Per amor di chiarezza penso sarebbe più opportuno invece analizzare all’interno di ogni partito le cause dei risultati, non necessariamente modificando le linee di comando: quelle devono essere, caso mai, una conseguenza non una causa.
Nel caso specifico penso che non sia sufficiente limitarsi al cambio di segreteria se non si rimuovono i vincoli di fondo che hanno portato alle ultime elezioni un risultato così severo.
Inoltre non bisogna avere reticenze nello sviluppare la critica su quanto sin qui fatto, per ricercare gli opportuni rimedi perché non si tratta di una linea politica che ha prodotto fallimento, bensì in un approccio di proposta politica che poggia su basi che, a mio vedere, devono essere modernizzate e rese più coerenti alla società attuale e futura..
Sono del resto sempre convinto che le cause di un risultato dipendono sempre e comunque innanzitutto da noi e poi, eventualmente dagli avversari.
Del Partito Democratico si è detto di tutto e di più; la sua gestazione è durata anni, ma ciò nonostante il nuovo percorso disegnato ha fatto perdere, ancora una volta, pezzi che si sono sparsi con la costituzione di nuovi partiti o confluendo in altri.
Sarebbe stata auspicabile addirittura una aggregazione con partiti simbolo di diaspore passate, ma evidentemente il percorso del nascente partito non convinceva o, forse, risultava troppo “doloroso” abbandonare vecchi modelli.
Si è parlato di fusione a freddo, di primarie pilotate, di partito senz’anima, ma resta il fatto che non era più procrastinabile tenere il motore ben caldo, senza mai iniziare a mettersi in moto.
Forse l’errore di un po’ tutti i protagonisti è stato quello di aver perso – ci più chi meno -il diretto collegamento con la società, con le sue ansie, paure, aspettative, desideri , ma soprattutto è maturato un diverso approccio rispetto alle ideologie: mentre chi si addensava politicamente al nascente Partito Democratico le considerava come uno strumento, una base su cui elaborare nuovi modelli, per gli altri continuava ad essere considerato un fine non più adattabile ad una società molto articolata e frastagliata.
I fatti hanno dimostrato che l’elettorato, una parte dell’elettorato non ha gradito, non ha capito, non ha condiviso, come in passato, per cui questa fragilità, questa debolezza è emersa in modo drammatico, anche per partiti storici come il Partito Socialista.
L’azione del governo uscente è stata senza dubbio importante sia sul piano economico con la sistemazione dei conti pubblici, sia sul piano dell’efficienza con ulteriori importanti liberalizzazioni, ma la farraginosità con qui questo è avvenuto (ed il fuoco di sbarramento dell’opposizione) e le lunghe trattative all’interno della coalizione, hanno sminuito la percezione della loro efficacia da parte dell’opinione pubblica, peraltro direttamente interessata da altre criticità economiche e di sicurezza ambientale, sottovalutate dal governo e cavalcate, ancora una volta, dall’opposizione.
Intendo dire che l’azione fatta era senz’altro necessaria ed utile, ma di fronte alla portabilità dei mutui, alla eliminazione dei costi di ricarica sui telefonini, ai processi di liberalizzazione di taxi, avvocati, notai, panettieri, ecc. sono risultate insufficienti le azioni per risolvere il quotidiano, in termini realistici, riguardo l’inflazione, il costo della vita, la sicurezza – reale e non quella percepita – nelle nostre città o l’annoso problema sullo smaltimento rifiuti e sugli incrementi di tariffe e prezzi dei servizi primari come rifiuti,acqua,luce e gas.
E’ pur vero che tante di queste non possono dipendere dalla azione di governo, ma è altrettanto vero che quando la situazione economica spicciola di deteriora il capro espiatorio è sempre il governo in carica e l’opposizione cavalca senza tante remore questa onda.
Dire oggi che gli avversari politici hanno goduto di un vantaggio mediatico conta poco: lo sapevamo da prima (come al Palio di Siena ha vantaggio il cavallo fuor de’ canapi) e ci dovevamo tutti attrezzare adeguatamente per contrastare questo nostro handicap.
Non si trattava certo di promettere al popolo tutto quello che il popolo voleva (anche la luna), ma andava proposto un modello chiaro ed univoco di governo, convincente, tralasciando, se pur con fatica, posizioni pur intelligenti ed eque, ma che non interessano minimamente buona parte dell’opinione pubblica la quale apprezza i vantaggi contingenti e non si può accontentare soltanto delle prospettive (il modo di vita attuale non è quello del dopoguerra ed è su questo che l’opinione pubblica si confronta).
E’ bene esser chiari: una parte consistente dell’elettorato non ha assolutamente paura di votare a sinistra (e parlo di PD, SA, PSI), come non ha paura di votare per il fronte opposto: non vuole votare per uno schieramento poco convincente, poco coeso o incerto.
La prova sta in elezioni che hanno dato risultati inattesi o contraddittori: il centrosinistra ha vinto a Vicenza e Udine e a Roma, i romani hanno premiato alla Provincia Zingaretti, mentre hanno “punito” Francesco Rutelli”.
E’ evidentemente il messaggio che ha convinto in alcune situazioni ed in altre invece no, quindi la causa non è soltanto nei contenuti, ma persino nella comunicazione.
Certo ci sono pure situazioni veramente difficili (come accade, per il fronte opposto, in altre regioni di centrosinistra sin dal dopo guerra) dove scalzare i vantaggio del centrodestra non è facile:penso alla Sicilia dove il vantaggio è rimasto schiacciante perché, probabilmente, la carta vincente è stata la aggregazione patrocinata dal Movimento per le autonomie che ha sostituito quella bruciata e costituita dal dimissionario Cuffaro.
Dell’autoanalisi che si impone nel Partito Democratico non si possono chiamar fuori gli altri partiti della Sinistra perché è fuor di dubbio che la risposta elettorale ha mandato un segnale forte anche qui, di discontinuità rispetto al passato.
C’è da domandarsi infatti, soprattutto per Prc, Pcdi e Sinistra Democratica se il processo di scissioni non sia stato punito, anche troppo severamente; cioè se l’elettorato potenziale non abbia gradito il mantenimento di modelli politici contigui che non potevano garantire risultati accettabili e soddisfacenti in caso di nuovo governo di centrosinistra.
La realtà per come la vedo è che la nostra società non disconosce certo i principi etici, non disconosce le idealità, ma pur scomposta e articolata com’è, ha dato chiare indicazioni con il voto che preferisce aggregazioni politiche di sintesi che siano pragmatiche, e quando queste poggiano su idealità che trovano corrispondenza con la realtà, con il nostro vivere quotidiano, non hanno difficoltà a dare la loro fiducia.
L’elettorato non ha certo votato turandosi il naso, ma comunque abbia espresso il voto, sono convinto che l’abbia assegnato a chi, a torto o ragione, era più convincente.
Il Pdl ha avuto un riconoscimento che non si può negare, come non si può negare quello ottenuto dalla Lega o dal Pd e con questo occorre fare i conti.
Nel caso dei partiti della sinistra cosiddetta radicale ed anche del Psi si è sottovalutata la nascita del Pd, anzi le scissioni iniziate nella Sinistra nel 1991 (Bolognina) sono proseguite, e non si è fatto tesoro degli errori di programma e strategici nella legislatura passata, con una “reazione” timida, con la nascita poco dopo della”cosa rossa” e questo non è stato certamente un elemento di chiarezza nei confronti dell’elettorato di riferimento.
Hanno invece sperato, confidato benevolmente di raggiungere risultati di voto simili al passato, mentre invece il collegamento, il filo rosso, si è spezzato.
La nascita del Pd prima e la decisione di correre da solo poi è stato un elemento di grande novità, ma alla fine la proposta di costituire, come risposta, il Pdl è stata più convincente, come è stata più convincente la decisione della Lega di limitarsi alla alleanza (ti seguo, ma non ti sposo) che ha permesso di ampliare il consenso in tutte le fasce sociali.
La fedeltà mantenuta alla coalizione del governo uscente non è stata sufficiente perché su molti temi la divergenza è apparsa piuttosto grave come nel caso della approvazione delle legge sulle pensioni o sul welfare dove le parti sociali avevano trovato faticosamente un accordo, confermato pure nelle assemblee sui posti di lavoro e si è voluto rimetter mano creando certamente sconcerto tra i lavoratori, che sono anche elettori.
Certi comportamenti politici, se volete iper coerenti, come quelli di Rossi o Turigliatto che cito ad esempio sono significativi certamente di una posizione politica, ma è fuor di dubbio che non è sufficiente la coerenza se la non si collega con il realismo,con il pragmatismo: diventa un esercizio di bella calligrafia che non contribuisce a soddisfare le aspettative dell’elettorato.
Certo non è facile collegare idealità con realtà, mantenere coerenze ideali con le necessità contingenti della società che evolve, come evolve l’economia ormai sempre più globalizzata.
E stato un grosso errore non aver capito che le idealità si possono mantenere, non rinnegare, ma debbono essere necessariamente aggiornate, sfrontate di anacronismi che appesantiscono l’azione politica.
L’errore di tutti i partiti della sinistra, Pd compreso, è quello di non aver saputo privilegiare l’efficienza politica preferendo molto spesso dibattiti, precisazioni, punti di vista che hanno rallentato l’incisività dell’azione di governo.
Di cose eccellenti ne sono state fatte parecchie, ma la laboriosità per la loro preparazione, discussione e i conseguenti ritardi nell’applicazione non sono stati per nulla apprezzati dall’elettorato; talvolta si sono pure scelte priorità che erano più ideologiche che di diretta e generale utilità e necessità per gli italiani e su queste ci si è pure impantanati con soluzioni iper mediate, frutto più di posizioni ideali (Dico) o di potere (Rai) che di diretta reale utilità.
Per non parlare delle diverse anime che si sono approcciate al problema medio orientale dove le posizioni hanno sempre presentato molte sfaccettature identiche a quelle di 40 anni fa quando il panorama della regione era molto meno articolato di oggi e l’unione politica della Ue, che potrebbe giocare oggi un grosso ruolo sullo scenario internazionale, era ancora di là da venire.
Forzando, forse, con il paragone che segue, la coalizione uscente ha fatto vedere realmente agli elettori una alleanza molto articolata e forse un po’ troppo pignola, simile alle assemblee permanenti nelle facoltà degli atenei occupati alla fine degli sessanta, dove, per carità, i dibattiti erano certamente formativi, interessanti, appassionanti, ma dove per forza di cose non vi era poi una diretta conseguenza concreta della fase di analisi: erano studi, erano esercizi dialettici, ma un Governo invece deve fare fatti – anche impopolari – ma velocemente e chiaramente intesi da tutti.
Il Governo uscente con il suo leader ha fatto una fatica improba a sviluppare il programma perché in virtù del diritto di parola, le precisazioni, correzioni, aggiustamenti avvenivano molteplici ogni volta, anche su temi apparentemente importanti ma semplici da affrontare; inoltre il collegamento ai gruppi parlamentari di riferimento è sempre apparso molto sfilacciato, a tal punto che – per paradosso – in molti casi sembrava che il Governo predisponesse una certa linea politica da attuare e i gruppi parlamentari del Centrosinistra un’altra.
Questo è un aspetto estremamente irritante, perché si conoscono le alte qualità politiche dei componenti di quella alleanza che invece, nel fase realizzativa, hanno dato spesso chiari segnali di inefficienza, come è irritante oggi, per chi ha creduto in quella alleanza, vedere la velocità con cui la nuova maggioranza sta varando il nuovo Governo.
Certo potrebbe trattarsi di sola apparenza, ovvero anche di una coalizione ampia, ma “monoteista”; resta il fatto che questa velocità resta nella memoria della gente e i paragoni vengono spontanei ed irriconoscenti.
Ritornando velocemente ai concetti espressi in apertura è fuor di dubbio che ogni partito dell’attuale opposizione può scegliere le forme, che ritiene più opportune, per dibattere e affinare la propria politica e la linea di comando, ma è fuor di dubbio che se non scaturisce, con buona volontà e onestà intellettuale, un processo di convergenza assai ampia vi è il reale pericolo che questo ventaglio resterà articolato ed inefficace sia per la creazione di un nuovo progetto politico alternativo alla attuale maggioranza, sia per poter ragionevolmente attrarre maggioranze elettorali necessarie a governare.
Le analisi che coinvolgono un po’ tutti i partiti sia quelli della Sa che il Pd sembrano, ribadisco, concentrarsi più su la ricerca di responsabilità interne, di regolamento di conti, che cercare capire dove si è fallito, dove le posizioni politiche articolate non hanno lasciato chiaramente intendere come si sarebbero potute concretizzare una volta raggiunta la maggioranza di governo.
Quando le divergenze, per esempio, riguardano la collocazione e la posizione sullo scenario internazionale, con particolare riguardo alla collocazione delle nostre truppe (vedi Afghanistan e Liano) e poi sullo scenario interno non si riesce a trovare – ancora una volta - un intento comune, che so, sulle modalità di rilancio dell’economia e sulla creazione di un modello economico che si possa prefigurare in futuro per il paese appare evidente che una parte dell’elettorato non è più disponibile a compiere ancora una volta un atto di fede, ma punisce in modo inequivocabile non votando o indirizzando il consenso sulla alleanza avversaria (politicamente).
Se si nota già nel Pd sembrerebbero apparire regolamenti interni, intenzioni di cambiamento nella linea di comando, creazioni di correnti o componenti (ma come, la fusione non è ancora sedimentata e vogliamo ritornare ai distinguo interni, con il reale pericolo di creare ex Ds e ex Margherita), quasi a significare che tutti tatticamente hanno lasciato fare a Walter Veltroni, pronti però ad aspettarlo al varco.
Non so dire se la formula progettata da Veltroni fosse la più efficace, ma resta il fatto che gli altri partiti della coalizione di governo (SA) sono stati un po’ freddini, hanno convenuto reciprocamente e velocemente che il distacco consensuale si poteva fare.
Oggi però esce nel Prc che la linea politica di Bertinotti è diventata minoranza: il progetto di aggregazione a sinistra non convince la maggioranza del partito che con il vincente Ferrero punterebbe ad un “grande” Prc.
Per Sinistra Democratica vedremo a che cosa porterà il recente cambio di segreteria e per Pcdi con Diliberto vedremo gli sviluppi, ma penso che se non si eliminano nelle analisi gli orpelli che hanno indispettito l’ elettorato i risultati potranno continuare ad essere insoddisfacenti (non dimenticando che i prossimi anni vi saranno ancora elezioni che potranno costituire una verifica della trasformazione, eventualmente, svolta).
Che fare quindi ?
Oltre all’analisi cruda dei punti deboli penso vadano analizzate anche le esperienze delle altre sinistre europee: il Labour in Gran Bretagna è tornato per oltre 10 anni al governo dopo una trasformazione radicale; Tony Blair può non piacere, ma ha il pregio di aver sdoganato il regno dal thatcherismo, di aver rivoluzionato l’assetto economico del paese ed ora, anche per effetto Brown, nelle recenti elezioni amministrative l’elettorato sta presentando il conto non già per quel che ha fatto, bensì per quello che non ha fatto, per la discontinuità, poco convincente, che ha proposto.
In Spagna Felipe Gonsales prima ed oggi Zapatero hanno saputo creare ampio consenso politico e di governo, tralasciando ideali massimalisti ed inproduttivi e mirando alle cose concrete di pubblica ed indiscussa utilità per l’opinione pubblica, anche se alcune operazioni stanno mostrando i loro limiti (la precarietà del lavoro dipendente è molto più alta che in Italia, ma vi è la capacità politica di governare e migliorare il fenomeno).
In Francia e Germania la sinistra ha governato per decenni ed ora si trova a rincorrere perché non ha saputo interpretare le nuove esigenze che emergevano (il problema delle banlieu e delle città industriali del nord hanno punito Jospin e l’onda lunga dell’unificazione ha fatto altrettanto con Schroeder).
Ebbene la credibilità si ottiene con le proposte, ma anche con l’assetto politico (il centrodestra ce l’ha ampiamente dimostrato) e per il Pd e Sa intravedo solo due strade:
la prima, ma obbiettivamente la più difficile, è un processo di riaggregazione sul Pd di tutti i partiti dell’Unione (che non hanno fatto il salto della quaglia) compresi Socialisti e Radicali.
E’ un processo complesso perché creare un grande partito che non diventi “unico” non è facile poiché occorre convergere sui principi, sui programmi, sulle azioni ed anche sulla semplificazione della linea di comando.
Se non si scioglie questo noto, diversamente, si creerebbero all’ interno del Pd le contraddizioni che esistono inequivocabili all’esterno.
La Seconda è invece la prosecuzione del processo nato con il Pd (da quale resta fuori Idv per il momento) da un lato e la creazione di un nuovo partito di stampo laburista che aggreghi su programmi comuni tutti i partiti della Sa, i Socialisti e i Radicali (se non fosse realizzabile una integrazione nel Pd).
In questo caso si potrà prefigurare una alleanza “bicolore” che dovrà comunque avere la capacità per atteggiamenti, per ideali, programmi, solidità e credibilità di attrarre consensi maggioritari che portino alla creazione di una vera alternanza di governo visto che dal
E’ bene esser chiari quindi: continuare a voler riproporre un modello o ideali che riconducono al comunismo, in Europa, è dimostrato essere ormai improponibile.
Questo modello può ancora forse andar bene per l’estremo oriente o per l’America latina, ma in Europa non potrà che aggregare dei nostalgici, ovvero gruppi sempre più sparuti..
Il mondo del lavoro in Italia e in Europa non si tutela più con vecchi modelli, ma con nuovi processi e programmi politici: le esigenze dei lavoratori vanno tutelate, ma anche indirizzate e soddisfatte con nuovi processi che debono essere concreti e realizzabili, altrimenti, lo vediamo in pratica, vi possono essere altre componenti politiche che se ne possono appropriare ottenendo consensi inimmaginabili sino a qualche lustro fa.Non possiamo, concludo, più permetterci di attendere che una parte dell’ elettorato si renda conto di aver riposto male la sua fiducia (attribuire all’elettore la colpa della sua scelta è una assurdità madornale) perché la politica del tanto peggio, tanto meglio non ha mai pagato e poi perché non si può obbiettivamente contare sugli errori possibili degli avversari politici: deve invece contare la forza delle idee, la credibilità e la realistica convinzione della loro realizzabilità per far raggiungere al centrosinistra ampi consensi che portino ad un governo stabile e duraturo. .
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