lunedì, aprile 18, 2011

IL LAVORO (E LO STUDIO) NOBILITA L'UOMO

Le recenti affermazioni del Ministro Tremonti, "corrette" dal Ministro Maroni ed altre posizioni espresse sulla stampa odierna sul tema del lavoro (De Rita), mi lasciano parecchio perplesso perchè messe li in modo quasi incidentale, non si capisce bene dove in realtà si voglia andare a parare.
Il fatto che oltre 4 milioni di extra europei abbiano trovato occupazione stabile in Italia è certamente una realtà positiva, ma che questo settore di lavoratori abbia addirittura bypassato il calo di occupazione nel nostro paese non mi sembra in realtà vero; anzi in realtà i posti di lavoro persi sono percentualmente maggiori proprio tra i lavoratori stranieri.
Il fatto che siano animati delle migliori intenzioni di cercare e trovare lavoro è peraltro del tutto vero ed ovvio, anche perché molti di loro si sono sobbarcati viaggi allucinanti e sarebbe del tutto curioso pensare che ne abbiano viste di tutte i colori per venire a battere la fiacca in Italia.
Caso mai ci sarebbe da domandarsi che tipi di lavori sono disposti a svolgere, in che settori operano e soprattutto con che livello di retribuzione vengono regolati i rapporti di lavoro.
Possiamo dire ragionevolmente che quando si inseriscono nel settore produttivo manifatturiero - ad eccezione del settore edile - i rapporti di lavoro sono alla fine stabilizzati (come dice Petri della Fonderia di Poggibonsi è necessaria manodopera disponibile, stabile e qualificata); anche in quello dei servizi esiste un livello adeguatamente stabilizzato, mentre nel settore edile e in quello agricolo (soprattutto stagionale) ecco che livelli retributivi, regole e accoglienza lasciano parecchio a desiderare.
Sono in realtà molto spesso tipi di lavoro che gli italiani non fanno più (sostituiti per esempio nel settore zootecnico dagli esperti indiani) o fanno saltuariamente (come nella raccolta di ortaggi e frutta), ma non è che nelle occupazioni "più elevate" ci si trovi in situazioni più rosee; anzi il giochino della precarietà esiste anche dove non sarebbe logico esistesse.
Se nel settore agricolo la stagionalità dei raccolti giustificherebbe in qualche modo la temporaneità dei rapporti di lavoro, in altri, siano essi servizi o manifatturieri ad ampio spettro, i rapporti di lavoro instabili sono decisamente molto meno giustificati (si utilizza personale "in affitto" anche nel settore sanitario).
Un tempo il "periodo di prova" serviva per inquadrare e valutare professionalmente il neo assunto, per un primo addestramento per poi passare alla famosa "pianta stabile".
Nella scuola invece, anche all'università, per passare di ruolo occorrevano non solo i dovuti concorsi, ma parecchi anni di instabilità prima di raggiungere una agognata cattedra.
Oggi appunto c'è spesso una instabilità ingiustificata che si riflette sui livelli retributivi che stanno molto spesso ingessando le future generazioni.
Ed ecco che sortisce l'analisi fresca fresca che spiega quanto è progressivamente accaduto negli ultimi 10/15 anni: si sta forse studiando troppo ed inutilmente, invece di scegliere occupazioni anche faticose delle quali il settore produttivo ha assoluta necessità, ma non trova adeguata risposta sul mercato del lavoro !
Si contestano, all'alba del 2011, gli effetti del '68 che avrebbe favorito l'accesso indiscriminato alle scuole superiori e soprattutto all'università, raggiungendo come status symbol i diplomi o le lauree triennali.
Addirittura si afferma che questo modus operandi è stato copiato da diversi paesi del nord Africa (e non solo) che ora si trovano in situazioni delicate visto che molti diplomati o laureati sono senza lavoro e producono pertanto le contestazioni anche violente degli ultimi mesi !!
Bah ! Ho forse una concezione "illuminista" sulla istruzione in genere(diversa forse da quella del Prof. De Rita)la quale è necessaria per acconsentire, perlomeno dal punto di vista intellettivo, alla gente di sapere, conoscere e pensare e raggiungere quindi la libertà individuale (sappiamo benissimo che gli ignoranti sono invece molto più manovrabili in tutti i sensi).
Che poi l'istruzione, la più alta possibile e desiderata, possa dare risposte adeguate e strettamente correlate sul piano occupazionale, questo è tutto da vedere.
I fatti dimostrano che anche gli studi fatti da grandi uomini -oltre che uomini normali - che hanno fatto grande l'Italia in tutti i settori, questi non corrispondevano alle eccellenze raggiunte (ragionieri diventati filosofi, laureati in legge diventati super imprenditori, laureati in lettere grandi funzionari dello stato in comparti eminentemente economici, laureati in storia dell'arte che fanno i bidelli).
Scendendo di livello e generalizzando quindi le scuole e le università da scegliere non devono essere scelte solo in base ai gradimenti individuali, ma anche in base alle indicazioni che l'organizazione scolastica dovrebbe dare, magari negando lauree, pure brevi, che non darebbero ragionevolmente accettabili sbocchi occupazionali.
Occorre cioè mantenere un collegamento stabile, tramite le varie funzioni dello stato e dei governi, tra impresa, scuola ed indizzi scolastici, proprio per sollecitarli a produrre futuri e soddisfatti occupati.
Fare una pre selezione a monte dei livelli e tipologie di istruzione, come sembrerebbero dire le considerazioni di questi giorni, vorrebbe significare che per ottimizzare l'assetto occupazionale occorerebbe decidere anche di studiare di meno, perchè questo è quello che chiederebbe il Mercato.
Non ci siamo proprio: il rapporto tra studio e occupazione non può essere a senso unico, ma un rapporto a doppio senso poichè le sollecitazioni provengono sia da un senso che dall'alto, si implementano e favoriscono la crescita sia dell'una che dell'altro..
Peraltro l'attività produttiva non è mai stata statica (areremmo i campi ancora con un chiodo in fondo ad un bastone); l'evoluzione di processo e di prodotto è frutto di una alta scolarità ed istruzione visto che l'occupazione a bassa occupazione non aumenta, ma regredisce.
Condizionare quindi l'istruzione alla produzione è pertanto una scelta scelta folle, che limita le prospettive di crescita e soprattutto ghettizza le popolazioni in un modo del tutto simile a quello che ha considerato interi continenti il colonialismo ed in neo colonialismo.
Vorrebbe dire, implicitamente, che ci preoccupiamo (o ci pentiamo) del fatto che accanto alle super potenze storiche ora si siano presentate, a pieno diritto sulla scena mondiale, altre nuove potenze economiche, proprio grazie all'incremento del livello di istruzione generalizzata !!
Oppure ci pentiamo di non essere più l'Italia post bellica, laddove chi nasceva in famiglie modeste nemmeno faceva le scuole elementari oppure, alla fine di queste, nemmeno andava alle medie inferiori, ma subito alle "industriali", pronti per entrare in fabbrica a 14 anni !!

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