I recenti scandali apparsi sulla scena nazionale hanno in particolare messo sotto la lente di ingrandimento il fenomeno economico costituito dal mondo delle cooperative.
Occorre precisare che il movimento cooperativo è sorto a metà dell' ottocento quale modello di aggregazione mutualistica tra lavoratori dello stesso settore in un mercato assai contenuto rispetto a quello attuale.
L'Italia a quel tempo (e sino alla fine della seconda guerra modiale) era un paese prevalentemente agricolo e l'industria cominciava a svilupparsi soltanto nei settori fondamentali della produzione (tessile, siderurgico, meccanico, edile).
L'agricoltura era costituita sostanzialmente dal grande latifondismo e le maestranze erano organizzate, spesso, in cooperative per la lavorazione dei terreni agricoli; il settore industriale era prevalentemente costituito da industrie private, evoluzione delle iniziative della grande proprietà terriera.
Sin dalle origini vi è stata una diretta correlazione tra i lavoratori che operavano nei vari settori e le aggregazioni politiche che cominciavano a nascere e a formarsi in quel periodo con l'innesto della borghesia che elaborava modelli politici alternativi o integrativi del modello prevalente costituito da nobiltà e regno.
Il fenomeno cooperativo quindi sin dagli albori, in forza della mutualità che aggregava categorie di lavoratori o di mestieri, era uno dei soggetti del modello economico vigente.
Conseguentemente l'evoluzione susseguitasi, nel tempo, dei vari modelli economici ha visto evolversi, in stretta correlazione, tutte le componenti dei modelli stessi: la nascita della grande industria, ma anche quella media piccola, lo sviluppo dell'artigianato, la crescita dell'occupazione dipendente in tutti i settori produttivi ed al suo interno quindi anche quella particolare in forma cooperativa.
Oggi che operiamo in un mercato aperto e globalizzato tutti i soggetti conomici che compongono il mercato si sono evoluti, compreso il movimento cooperativo che risponde sia ad egigenze di aggregazione fra i cooperatori, sia ad esigenze e richieste del mercato stesso; conseguentemente non vi è stata una mutazione di questo fenomeno, bensì un adattamento al nuovo modello economico per meglio rispondere alle esigenze della domanda e dell'offerta.
Certamente oltre 150 anni or sono i settori in cui operava la cooperazione erano ben pochi, perchè pochi erano i settori produttivi esistenti, ma ora che questi si sono numericamente assai dilatati ecco che anche una componente dell'economia ha ampliato i suoi orizzonti.
La mutualità è un fattore economico per cui non ci possono essere settori dai quali la cooperazione deve essere esclusa, prova ne è che ora è presente, da molto tempo, anche nel settore finanziario (sia bancario che assicurativo).
Si pensi per esempio alle banche mutue popolari o alle, ben più attuali, banche di credito cooperativo o rurali: esse sono un fenomeno assai diffuso sul territorio con forti legami con le varie comunità, ma non è affatto escluso che in un mercato globalizzato esse debbano pensare ad aggregasi per poter competere con altre strutture finanziarie già ben più grandi.
Il mercato infatti impone in alcuni settori attori economici con ampia struttura e non voler ricergare aggregazioni di crescita può voler dire imboccare strade in declino con distruzione di ricchezza.
Non dobbiamo dimenticare che la cooperazione in Italia è un fenomeno di tutto rispetto poichè sviluppa circa il 6% del Pil, quindi la valenza economica ha decisamente influsso sull'economia complessiva del paese.
Quanto poi alle origini "politiche" della cooperazione queste sono direttamente correlate alle componenti storico-politiche del nostro paese per cui tutt'oggi esistono cooperative con matrice socialista, cattolica e repubblicana e si addensano in regioni d'Italia dove permangono con maggior continuità e sono strettamente legate oltre che al territorio anche ai cosiddetti distretti industriali (alimentazione, costruzioni, meccanica,ecc).
L'evoluzione della struttura politica è comunque mutata: non esistono più veri e propri partiti di classe o interclassisti, ma esistono nuovi soggetti politici di opinione an cui interno si collocano comunque anche le componenti storiche, compresa quella nazionale.
Il fatto quindi che, ritornardo alla premessa, una parte del movimento cooperativo si sia particolarmente sviluppano sino a raggiungere dimensioni notevoli ed ad inserirsi anche nel settore finanzario del risparmio assicurativo, non può essere, in una economia di mercato, fattore disdicevole perchè risponde, anch'esso, sia alla domanda che dall'offerta presente nel mercato stesso.
Caso mai sono le scelte essenzialmente economiche che possono essere sbagliate perchè fragili o troppo rischiose, non il fatto che siano settori in cui una iniziativa cooperativa non deve entrare.
Si parla spesso di finanza laica, cattolica o rossa: queste sono semplificazioni per evidenziare le matrici sia economiche che politiche esistenti: l'impresa privata si organizza secondo settore e dimensione cosi fa l'artigianato ed altrettano fa il lavoro dipendente ed associato; al suo interno questi compartimenti sviluppano le loro idee, le loro iniziative ed anche i loro schieramenti che non sono certo avulsi da quelli tenuti nlla società civile.
Parlare quindi oggi di collateralismo può esser vero se si riconosce che questo può toccare tutti i settori e tutte le componenti sociali, ma sarebbe riduttivo riconoscerlo solo ed esclusivamente ad una parte della comunità.
Per evitare questo occorre che la politica progetti e promulghi regole chiare che evitino frammistioni tra politica ed affari, per cui nascano gruppi di potere che alterino il mercato stesso.
Già oggi comunque i comportamenti penalmente rilevanti, che possono sussistere a prescindere dal settore o dal segmento in cui avvengono, sono perseguiti , tant'è che sia nello scandalo Bpi che in quello Unipol i responsabili sono stati allontanati dai loro incarichi e sono tutti sotto indagine giudiziaria.
Quanto agli aspetti fiscali he favorirebbero il mondo della cooperazione dantogli un vantaggio competivo penso proprio che si vogliano, deliberatamente, lanciare accuse per scopi più politici che economici.
Innanzi tutto i principi giuridici a cui le cooperative sono sottoposti sono quelli di qualsiasi impresa (dalla ditta individuale alla società in accomandita per azioni) con specifiche indicazioni correlate alla tipologia di impresa (è evidente che le regole di una società semplice non possono essere tutte quelle a cui è sottoposta una società per azioni quotata in borsa).
Le regole peculiari delle cooperative, escluse quelle quotate in borsa, sono sostanzialmente due, direttamente correlate al principio di mutualità: la prima è la determinazione delle riserve obbligatorie e indivisibili che derivano dalla attività della cooperativa, finalizzate ad irrobustire l'iniziativa stessa; la seconda è la individuazione del capitale di mutualità, facoltativo, costituito dalle risorse che i soci preferiscono mantenere presso la cooperativa (va da se che più alta è questa posta patrimoniale, più alto è il livello di unione tra società e soci).
Sotto il profilo fiscale ne discende che per le società quotate non vi è assolutamente alcuna diversità rispetto a tutte le altre imprese, quotate e non; mentre per le altre l'imponibile fiscale è ridotto dal 30 al 70% a seconda della grandezza dell'impresa (non dobbiamo dimenticare infatti che ne esistino di assai piccole come quelle edili sorte per la costruzione del proprio alloggio), escludendo la riserva indivisibile (almeno il 3% dgli utili annuali) che in caso di scioglimento è destinato allo stato.
Il regolamento dei conferimenti in natura sono tassati, come nelle società di persone, direttamente con dichiarazione annuale individuale; mentre quelli da lavoro direttamente dal sostituto d'imposta cioè dalla cooperativa stessa, secondo le aliquote vigenti.
Gli interessi del capitale di mutualità versato è tassato al 12,50%, alla stessa stregua delle obbligazioni emesse da una società di capitali.
Possiamo quindi rilevare che astronomici vantaggi fiscali non ce ne sono: ce ne possono essere in misura assai modesta, ma questi non potrebbero dare alcun vantaggio competitivo perchè i prezzi, in un mercato aperto, risultano dalla combinazione sia della domanda che dell'offerta.
Certamente il meccanismo può essere perfettibile ed in tal senso sono state eliminate da tempo regole di vantaggio; nell'evoluzione del modello economico, probabilmente, ne potranno emergere altre che andranno senz'altro corrette, ma da qui a dire che le imprese cooperative non pagano tasse penso proprio sia una grossa fandonia.
Per concludere occorre aggiungere che, nel libero mercato, l'iniziativa cooperativa ha progressivamente occupato spazi che altre imprese hanno preferito o voluto non occupare tant'è che molte imprese attigono ai servizi o alla produzione cooperativa, preferendo dedicarsi ad altri core business; quindi anche qui occorre affermare che tutti i tipi di impresa hanno diritto di cittadinanza per cui tutti sono elementi fondamentali per generale ricchezza.
sabato, gennaio 21, 2006
Le cooperative in economia di mercato
alle 3:07 PM
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1 commento:
imparato molto
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