sabato, dicembre 18, 2010

LE POLITICHE INDUSTRIALI CHE SERVONO ALL' ITALIA

I Governi Berlusconi si sono in tutti questi anni limitati ad esercitare una politica monetaria di conteni mento tramite l'azione del ministro Tremonti, ma non hanno mai avuto il coraggio di predisporre strumenti idonei a rilanciare l'assetto industriale del paese, dimenticando che la nostra è una vocazione manifatturiera e su questa vocazione occorre puntare.
Anche i governi di csx, Prodi in testa, hanno attuato una politica monetaria, ma questa era destinata ad un preciso scopo, cioè quello di rientrare velocemente nell'area Sme dapprima (nel 1992) e poi nell'area euro con la lunga marcia intrapresa nel 1993 sino al 2001; a questa va aggiunta l'azione del breve biennio 2006-2008 per cui è mancata per ben due volte l'azione per rilanciare l'assetto produttivo del paese.
I Governi Berlusconi invece hanno sempre cercato di galleggiare con la sola politica monetaria invocando sempre le cause di forza maggiore come nel quinquennio 2001-2005 e ancor di più nel biennio 2008-2010, cause congiunturali extranazionali che avrebbero imposto soltanto azioni di contenimento.
In realtà, proprio nei momenti critici, vi è l'occasione ghiotta di programmare il riassetto economico ed industriale di un paese, per essere pronti con nuove armi e con nuovi mezzi nella fase della ripartenza, anzi armi e mezzi assai utili per stimolare appunto una ripresa vigorosa.
La realtà economica ed industriale del paese, in questi ultmi 16 anni, dimostra che la struttura produttiva si è ripiegata perchè maestranze ed imprese si sono sentite assai incerte ed insicure nei rapporti contrattali da un lato e nella ricerca su innovazione e maggior valore aggiunto.
Il risultato è che il sistema delle imprese continua a essere fragile e poco innovativo - per processo e per prodotto - e le maestranze si trovano in una progressiva situazione di incertezza sia per l'entità netta delle retribuzioni sia per l'insicurezza dei rapporti di lavoro, aggravati ulteriormente in questi due anni dal ricorso massiccio alla cassa integrazione.
Da un lato quindi le imprese stentano a ritrovare mercato e livelli produttivi robusti e redditizi, mentre dall'altro troppi sono gli occupati con rapporti incerti e parziali e altrettanto sono coloro che tendono addirittura a desistere nella ricerca di un lavoro.
Si è quindi innestato un circuito perverso per cui si produce poco e se si producono prodotti di qualità tendono a soddisfare maggiormente la domanda esterna, mentre i consumi interni hanno crescite ridicole, quando ci sono, proprio perchè il reddito disponibile è appunto quello che è.
In aggiunta la struttura produttiva, peraltro assai parcellizzata, puntando poco sulla innovazione, si accontenta di maestranze estremamente intercambiabili per cui si arriva al paradosso che i giovani in cerca di prima occupazione possiedono una preparazione professionale sproporzionata - per eccesso - a quella richiesta dal mondo delle imprese, tanto che la necessità di manodopera a bassa qualificazione viene soddisfatta molto spesso dai lavoratori stranieri anche extra comunitari.
Si parla nella scuola e nel lavoro giustamente di merito, ma poi questo criterio serve come scusante per selezionare ciò che di merito non ha proprio nulla.
La produzione spesso viene ideata puntando ancora sulla quantità, per cui la la qualità del lavoro è caratterizzata dalla sua marginalità e dalla sua intercambiabilità.
Persistere su questa strada poi significa confrontarsi con le produzioni straniere a basso costo di manodopera, a tal punto che anche in settori di qualità come quelli tecnologici vediamo che i prodotti di largo consumo non sono molto spesso prodotti in Italia.
In questo quadro le due parti dell'economia, impresa e lavoro, continuano ad essere come un sordo che parla ad un muto, perpetrando riserve mentali che invece la politica dovrebbe sciogliere, favorendo intese di lungo periodo e conseguenti assetti che facciano accrescere la ricchezza prodotta a livelli consistenti (il Pil della Germania rispetto al 2008 è calato quasi del 5% nel 2009, ma nel 2010 è cresciuto del 3%, sempre sul 2008 !).
Le colpe vanno divise quindi tra Governo, imprese e lavoro.
Le imprese sin con gli accordi del 1993 (Governo Ciampi) hanno avuto una "pax" che è stata utilizzata solo in parte (allora si parlava di maggior produttività); si sono riorganizzate, ma non hanno rilanciato puntando su maggior qualità e valore aggiunto, preferendo, nonostante i bassi tassi di credito successivi al 1996, spesso delocalizzare.
I grandi regali fatti dal secondo Governo Berlusconi, costituiti da una sequela di condoni e scudi hanno soltanto contribuito una tantum a sostenere le casse dello stato, ma non a rilanciare e modernizzare fortemente l'assetto produttivo.
Nemmeno la riduzione del "cuneo fiscale" del secondo Governo Prodi ha prodotto riconoscenza; per non parlare dei rapporti di lavoro "flessibili" introdotti per primi dal Governo D'Alema.
La situazione attuale lo dimostra in modo evidente anche se il secondo Governo Berlusconi sosteneva a torto che i rapporti flessibili erano una condizione assolutamente temporanea.
Questo stato di pura convenienza e di contemporanea miopia si perpetua anche nel terzo Governo Berlusconi, nonostante l'ennesimo scudo, visto che l'evasione fiscale procede imperterrita a livelli indecenti.
Il mondo del lavoro certamente è preoccupato delle "novità" sul fronte dei rapporti contrattuali sia perchè le novità possono preoccupare o spaventare, sia perchè si stenta a mollare vere o presunte rendite di posizione, sia, soprattutto perchè non ci si fida molto spesso della controparti aziendali, vito l'uso inappropriato che molto spesso hanno avuto delle opportunità dategli.
E' vero che occorre distinguere tra settori produttivi e tra tipologie di aziende: in quelle - medio piccole - manifatturiere di vario tipo i rapporti sono molto più fluidi, ma mancano gli incentivi per migliorare i processi e le aggregazioni per masse critiche.
In quelle di grandi dimensioni (non sono poi molte in Italia)effettivamente si gioca talvolta troppo spesso sul concetto di diritti acquisiti, tanto che i lavoratori stessi dovrebbero una buona volta sbarazzarsi di vecchi modelli e mettersi inequivocabilmente e definitivamente dalla parte della ragione.
Certo è che gli eventi di questi giorni su Fiat e sul Polo di Marghera assistiamo a fenomeni incomprensibili; la rigidità di Fiat sembra non avere lo scopo dichiarato, ma se il Sindacato non deve far politica, non lo deve fare nemmeno l'azienda!
In realtà - Fiat a parte - assistiamo a troppa partigianeria da parte delle imprese e degli impreditori troppo benevoli sulla azione mancata del Governo in carica, ma pronti a domandare interventi che mai non arrivano, proprio per l'insipienza del Governo (quando lo faceva un governo di csx ovviamente era tutto giustamente dovuto).
Su Marghera assistiamo (come già visto nel recente passato) a decisioni di dismissione di grandi impianti (Vinyls) altamente tecnologici per la produzione di PVC la cui utilità ed appetibilità permane visto l'interesse all'acquisto da parte di imprese straniere.
Forse si tratta semplicemente di cambio di strategia a parte della prima fornitrice di materia prima Eni che ha quadruplicato i prezzi; forse è troppo impegnata nella costosa impresa di nuovi gasdotti e partnership internazionali alla quale è stata "invitata" dal Premier in carica ?
Ecco qui il Governo ha fatto vedere i muscoli riempendosi la bocca di accordi superlativi e travolgendo le impostazioni date dal precedente governo.
Ricordate la crisi del gas, via Ukraina, del 2006 ?
Allora si disse che eravano troppo "russo dipendenti" e si doveva puntare sui rigassificatori da un lato e sul potensiamento dei gasdotti con il nord Africa dall'altro; morale: i rigassificatori ci sono fatti o sono in via di installazione, ma stiamo rischiando di predisporre approvvigionamenti di energia (gas) sproporzionati rispetto al nostro fabbisogno sul medio periodo e per di più il gas russo ci verrà a costare - per i meccanismi contrattuali - molto di più di quello da rigassificatori o da gasdotto africano (per non parlare delle energie provenienti dall' eolico, fotovoltaico e in prospettiva nucleare)!!
Se questi devono essere gli interventi spot del Governo in carica, forse sarà meglio che continui piuttosto a raccontar favelle.
La politica industriale ed economica di cui abbiamo bisogno passa invece, visto il momento critico, per una operazione di riordine che metta tutti difronte alle proprie responsabilità, accettando anche politiche impopolari, dalle quali non si potrà però avere il coraggio di sfilarsi.
La prima leva è quella fiscale dove per fare perequazione occorre dare la preferenza significativa alla disponibilità netta delle retribuzioni (non c'è modo di alzarle per ora vista la situazione produttiva delle imprese) prelevandola dalla maggior imposizione sulle rendite (il 12,50% è veramente poco e in questa fase di tassi bassi non dovrebbe infastidire più di tanto tutti i risparmiatori senza distinzioni demagogiche).
Questo consentirà una ripresa dei consumi interni.
Inoltre va pianificata la lotta continua alla evasione fiscale (che mira pure alla base la libera concorrenza), alla corruzione ed alla riduzione - selettiva - della spesa pubblica.
Queste risorse vanno destinate a sostegno delle iniziative imprenditoriali sia dirette, sia indirette come un piano di opere pubbliche necessarie, realistiche ed economiche.
Quando dico iniziative dirette mi riferisco ad iniziative che favoriscano gli accorpamenti e le riconversioni per creare masse critiche o riqualificare produzioni con maggior valore aggiunto; tutto questo con assoluto rigore e controllo per evitare errori e furbizie del passato.
Va aggiunto inoltre che questi interventi devono consentire riqualificazione e stabilità delle maestranze perchè altrimenti sacrifici e politiche di sostegno andrebbero solo a favore dell'impresa.
Non ultimo, le risorse vanno anche indirizzate nella formazione scolastica delle nuove generazioni nella ricerca con una stretta correlazione tra università ed imprese o raggruppamenti di imprese, ne più ne meno di quanto avviene in Germania; facendo attenzione anche qui che lo studio e la ricerca devono essere correlate reciprocamente con le imprese.
Intendo dire che il sistema delle imprese può certamente dare indirizzi, suggerimenti ed anche risorse a scuola e università, ma rammentando sempre che queste ultime hanno una funzione pubblica e collettiva prioritaria ed imprescindibile.
Ecco, penso proprio che i raggruppamenti di opposizione (di centro e di csx)che si stanno delineando (la coalizione di maggioranza ha più volte dimostrato con i suoi limiti di non esserne capace) debbano evitare di folleggiare su modelli che assomigliano più a "voli pindarici" e con centrarsi su progetti concreti e fattibili, senza avvitarsi nella ricerca di distinzioni ideologiche nelle quali tutti i conservatori (che si vogliono far passare per liberali)si possono infilare.
Guardate in questi giorni nei quali si sta formando il polo di centro: subito sono apparsi i più scaltri a infilarsi nelle differenze - tra credenti e laici - dei leaders; se poi si guarda il polo di centrosinistra la solfa è la stessa: emergono distinzioni icomprensibili ai più, mentre gli obbiettivi più importanti ed urgenti vengono solo toccati di striscio.
Intanto l'Italia sta a guardare ed aspettare arrangiandosi come può, forse ormai delusa, ricorrendo alle risorse ancora in cascina ed accettando tutto pur di tirare avanti!

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