erano assai numerose nei portafogli degli italiani, ma ora che viene richiesta e data la multi funzionalità il loro numero nelle tasche di ogni italiano si è ridotto (manca solo l’introduzione del microchip che esiste invece dal oltre 10 anni sulle carte dei nostri vicini francesi).

Tornando al tema principale evidenzio che l’aspetto preoccupante è costituito dal fatto che è già in programma lo spegnimento del segnale analogico sostituendolo con quello digitale, obbligando quindi i consumatori a scelte che non hanno deciso in piena autonomia, pena l’oscuramento del tv stesso.

Il “segnale debole” – ci dicono – sarebbe costituito dalla aspettativa dei consumatori di avere a disposizione molti più canali di ora e a più alta definizione, mentre invece penso che si voglia creare un nuovo core business perché solo apparentemente questa trasformazione non comporterà spese aggiuntive per gli utenti ; infatti il decoder offerto con il contributo dello stato (che siamo poi tutti noi), funziona per un solo apparecchio tv mentre sappiamo tutti che ogni famiglia ha più di una televisione in casa.

Inoltre i canali così moltiplicati permetteranno una diffusione di programmi specializzati naturalmente a pagamento per cui il sistema pay per view verrebbe generalizzato anche sulla tv terrestre per cui verrebbe stravolto in modo subdolo e strisciante l’ attuale sistema nel quale il telespettatore decide che cosa vuol vedere su Rai e tv commerciali senza nulla pagare (a parte il canone per la tv di stato).

Altro aspetto preoccupante è costituito dal fatto che una volta generalizzato questo nuovo sistema vi sarà solo la “libertà” di scegliere quello che le emittenti hanno deciso di mettere in visione, su uno strumento che fa parte della vita quotidiana di ogni italiano.

Questa grande innovazione poi non tiene assolutamente conto che esistono altri canali di trasmissione, internet in primis, per cui se proprio si volesse preparare una “rivoluzione” del sistema di trasmissione mediatica, occorrerebbe sin da ora preparare il collegamento tra il segnale digitale e la trasmissione via internet, rispettando, nel modo più assoluto la libertà di “navigazione” gratuita, che consentirebbe ai telespettatori, con molta semplicità, di continuare a fare ciò che fanno tuttora o se lo desiderano (e ne hanno il tempo) di folleggiare su 200 canali e più.

Questa si , sarebbe una grande innovazione di business, che necessiterebbe di tempi assai lunghi ( nei quali i due tipi di segnale dovranno necessariamente coesistere) perché da un lato metterebbe a confronto le società televisive con le società di telecomunicazioni e dall’altro le società produttrici di decoder con quelle produttrici di tv.

Questo comporterebbe infatti un cambiamento degli strumenti tecnologici per quantità colossali (le famiglie italiane sono circa 16,5 milioni), dove effettivamente gli acquisti dei nuovi prodotti sarà direttamente collegato alle necessità attese e dove il meccanismo di mercato consentirà da un lato progressive economie di scala per i produttori e prezzi velocemente discendenti per i consumatori, ne più ne meno di quanto è accaduto nel mercato dei videoregistratori piuttosto che in quello dei telefonini o dei televisori tradizionali.

Per le società televisive quindi non cambierà nulla perché si sosterranno sempre più con canone e pubblicità, mentre quelle di telecomunicazione continueranno a sostenersi con il traffico di telecomunicazione che ovviamente crescerà ulteriormente.

Penso pertanto che il progetto di cambiamento vada prontamente rivisto sia ne metodo che nel merito, mettendo al primo posto il principio di libertà individuale e delle necessità attese di ogni cittadino ( il cittadino non vuole essere assolutamente costretto ad “attraversare la strada” ); così come impostato evidenzia in modo lampante che il progetto è ora fatto per i produttori di decoder, domani lo sarà per le compagnie di tlc, e dopo domani per i produttori di tv, mentre ai telespettatori non resterà che subire passivamente questa trasformazione.

mercoledì, novembre 16, 2005

Mercato del lavoro e sviluppo economico

Il Mercato del lavoro, negli ultimi 10 anni, ha avuto quattro grandi riforme che hanno decisamente impattato sull'andamento dello sviluppo del nostro paese, producendo vangaggi, ma anche grandi contraddizioni che hanno "remato" contro una crescita significativa del Pil, peraltro influenzato dall'andamento dell'economia mondiale e dall'emergere - c'era da aspettarselo - delle economie orientali ed asiatiche.

Le riforme in analisi si possono riassumere in due filoni:la prima quella pensionistica e previdenziale, la seconda quella dei contratti di lavoro per la prima occupazione.

Occorre premettere che il panorama del mondo del lavoro dipendente italiano può essere riassunto in un modello nel quale l'occupazione si è - ed è - contratta progressivamente trasformandosi in occupazione autonoma per effetto, principalmente, della trasformazione organizzativa delle grandi aziende e per la nascita di nuove imprese, anche di servizi innovativi.
A questo va aggiunto che la natalità (netta) si è negli ultimi vent'anni assotigliata sempre di più (fino alla crescita zero)e per contro la vita media si è e si sta progressivamente allungando.

Pertanto questi aspetti avrebbero imposto sia la modifica, con due leggi,delle soglie di età pensionabile, sia il criterio per la determinazione della pensione, al quale va aggiunto la legge Maroni, ancora allo studio, per la trasformazione del trattamento di fine rapporto in pensione aggiuntiva.
In un panorama economico con crescita, occorre dirlo con tutta sincerità, mediamente modesto, questa manovra ha di fatto ridotto - con progressività -le risorse future degli occupati e nel contempo ha lasciato trasparire il pericolo di precludere l'entrata delle nuove generazioni nel mondo del lavoro.

Da qui è sorta la conseguente necessità di introdurre principi di forte flessibilità, anche qui con due leggi (l'ultima la L.30 "Biagi"), per favorire gli accessi al primo impiego sia dipendente che autonomo e parasubordinato.
Purtroppo però è mancata una forte e continua politica economica (a prescidere dalle coalizione che si sono succedute), per cui il mondo delle imprese ha preferito favorire molto più l'efficenza (produttività)che l'efficacia (innovazione), più le innovazioni di processo che di prodotto e il mercato divenuto globalizzato ci sta ora presentando il conto.

La poco efficace politica economica ha poi permesso che emergessero due grandi contraddizioni: la prima è che lo Stato con i suoi nuovi istituti previdenziali chiede ai lavoratori di lavorare fino a 60/65 anni (anche perchè l'inizio dell'età lavorativa si è fortemente alzato), ma le inprese - anche attraverso nuovi ammortizzatori sociali - chiedono di smettere molto prima, a 50/55 anni.
La seconda è che le leggi di flessibilità, largamente applicate, dimostrano che spazi per la nuova occupazione ce ne sono tuttora, ma che si tratta in buona sostanza soltanto di diminuire il costo del lavoro rinunciando alla "specializzazione".
Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato viene visto molto spesso come il fumo negli occhi, anche se non pochi sono i casi in cui lavoratori vengono assunti e licenziati ogni 12 mesi dallo stesso datore di lavoro e per lo stesso ruolo, per anni fino a che, dopo un lustro, il "tempo di prova" viene finalmente trasformato in assunzione stabile.
Altri imprenditori invece non sono di questo avviso e pur non "tenendo le renne sotto casa", preferiscono se pur con cautela consolidare le proprie maestranze, perchè la volatilità di queste creerebbe forti problemi nello sviluppare il lavoro con la propria clientela.

Le imprese nel loro complesso quindi hanno preferito investire sulla produttività e sulla diminuzione di taluni costi, rinunciando - nel complesso - molto spesso alla ricerca di innovazione nella quale, il lavoro, non può essere considerata una variabile indicentale.
Si è verificato e si sta verificando in buona sostanza quello che è accaduto al nostro sistema scolastico (universitario in particolare) dove le menti "eccellenti" tendono ad emigrare all'estero, oppure si orientano più frequentemente verso discipline umanistiche; inoltre, quando ne abbiamo bisogno - come in parte del settore informatico - preferiamo delocalizzare in India o in Asia piuttosto che importare lavoratori altamente qualificati.
Anche questo fenomeno ricade sul mondo delle imprese italiane, come ricade senz'altro l'uscita anzitempo di lavoratori, molto spesso qualificati, destinati nella migliore delle ipotesi alla "libera professione" o a dedicarsi al tempo libero
Un fatto preoccupante che si potrebbe verificare fra non molto nel "mitico" nord-est sarà appunto la mancanza di ricambio nella forza lavoro poichè una intera generazione, attirata dalla facilità con cui si poteva trovar lavoro, ha smesso anzitempo di frequentare scuole superiori e università e da questa fascia minore sarà la quantità di eccellenze che potranno condurre le imprese nei prossimi anni.

Un tempo l' etica del lavoro era correlata alla capicità di saper fare e fu ridimensionata dall' introduzione dell'automazione soprattutto nella produzione industriale, ma ora che potremmo utilizzarla nei settori più innovativi preferiamo farne a meno, considerandola troppo impegnativa e preferendo semplicemente ricorrere a strumenti esterni come l'outsurcing che ci aiutano, ma non ci qualificano nè ci contraddistinguono.

Se vi fosse stata una vigorosa politica economica invece, avremmo avuto certamente indirizzi più chiari delle linee su cui sviluppare l'economia, l'indicazione dei settori produttivi e di servizi nei quali è sufficiente il mantenimento e il sostegno ai settori nei quali vale la pena investire in modo significativo, utilizzando per questo cambiamento sia le esperienze e le qualificazioni dei dipendenti anziani, sia la vitalità e le specializzazioni dei nuovi occupati.
Un esempio per tutti: siamo la prima potenza agricola d'Europa, ma i nostri agrocoltori hanno i margini di redditività più bassi dell'Europa stessa, mentre il Regno Unito ha fatto una scelta coraggiosa abbandonando il settore meccanico (che non è comunque sparito) a favore dei servizi anche finanziari.

Per la verità l'iniziativa imprenditoriale e le regole di mercato aperto hanno comunque fatto sorgere iniziative nuove ed innovative,penso alle telecomunicazioni per esempio, peccato che questo settore si stia progressivamente riducendo poichè già due compagnie sono finite in mani straniere.
Qui non si tratta ovviamente di fare del nazionalismo ne del dirigismo, ma se per esempio scegliamo, come abbiamo scelto, di ridurre la produzione interna di calzature, o di abiti, dobbiamo orientarci a produzioni di beni o servizi piu qualificati ed innovativi e non delocalizzare semplicemente, facendo ricadere sullo stato sociale gli oneri di una occupazione che cresce moderatamente e su basi assai fragili (Germania docet).
Ne consegue che i processi produttivi sempre più automatizzati non necessitano di maestranze altamente qualificate; ne emerge anche l'alta interscambiabilità dei nuovi occupati, buoni più per un call center, che per sviluppare nuovi prodotti o servizi.

Ancora sulla mancata vigorosa politica economica: per diminuire lo stock del debito pubblico si son fatte grandi privatizzazioni, pensando che mercato e concorrenza avrebbero prodotto automaticamente efficenza, concorrenza con la diminuzione dei prezzi, ma è mancata la liberalizzazione dei settori protetti per cui ad un monopolio pubblico si è sostituito un monopolio privato, ma di concorrenza se ne è vista ben poca e di diminuzione dei prezzi ancora meno.

Si ha quindi sempre più la sensazione che la scarsa politica economica sia frutto di un grande compromesso: da un lato si predica il libero mercato, la libera iniziativa, la concorrenza che produrrebbero maggior qualità, quantità ed economicità di beni e servizi, ma d'altra si teme di fare il passo più lungo della gamba non attuando completamente il cambiamento.
Abbiasmo visto che grande cambiamento è e stà avvenendo nel mondo del lavoro dipendente e non (con indubbi sacrifici impliciti), ma sul fronte delle imprese, nel loro complesso, nascono i distinguo, nascono i ma o i se, con risultati certamente non soddisfacenti.
Il male della nostra struttura economica sta proprio qui: abbiamo una paura folle di abbandonare il modello del boom economico quando eravamo "i cinesi" d'Europa e non ci accorgiamo che i cinesi sono già arrivati.

sabato, novembre 12, 2005

Le esternazioni del Cav. Berlusconi

Certamente il Presidente Berlusconi non finirà mai di stupirci con i suoi interventi "mirati" che giornalmente ci proprina, tutti volti a creare audience, ma soprattutto volti a recuperare consensi che gli sono necessari per cercare di rivincere le prossime elezioni politiche.

L'ultima, sentita ieri in un breve resoconto al tg ( a causa dello sciopero in corso) riguarda le sue considerazioni sul nazismo del tutto simile al comunismo, per poi giungere rapidamente all'Italia che rischia di essere governata da ex-post-comunisti, no comprendendo che simili suoi
interventi gli risulteranno certamente controproducenti.

La strumentalità è evidente perchè l'analisi di questi eventi politici e storici è obbiettivamente assai conplessa e le responsabilità, senza voler cercare di attenuarle, sono altrettanto complesse ed articolate per cui giungere a rapide conclusioni sulla attualità politica italiana, risulta
assai azzardato.

Molto rapidamente, riguardo al panorama storico rilevato dal Predisente del Consiglio, credo occorra sottolineare che la nascita del comunismo, del nazismo dapprima e della turbolenza medio orientale poi sono frutto della prima guerra mondiale con la quale le potenze illuminate di Francia ed Regno Unito (gli Stati Uniti non erano ancora la grande forza politica raggiunta
con la seconda guerra mondiale sino ad oggi)intendevano "liquidare" tre grandi imperi che stavano sempre più avvitandosi su posizioni anacronistiche:l' Impero Austroungarico, Quello Russo e quello Ottomano (un caso a parte è l'Italia che pur vincendo la guerra, i danni e la
disgregazione conseguente portarono alla nascita del fascismo).

Ancora una volta abbiamo la riprova che le guerre non servono a migliorare la società, ma caso mai a fare semplicemente soldi; infatti il risultato è stato che si son sostituite a strutture imperialiste strutture totalitarie (sin dall'inizio o successivamente), mentre nella penisola arabica la spartizione tra Francia e Inghilterra ha creato il bel "papocchio" della Palestina con la creazione nel 1948 dello stato di Israele, ma non quello di Palestina.
Questo non vuol certo dire che le grandi potenze di allora siano responsabili delle abberrazioni dei totalitarismi, ma certamente la loro azione non ha nemmeno ipotizzato che queste potessero nascere e men che meno hanno tentato o contribuito ad evitare che queste sorgessero.
La realpolitik del momento ha invece creato accordi, alleanze sfociate anche in trattati, ma ben si guardarono di contestare alcunchè preferendo voltarsi dall'altra parte.
Le responsabilità implicite del nazismo, fascismo e comunismo Urss, sono comunque integre e la storia ha già dimostrato la loro indubbia negatività.

Anche la seconda guerra mondiale ha continuato nell'obiettivo di smantellare il terzo Reich e di ridimensionare fortemente le velleità dell'impero del sol levante, ma le alleanze tenute con l'Urss si son ben guardate dal prendere in considerazione non tanto la politica sviluppata da quest'ultima, quanto le abberrazioni sviluppatesi al suo interno.

Per precisione di cronaca è bene rammentare che le differenze ideologiche tra nazifascismo e comunismo sono sempre state evidenti: il primo basato sulla superiorità razziale ha visto fallire il suo modello sociale mentre il secondo basato sul collettivismo ha visto fallire il modello economico (dove il gulag ereditato dagli zar - è stato inequivocabilmente una riprovevole aberrazione, ma non un elemento del modello economico stesso).

E bene ancora rammentare che la rivoluzione sovietica ha contribuito a smantellare un impero nel quale sostanzialmente non esisteva una borghesia indoddisfatta come in quella francese,per cui lo smantellamento di uno stato feudale, non poteva che essere sostituito da un modello
collettivistico.

Il fatto drammatico è stato che questo modello è stato perpetrato continuamente facendo emergere sia contraddizioni, sia storture e drammi che hanno fortemente influenzato le categorie sociali dell' Urss stessa.

Dopo la seconda guerra mondiale la nascita dei due blocchi voluta - è bene esser chiari- da tutti ha consentito che le abberrazioni in Urss continuassero e si acuissero ulteriormente, ma anche qui, quando si costituiscono i bilateralismi, si può contribuire a creare situazioni antidemocratiche soprattutto nelle società o negli stati in formazione (la riprova la riscontriamo negli stati africani o arabi liberatisi dal colonialismo dove le democrazie stentano ad emergere ancora oggi a
distanza di parecchi decenni).

Quanto sopra esposto credo dimostri quanto complessa ed articolata sia l'analisi in particolare del comunismo e quanto molto occorra aggiungere per completare e giudicare il comunismo (in questa breve analisi solo sovietico).

Passando al movimento comunista italiano poi l'analisi è certamente articolata anche se non così complessa; certo è che il movimento si è evoluto passando dal collateralismo con l'Urss, attraverso anche drammatiche scissioni, sino ai giorni nostri dove il principale partito, il Pci, è ormai sepolto da oltre 10 anni.
Peraltro occorre dire che anche altri partiti come Rifondazione e Comunisti italiani, pur rimanendo collegati agli ideali storici del comunismo, si sono decisamente ed inequivocabilmente evoluti per cui certi principi sono stati anch'essi decisamente accantonati per il loro anacronismo.

Da parte di Berlusconi pertanto appare decisamente curioso ed azzardato cercare di terrorizzare l'opinione pubblica e l'elettorato auspicando il pericolo di momenti bui per la democrazia italiana, qualora il centro sinistra (ed i "comunisti" al suo interno) vincesse le elezioni politiche
nel 2006, per il semplice motivo che tutto ciò è antistorico: in primo luogo perchè il movimento comunista - con il Pci - in Italia ha contribuito alla crescita della Repubblica italiana sin dalla sua nascita e poi perchè le amministrazioni sia locali che nazionali (da ultima quella costituita dai Governi Prodi-D'Alema-Amato)di centro sinistra, pur con i loro errori, non hanno patrocinato la povertà, il collettivismo o il centralismo democratico, ma hanno contribuito alla scescita economica e sociale del paese (che potessero far meglio è fuor di dubbio, ma che abbiano invece
portato allo sfascio il paese questo non è per nulla vero).
La riprova: non mi sembra che le regioni del centro Italia siano in stato di degrado e le popolazioni residenti siano con le toppe al sedere (alcune sono amministrate sin dal dopoguerra da amministrazioni di sinistra), nè mi risulta che il Cav. Berlusconi non sia riuscito ad emergere come imprenditore sino a costruire il grande impero di cui gli va dato merito.
La smetta quindi di usare toni populistici e dica chiaramente, senza furbizie, qual'è il modello economico e sociale che vuole proporre agli italiani per la crescita del paese: vuole proporre il liberismo alla Tatcher lo faccia e lo applichi se gli italiani lo asseconderanno; se vicerà invece il centro sinistra con il suo modello riformista, faccia costruttivamente l'oppositore evitando di seminar zizzania ad ogni piè sospinto per il bene suo e degli italiani.

lunedì, ottobre 10, 2005

Riforma costituzionale e devolution

Lettera a "La Repubblica"

Egregi Signori,

credo proprio che, con l'approvazione odierna alla Camera, il Cav. Berlusconi sia convinto sempre più di essere onnipotente permettendosi da un lato di aggredire con accuse assurde il Prof.Prodi e dall'altro di varare una legge che in alcune sue parti fondamentali non sta in piedi, assolutamente.

Quanto al primo punto accusa Prodi di attacchi al limite della legalità(guerra civile), quando non più tardi di ieri ha accusato banche,sindacati, imprenditori,giornali ecc di essere in mano alla
sinistra, spolverando epoche barricadiere che sono ormai morte e sepolte ormai da qualche decennio (d'altra parte un campione mediatico come lui sa usare tutte le astuzie per nascondere qualsiasi verità).

Quanto al secondo punto dimostra Lui di non essere un liberale, un moderato, nè un democratico perchè modifica la legge elettorale e la Costituzione a colpi di maggioranza fregandosene altamente del contributo e del dibattito che potrebbe scaturire da un percorso parlamentare, anche con l'opposizione (a suo tempo DC e PCI se le suonavano di santa ragione, ma il rispetto era comunque sempre reciproco !).

Evidentemente ha molta fretta per mantenere "il patto con gli italiani" e fare qual che aveva promesso perchè manca poco all' aprile 2006.

Quel che è tragico poi è il fatto che questa maggioranza non sa nemmeno scivere le leggi: infatti la legge votata oggi introduce il cosiddetto premierato (con poteri più forti del Premier sul Parlamento sottraendoli a quelli che oggi ha il Capo dello Stato), mentre l'altro giorno nell'approvare la nuova legge elettorale proporzionale ha precisato che ogni coalizione designa il suo rappresentante che, in caso di vittoria, dirigerà la coalizione stessa nelle consultazioni del Presidente della Repubblica per l'assegnazione dell'incarico a formare un nuovo governo.
Delle due l'una: o al Senato verrà emendata la nuova legge elettorale o lo sarà quella odierna; in caso contrario temo fortemente che il Presidente Ciampi non sia in grado di promulgare, per palese contraddittorietà ed incostituzionalità una delle due leggi (vi rammento che il Presidente
Ciampi ha tempo 30 giorni per promulgare una legge parlamentare).

Se così fosse il Cav. Berlusconi riuscirà a cadere sempre in piedi dicendo: ci ho provato, ma contro i poteri forti non c'è storia; comunque ho rispettato gli impegni con gli italiani (almeno 4 su cinque) per cui votatemi ancor più numerosi !

Spero invece vivamente che l'elettorato non sia offuscato da queste azioni "fumogene" e presenti il conto - severo - a questa coalizione che pur avendone obiettivamente le possibilità tutto ha fatto tranne che ben governare.

Distinti saluti
Lucio Sorge