martedì, maggio 20, 2008

ECCO CHE COMINCIANO AD EMERGERE LE TRAPPOLE

Mentre si sviluppano gli incontri tra i due leader di maggioranza per mettere a punto n piano per sviluppare le riforme costituzionali ecco che il nuovo governo comincia a dimostrare con la sua azione che le sue promesse erano attuabili – ovviamente – con le debite eccezioni o precisazioni.

L’opinione pubblica del centrosinistra storce il naso per questo incontro temendo chissà che manovre sotterranee e perde ancora di vista quella che potrebbe essere invece la strategia de seguire che per ovvi motivi non può che passare per una aggregazione o convergenza politica certamente complessa ma doverosa, visto che alcuni partiti non hanno rappresentanza parlamentare per cui le loro posizioni possono trovare una difficoltà oggettiva a trasformarsi in azione concreta, soprattutto su temi di rilevanza nazionale.

La prima trappola è proprio questa nella quale Pd e soprattutto Pcd, Pcdi, Psi,Verdi, Sd, ecc. rischiano di cadere, non derivante da azione della destra, ma dalle indicazioni -severe - dell’elettorato.

E’ di oggi infatti la posizione espressa dal Governatore della Puglia, Vendola, nella quale esprime dissenso, per il momento, ad incontri e possibili alleanze auspicate da Veltroni.

Mi sembra una vera e grande contraddizione poiché Veldola stesso è il frutto di una alleanza ben riuscita ed il promotore, efficace, di una formula di governo regionale che fa una politica progressista, ma non ideologica.

Se l’iniziativa di Veltroni può apparire come un aggiustamento della linea politica del Pd, forse anche un “passo in dietro” rispetto alla scelta di gennaio, ecco che questo dovrebbe essere inteso come un progetto per gettare nuove basi su nuove alleanze che portino ad una miglior aggregazione anche elettorale in vista della elezione europee del prossimo anno.

Invece no: si continua a perseverare su una linea politica del passato, aggiustandola con nuovi leader magari, ma non emerge ancora il coraggio politico di affinare nuovi modelli , non considerando fra l’altro che alle convergenze dette a parole dal leader della destra non necessariamente faranno seguito fatti concreti (Berlusconi può mettere sempre e comunque sul tavolo le sue ampie maggioranze parlamentari).

La proposta di dialogo del Pd quindi va ben valutata perché i partiti divenuti extraparlamentari non possono limitarsi a sviluppare la loro politica solo sul piano locale con le alleanze in corso, mentre per i temi nazionali possono fare opinione, fare massa, con efficacia assai più circoscritta.

Una seconda trappola è tutta interna all’azione della maggioranza e riguarda la detassazione degli straordinari e dei premi (vedremo sull’Ici che cosa Tremonti tirerà fuori dal cilindro).

Per i premi ad onor del vero si parla di una soglia in modo da favorire solo quelli di produzione a più ampia erogazione, ma sugli straordinari la detassazione, se applicata come prospettato, rischia di creare una grande ingiustizia sociale ed economica.

Innanzitutto è bene esser chiari: con questa azione si vuol favorire la crescita dei redditi netti o dell’efficienza produttiva?

Se riguarda la prima ,come sembra – per favorire i consumi – non si posso né di devono fare distinzioni tra dipendenti pubblici e privati; inoltre non tutti i dipendenti sono in grado di prestare lavoro straordinario in quanto “i turnisti” hanno raramente questa opportunità o richiesta da parte delle imprese ed anche nel settore pubblico di turnisti ve ne sono parecchi (corpi di sicurezza ).

Aggiungo che una parte dello straordinario nell’impresa privata è in nero e non è detto che con questa novità lo faccia emergere e non è ben chiaro come si affrontino poi redditi derivanti dai rapporti di lavoro cosiddetti atipici.

Ad ogni buon conto meglio sarebbe detassare a tutti i lavoratori dipendenti la 13° anche se il vantaggio non si vedrà mese per mese, ma più consistente, solo a fine anno.

Una terza trappola riguarda il cosiddetto “pacchetto sicurezza” che il ministro Maroni sta predisponendo.
In realtà questo pacchetto, costituito da decreti legge, decreti legislativi, ecc. è scritto a quattro mani e Di Pietro per primo ha fatto notare in modo assai caloroso che sul tema tanto cavalcato in campagna elettorale l’abile mano dell’ On Ghidini sta infilando letteralmente di tutto, compreso temi o aspetti che non centrano per nulla.

Si è parlato di penalizzare le migrazioni clandestine, aumentare a 180 giorni la permanenza nei centri raccolta, si è cercato di interpretare a proprio uso e consumo il trattato di Shengen, di dare priorità ai processi relativi a stupri, furti,rapine ecc. e,dulcis in fundo,di consentire il patteggiamento anche in processi avviati dopo il 31.12.2001 (sic!).

La fantasia giudica dimostra in questo caso di non avere limiti:
innanzitutto tutti si sono strappati le vesti - giustamente-per il fatto che chi commette reati molto spesso passano anni prima di essere processato ed inoltre viene spesso messo in libertà, reiterando i reati; ne consegue che le regole di giudizio devono essere più stringenti affinché la pena venga comminata presto e bene per cui va usata con molta parsimonia l’introduzione di istituti che potrebbero vanificare questo obiettivo.

L’abbiamo visto con l’indulto che cosa è successo, ma l’abbiamo visto anche con la riduzione dei termini di prescrizione, con ilfalso in bilancio o con la trasformazione in legge del “41 Bis”(quando era decreto gli arrestati per mafia e simili erano molto di più di oggi); nel caso del patteggiamento può andar bene per i reati fiscali (altrimenti i credici fiscali non si incasserebbero mai) o per certi reati per i quali non è avviato ancora il processo (solo rinvio a giudizio), ma per quelli già avviati e prossimi alla conclusione con decorrenza – ripeto – 31 dicembre 2001 è evidente che l’obbiettivo non è quello di snellire il carico dei giudizi pendenti.

Qui prodest ? Temo che Di Pietro abbia ragione da vendere: interessa in particolare al Capo del Governo attuale che ha pendente un processo presso il tribunale di Milano !
Capito i furbacchioni ? Hanno cavalcato le paure e le insicurezze della gente ed ora per risolverle ne approfittano per sistemare fatti personali.

Domani infine ci sarà il primo – regale, visti i costi aggiuntivi che questa strategia di marketing impone – Consiglio dei Ministria Napoli: staremo a vedere che coniglio estrarranno dal cilindro: bianco o nero ?

Il problema è certamente drammatico,e complesso, dove tutti hanno ragione da vendere, ma dove l’inefficienza si è scontrata con gli interessi particolari della camorra; questo fenomeno riemerge come una bomba ad orologeria e le reazioni dei cittadini appaiono talvolta pilotate sapientemente in attesa del “gran giorno”.

Staremo comunque a vedere se le trappole continuano, auspicando che l’opposizione anche quella extra parlamentare sappia smascherarle, denunciarle e rintuzzarle efficacemente.

mercoledì, maggio 14, 2008

ATTENTI ALLE TTRAPPOLE !

Ieri, 13 maggio, il quarto Governo Berlusconi si è presentato in Parlamento per presentare il suo programma e per ottenere una fiducia, che visto l’ampia vittoria del 13 aprile, appare del tutto scontata.

Quel che balza all’occhio è il radicale cambiamento del leader del centrodestra ( rispetto alla campagna elettorale che ha avuto un taglio comunque barricadiero) nel modo di porsi, nel modo di esprimersi, nel modo di cercare di coinvolgere, in tono mellifluo le opposizioni, offrendo disponibilità al dialogo e richiedendo coinvolgimento sui cambiamenti strutturali ed istituzionali che servirebbero al paese.

Questo garbo, che contrasta con gli atteggiamenti tribunizi che lo hanno sempre contraddistinto, in particolare dalla nascita del Governo Prodi e durante le varie fasi della campagna elettorale nazionale e amministrativa, ha visto la sola reazione della Idv con Di Pietro, mentre Udc e soprattutto Pd hanno preso atto delle dichiarazioni del Leader del centro destra con altrettanto garbo, attendendolo comunque alla prova dei fatti.

Questo garbo, questa leggerezza, questa ragionevolezza, comunque non mi convincono: infatti non penso assulutamente siano l'espressione della superiorità di chi ha ampiamente vinto (onore ai vinti), ma penso che queste significano che per Berlusconi il momento della ricreazione è finito ed ora vi è l’obbligo di fare le persone serie affrontando concretamente le cose da fare con buon senso; al riguardo quindi le opposizioni devono avere la assoluta determinazione di smascherare per prima cosa questo cambio di passo, ricercando ed amplificando con tutti i mezzi possibili tutte le contraddizioni che emergeranno fra il prima ed il dopo.

A questa opposizione, per così dire classica, andrà rilanciata poi la alternativa su ogni singolo tema che evidenzi le lacune delle proposte di maggioranza.

Al di là delle manifestazioni più o meno calorose dei partiti di opposizione, occorre stare attenti alla grande trappola che il leader del centrodestra sta preparando: sa perfettamente che la situazione, qualsiasi situazione, è estremamente critica e che non basta attuare le promesse elettorali che sa perfettamente essere difficilmente irrealizzabili, per come proposte.

Berlusconi, il furbacchione, come un pifferaio magico o come una mantide sta cercando di coinvolgere ancor prima di cominciare a metter giù le sue carte per cercare di dividere il rischio con l’opposizione e dividere quindi pure le responsabilità.

Si muove in modo pacato, perché come sempre ha un obiettivo, ben più alto e più lontano, di quel che vuol far apparire; deve perdere velocemente le sue caratteristiche da tribuno, da capopopolo, per vestire il ruolo di grande statista, per narcotizzare l’opinione pubblica e prepararsi, anche se cinque anni non son pochi, a concorrere al Quirinale.

Questo è il progetto che lo anima ormai da anni : in più diverse occasioni ha fatto il diavolo a quattro per far coincidere i cambi di legislatura con i cambi di presidenza ed oggi cerca di prepararsi il terreno con un governo addomesticato, senza sussulti, senza prime donne (Casini è stato liquidato, Fini parcheggiato alla Presidenza della Camera e Bossi ostaggio al Governo).

Se riuscirà a combinare qualche cosa di buono bene, se così non fosse, pazienza; non dipenderà da lui ma dalla situazione contingente, dagli imprevisti, dagli alleati o dalle opposizioni, ma intanto si sarà rifatto una verginità, per proporsi alla più alta carica dello Stato, come un novello Cesare.

C’è però da dire al riguardo che non sarà questo parlamento a eleggere il prossimo Capo dello Stato, bensì il prossimo per cui c’è tutto il tempo per recuperare ed evitare una simile disgrazia.

La trappola, ovviamente, non è questa (anche sarebbe una bella disgrazia per l’Italia), ma appunto questo suo agire con toni oratori e pacati, mentre dalle uscite dei primi ministri nei vari settori stanno uscendo idee o proposte, per carità , originali, ma che testimoniano anche che, nonostante le promesse, almeno da questi primi passi, non sappiano assolutamente che pesci pigliare.

Sulla sicurezza, dopo averla cavalcata senza reticenze e con buona dose di sfacciataggine, si stanno rendendo conto che è un vero ginepraio intanto perché il problema sono i reati commessi dagli stranieri in italia e non è possibile in buona parte eliminare il problema chiudendo le frontiere.

Il percorso più efficace l’aveva individuato il precedente governo, ma la sua debolezza e la sua opposizione, non hanno permesso che un timido avvio.

Inventare il reato di clandestinità non può certo essere la panacea che risolve il problema dei reati contro le persone e contro il patrimonio.

Il problema rifiuti, che si vorrebbe allargare anche ad altre città come Roma, ha in certe zone una diretta correlazione con ambienti camorristici che ne hanno fatto per anni un bel business gestendo con profitto tutti i rifiuti tossici prodotti altrove ed ecco perché la creazione di nuovi siti di stoccaggio o di inceneritori trova forti contestazioni da parte delle varie comunità; queste infatti non si fidano più di nuove assicurazioni o proposte perché non hanno la certezza che si lavori solo e soltanto sui rifiuti”domestici”.

Sull’economia e sui conti pubblici dell’Italia e sul suo rallentamento, la Ue ci tiene sotto tiro visto che stiamo uscendo solo ora dalla situazione di infrazione e la finanza creativa che sembra riemergere, come quella ricreare un debito europeo per finanziare le infrastrutture, farà ben poca strada (solo un pazzo dovrebbe dare credito a proposte simili, provenienti proprio da uno stato che è stato un maestro nel creare il più grande debito statale !).

Sull’ Ici, sulla pressione fiscale, sulla detassazione degli straordinari e premi emergono per il momento solo balbettii, per non parlare del federalismo fiscale sul quale si dibatte da lustri senza aver fatto un deciso passo avanti.

Sulla efficienza della amministrazione statale si deve cominciare dalla organizzazione del lavoro, dall’informatica, dalla riduzione dei costi (reali non quelli relativi alla carta usata per le pagelle scolastiche) anche retributivi dei gran commiss e non comincando dai tagli con la scimitarra tra chi lavora e chi batte la fiacca.

Sorvoliamo poi sulla crisi Alitalia dove le cordate sono dei fantasmi, con approcci discutibili da parte di messaggeri che vorrebbero affrontare il problema in via del tutto privatistica: le società quotate danno - al pubblico - trimestralmente i loro dati in Consob e quindi è da li che si può attingere, oppure si deve manifestare pubblicamente il proprio interesse alla operazione pubblicizzandone i componenti ed attendendo dalla società il via libera per l’analisi dei dati patrimoniali ed economici.

Attenti quindi alle trappole, attenti quindi nel vigilare e attenti a denunciare gli imbrogli senza alcuna remora.

Anche sulle controproposte su qualsiasi tema massima chiarezza e pubblicità, perché è sulle cose reali che si potrà sbugiardare la campagna elettorale e l’azione del nuovo governo: è da una intelligente opposizione che si potrà riguadagnare un consenso maggioritario

lunedì, maggio 12, 2008

PROVE DI COMUNICAZIONE A SINISTRA

Ancor prima di analizzare le cause del fallimento elettorale del centrosinistra sia alle politiche che in alcune importanti amministrative sembrano emergere prove di comunicazione a sinistra quasi a voler ricostruire relazioni tra i vari partiti che la compongono ipotizzando ed in parte modificando le “linee di comando” che li hanno sin qui governati.

Per amor di chiarezza penso sarebbe più opportuno invece analizzare all’interno di ogni partito le cause dei risultati, non necessariamente modificando le linee di comando: quelle devono essere, caso mai, una conseguenza non una causa.

Nel caso specifico penso che non sia sufficiente limitarsi al cambio di segreteria se non si rimuovono i vincoli di fondo che hanno portato alle ultime elezioni un risultato così severo.

Inoltre non bisogna avere reticenze nello sviluppare la critica su quanto sin qui fatto, per ricercare gli opportuni rimedi perché non si tratta di una linea politica che ha prodotto fallimento, bensì in un approccio di proposta politica che poggia su basi che, a mio vedere, devono essere modernizzate e rese più coerenti alla società attuale e futura..

Sono del resto sempre convinto che le cause di un risultato dipendono sempre e comunque innanzitutto da noi e poi, eventualmente dagli avversari.

Del Partito Democratico si è detto di tutto e di più; la sua gestazione è durata anni, ma ciò nonostante il nuovo percorso disegnato ha fatto perdere, ancora una volta, pezzi che si sono sparsi con la costituzione di nuovi partiti o confluendo in altri.

Sarebbe stata auspicabile addirittura una aggregazione con partiti simbolo di diaspore passate, ma evidentemente il percorso del nascente partito non convinceva o, forse, risultava troppo “doloroso” abbandonare vecchi modelli.

Si è parlato di fusione a freddo, di primarie pilotate, di partito senz’anima, ma resta il fatto che non era più procrastinabile tenere il motore ben caldo, senza mai iniziare a mettersi in moto.

Forse l’errore di un po’ tutti i protagonisti è stato quello di aver perso – ci più chi meno -il diretto collegamento con la società, con le sue ansie, paure, aspettative, desideri , ma soprattutto è maturato un diverso approccio rispetto alle ideologie: mentre chi si addensava politicamente al nascente Partito Democratico le considerava come uno strumento, una base su cui elaborare nuovi modelli, per gli altri continuava ad essere considerato un fine non più adattabile ad una società molto articolata e frastagliata.

I fatti hanno dimostrato che l’elettorato, una parte dell’elettorato non ha gradito, non ha capito, non ha condiviso, come in passato, per cui questa fragilità, questa debolezza è emersa in modo drammatico, anche per partiti storici come il Partito Socialista.

L’azione del governo uscente è stata senza dubbio importante sia sul piano economico con la sistemazione dei conti pubblici, sia sul piano dell’efficienza con ulteriori importanti liberalizzazioni, ma la farraginosità con qui questo è avvenuto (ed il fuoco di sbarramento dell’opposizione) e le lunghe trattative all’interno della coalizione, hanno sminuito la percezione della loro efficacia da parte dell’opinione pubblica, peraltro direttamente interessata da altre criticità economiche e di sicurezza ambientale, sottovalutate dal governo e cavalcate, ancora una volta, dall’opposizione.

Intendo dire che l’azione fatta era senz’altro necessaria ed utile, ma di fronte alla portabilità dei mutui, alla eliminazione dei costi di ricarica sui telefonini, ai processi di liberalizzazione di taxi, avvocati, notai, panettieri, ecc. sono risultate insufficienti le azioni per risolvere il quotidiano, in termini realistici, riguardo l’inflazione, il costo della vita, la sicurezza – reale e non quella percepita – nelle nostre città o l’annoso problema sullo smaltimento rifiuti e sugli incrementi di tariffe e prezzi dei servizi primari come rifiuti,acqua,luce e gas.

E’ pur vero che tante di queste non possono dipendere dalla azione di governo, ma è altrettanto vero che quando la situazione economica spicciola di deteriora il capro espiatorio è sempre il governo in carica e l’opposizione cavalca senza tante remore questa onda.

Dire oggi che gli avversari politici hanno goduto di un vantaggio mediatico conta poco: lo sapevamo da prima (come al Palio di Siena ha vantaggio il cavallo fuor de’ canapi) e ci dovevamo tutti attrezzare adeguatamente per contrastare questo nostro handicap.

Non si trattava certo di promettere al popolo tutto quello che il popolo voleva (anche la luna), ma andava proposto un modello chiaro ed univoco di governo, convincente, tralasciando, se pur con fatica, posizioni pur intelligenti ed eque, ma che non interessano minimamente buona parte dell’opinione pubblica la quale apprezza i vantaggi contingenti e non si può accontentare soltanto delle prospettive (il modo di vita attuale non è quello del dopoguerra ed è su questo che l’opinione pubblica si confronta).

E’ bene esser chiari: una parte consistente dell’elettorato non ha assolutamente paura di votare a sinistra (e parlo di PD, SA, PSI), come non ha paura di votare per il fronte opposto: non vuole votare per uno schieramento poco convincente, poco coeso o incerto.

La prova sta in elezioni che hanno dato risultati inattesi o contraddittori: il centrosinistra ha vinto a Vicenza e Udine e a Roma, i romani hanno premiato alla Provincia Zingaretti, mentre hanno “punito” Francesco Rutelli”.

E’ evidentemente il messaggio che ha convinto in alcune situazioni ed in altre invece no, quindi la causa non è soltanto nei contenuti, ma persino nella comunicazione.

Certo ci sono pure situazioni veramente difficili (come accade, per il fronte opposto, in altre regioni di centrosinistra sin dal dopo guerra) dove scalzare i vantaggio del centrodestra non è facile:penso alla Sicilia dove il vantaggio è rimasto schiacciante perché, probabilmente, la carta vincente è stata la aggregazione patrocinata dal Movimento per le autonomie che ha sostituito quella bruciata e costituita dal dimissionario Cuffaro.

Dell’autoanalisi che si impone nel Partito Democratico non si possono chiamar fuori gli altri partiti della Sinistra perché è fuor di dubbio che la risposta elettorale ha mandato un segnale forte anche qui, di discontinuità rispetto al passato.

C’è da domandarsi infatti, soprattutto per Prc, Pcdi e Sinistra Democratica se il processo di scissioni non sia stato punito, anche troppo severamente; cioè se l’elettorato potenziale non abbia gradito il mantenimento di modelli politici contigui che non potevano garantire risultati accettabili e soddisfacenti in caso di nuovo governo di centrosinistra.

La realtà per come la vedo è che la nostra società non disconosce certo i principi etici, non disconosce le idealità, ma pur scomposta e articolata com’è, ha dato chiare indicazioni con il voto che preferisce aggregazioni politiche di sintesi che siano pragmatiche, e quando queste poggiano su idealità che trovano corrispondenza con la realtà, con il nostro vivere quotidiano, non hanno difficoltà a dare la loro fiducia.

L’elettorato non ha certo votato turandosi il naso, ma comunque abbia espresso il voto, sono convinto che l’abbia assegnato a chi, a torto o ragione, era più convincente.

Il Pdl ha avuto un riconoscimento che non si può negare, come non si può negare quello ottenuto dalla Lega o dal Pd e con questo occorre fare i conti.

Nel caso dei partiti della sinistra cosiddetta radicale ed anche del Psi si è sottovalutata la nascita del Pd, anzi le scissioni iniziate nella Sinistra nel 1991 (Bolognina) sono proseguite, e non si è fatto tesoro degli errori di programma e strategici nella legislatura passata, con una “reazione” timida, con la nascita poco dopo della”cosa rossa” e questo non è stato certamente un elemento di chiarezza nei confronti dell’elettorato di riferimento.

Hanno invece sperato, confidato benevolmente di raggiungere risultati di voto simili al passato, mentre invece il collegamento, il filo rosso, si è spezzato.

La nascita del Pd prima e la decisione di correre da solo poi è stato un elemento di grande novità, ma alla fine la proposta di costituire, come risposta, il Pdl è stata più convincente, come è stata più convincente la decisione della Lega di limitarsi alla alleanza (ti seguo, ma non ti sposo) che ha permesso di ampliare il consenso in tutte le fasce sociali.

La fedeltà mantenuta alla coalizione del governo uscente non è stata sufficiente perché su molti temi la divergenza è apparsa piuttosto grave come nel caso della approvazione delle legge sulle pensioni o sul welfare dove le parti sociali avevano trovato faticosamente un accordo, confermato pure nelle assemblee sui posti di lavoro e si è voluto rimetter mano creando certamente sconcerto tra i lavoratori, che sono anche elettori.

Certi comportamenti politici, se volete iper coerenti, come quelli di Rossi o Turigliatto che cito ad esempio sono significativi certamente di una posizione politica, ma è fuor di dubbio che non è sufficiente la coerenza se la non si collega con il realismo,con il pragmatismo: diventa un esercizio di bella calligrafia che non contribuisce a soddisfare le aspettative dell’elettorato.

Certo non è facile collegare idealità con realtà, mantenere coerenze ideali con le necessità contingenti della società che evolve, come evolve l’economia ormai sempre più globalizzata.

E stato un grosso errore non aver capito che le idealità si possono mantenere, non rinnegare, ma debbono essere necessariamente aggiornate, sfrontate di anacronismi che appesantiscono l’azione politica.

L’errore di tutti i partiti della sinistra, Pd compreso, è quello di non aver saputo privilegiare l’efficienza politica preferendo molto spesso dibattiti, precisazioni, punti di vista che hanno rallentato l’incisività dell’azione di governo.

Di cose eccellenti ne sono state fatte parecchie, ma la laboriosità per la loro preparazione, discussione e i conseguenti ritardi nell’applicazione non sono stati per nulla apprezzati dall’elettorato; talvolta si sono pure scelte priorità che erano più ideologiche che di diretta e generale utilità e necessità per gli italiani e su queste ci si è pure impantanati con soluzioni iper mediate, frutto più di posizioni ideali (Dico) o di potere (Rai) che di diretta reale utilità.

Per non parlare delle diverse anime che si sono approcciate al problema medio orientale dove le posizioni hanno sempre presentato molte sfaccettature identiche a quelle di 40 anni fa quando il panorama della regione era molto meno articolato di oggi e l’unione politica della Ue, che potrebbe giocare oggi un grosso ruolo sullo scenario internazionale, era ancora di là da venire.

Forzando, forse, con il paragone che segue, la coalizione uscente ha fatto vedere realmente agli elettori una alleanza molto articolata e forse un po’ troppo pignola, simile alle assemblee permanenti nelle facoltà degli atenei occupati alla fine degli sessanta, dove, per carità, i dibattiti erano certamente formativi, interessanti, appassionanti, ma dove per forza di cose non vi era poi una diretta conseguenza concreta della fase di analisi: erano studi, erano esercizi dialettici, ma un Governo invece deve fare fatti – anche impopolari – ma velocemente e chiaramente intesi da tutti.

Il Governo uscente con il suo leader ha fatto una fatica improba a sviluppare il programma perché in virtù del diritto di parola, le precisazioni, correzioni, aggiustamenti avvenivano molteplici ogni volta, anche su temi apparentemente importanti ma semplici da affrontare; inoltre il collegamento ai gruppi parlamentari di riferimento è sempre apparso molto sfilacciato, a tal punto che – per paradosso – in molti casi sembrava che il Governo predisponesse una certa linea politica da attuare e i gruppi parlamentari del Centrosinistra un’altra.

Questo è un aspetto estremamente irritante, perché si conoscono le alte qualità politiche dei componenti di quella alleanza che invece, nel fase realizzativa, hanno dato spesso chiari segnali di inefficienza, come è irritante oggi, per chi ha creduto in quella alleanza, vedere la velocità con cui la nuova maggioranza sta varando il nuovo Governo.

Certo potrebbe trattarsi di sola apparenza, ovvero anche di una coalizione ampia, ma “monoteista”; resta il fatto che questa velocità resta nella memoria della gente e i paragoni vengono spontanei ed irriconoscenti.

Ritornando velocemente ai concetti espressi in apertura è fuor di dubbio che ogni partito dell’attuale opposizione può scegliere le forme, che ritiene più opportune, per dibattere e affinare la propria politica e la linea di comando, ma è fuor di dubbio che se non scaturisce, con buona volontà e onestà intellettuale, un processo di convergenza assai ampia vi è il reale pericolo che questo ventaglio resterà articolato ed inefficace sia per la creazione di un nuovo progetto politico alternativo alla attuale maggioranza, sia per poter ragionevolmente attrarre maggioranze elettorali necessarie a governare.

Le analisi che coinvolgono un po’ tutti i partiti sia quelli della Sa che il Pd sembrano, ribadisco, concentrarsi più su la ricerca di responsabilità interne, di regolamento di conti, che cercare capire dove si è fallito, dove le posizioni politiche articolate non hanno lasciato chiaramente intendere come si sarebbero potute concretizzare una volta raggiunta la maggioranza di governo.

Quando le divergenze, per esempio, riguardano la collocazione e la posizione sullo scenario internazionale, con particolare riguardo alla collocazione delle nostre truppe (vedi Afghanistan e Liano) e poi sullo scenario interno non si riesce a trovare – ancora una volta - un intento comune, che so, sulle modalità di rilancio dell’economia e sulla creazione di un modello economico che si possa prefigurare in futuro per il paese appare evidente che una parte dell’elettorato non è più disponibile a compiere ancora una volta un atto di fede, ma punisce in modo inequivocabile non votando o indirizzando il consenso sulla alleanza avversaria (politicamente).

Se si nota già nel Pd sembrerebbero apparire regolamenti interni, intenzioni di cambiamento nella linea di comando, creazioni di correnti o componenti (ma come, la fusione non è ancora sedimentata e vogliamo ritornare ai distinguo interni, con il reale pericolo di creare ex Ds e ex Margherita), quasi a significare che tutti tatticamente hanno lasciato fare a Walter Veltroni, pronti però ad aspettarlo al varco.

Non so dire se la formula progettata da Veltroni fosse la più efficace, ma resta il fatto che gli altri partiti della coalizione di governo (SA) sono stati un po’ freddini, hanno convenuto reciprocamente e velocemente che il distacco consensuale si poteva fare.

Oggi però esce nel Prc che la linea politica di Bertinotti è diventata minoranza: il progetto di aggregazione a sinistra non convince la maggioranza del partito che con il vincente Ferrero punterebbe ad un “grande” Prc.

Per Sinistra Democratica vedremo a che cosa porterà il recente cambio di segreteria e per Pcdi con Diliberto vedremo gli sviluppi, ma penso che se non si eliminano nelle analisi gli orpelli che hanno indispettito l’ elettorato i risultati potranno continuare ad essere insoddisfacenti (non dimenticando che i prossimi anni vi saranno ancora elezioni che potranno costituire una verifica della trasformazione, eventualmente, svolta).

Che fare quindi ?

Oltre all’analisi cruda dei punti deboli penso vadano analizzate anche le esperienze delle altre sinistre europee: il Labour in Gran Bretagna è tornato per oltre 10 anni al governo dopo una trasformazione radicale; Tony Blair può non piacere, ma ha il pregio di aver sdoganato il regno dal thatcherismo, di aver rivoluzionato l’assetto economico del paese ed ora, anche per effetto Brown, nelle recenti elezioni amministrative l’elettorato sta presentando il conto non già per quel che ha fatto, bensì per quello che non ha fatto, per la discontinuità, poco convincente, che ha proposto.

In Spagna Felipe Gonsales prima ed oggi Zapatero hanno saputo creare ampio consenso politico e di governo, tralasciando ideali massimalisti ed inproduttivi e mirando alle cose concrete di pubblica ed indiscussa utilità per l’opinione pubblica, anche se alcune operazioni stanno mostrando i loro limiti (la precarietà del lavoro dipendente è molto più alta che in Italia, ma vi è la capacità politica di governare e migliorare il fenomeno).

In Francia e Germania la sinistra ha governato per decenni ed ora si trova a rincorrere perché non ha saputo interpretare le nuove esigenze che emergevano (il problema delle banlieu e delle città industriali del nord hanno punito Jospin e l’onda lunga dell’unificazione ha fatto altrettanto con Schroeder).

Ebbene la credibilità si ottiene con le proposte, ma anche con l’assetto politico (il centrodestra ce l’ha ampiamente dimostrato) e per il Pd e Sa intravedo solo due strade:

la prima, ma obbiettivamente la più difficile, è un processo di riaggregazione sul Pd di tutti i partiti dell’Unione (che non hanno fatto il salto della quaglia) compresi Socialisti e Radicali.
E’ un processo complesso perché creare un grande partito che non diventi “unico” non è facile poiché occorre convergere sui principi, sui programmi, sulle azioni ed anche sulla semplificazione della linea di comando.
Se non si scioglie questo noto, diversamente, si creerebbero all’ interno del Pd le contraddizioni che esistono inequivocabili all’esterno.

La Seconda è invece la prosecuzione del processo nato con il Pd (da quale resta fuori Idv per il momento) da un lato e la creazione di un nuovo partito di stampo laburista che aggreghi su programmi comuni tutti i partiti della Sa, i Socialisti e i Radicali (se non fosse realizzabile una integrazione nel Pd).

In questo caso si potrà prefigurare una alleanza “bicolore” che dovrà comunque avere la capacità per atteggiamenti, per ideali, programmi, solidità e credibilità di attrarre consensi maggioritari che portino alla creazione di una vera alternanza di governo visto che dal 1994 in poi non possiamo dire che i governi di csx siano scivolati via sul velluto, e questo l’elettorato di riferimento si è dimostrato poco incline a comprenderlo e soprattutto tollerarlo.

E’ bene esser chiari quindi: continuare a voler riproporre un modello o ideali che riconducono al comunismo, in Europa, è dimostrato essere ormai improponibile.

Questo modello può ancora forse andar bene per l’estremo oriente o per l’America latina, ma in Europa non potrà che aggregare dei nostalgici, ovvero gruppi sempre più sparuti..

Il mondo del lavoro in Italia e in Europa non si tutela più con vecchi modelli, ma con nuovi processi e programmi politici: le esigenze dei lavoratori vanno tutelate, ma anche indirizzate e soddisfatte con nuovi processi che debono essere concreti e realizzabili, altrimenti, lo vediamo in pratica, vi possono essere altre componenti politiche che se ne possono appropriare ottenendo consensi inimmaginabili sino a qualche lustro fa.

Non possiamo, concludo, più permetterci di attendere che una parte dell’ elettorato si renda conto di aver riposto male la sua fiducia (attribuire all’elettore la colpa della sua scelta è una assurdità madornale) perché la politica del tanto peggio, tanto meglio non ha mai pagato e poi perché non si può obbiettivamente contare sugli errori possibili degli avversari politici: deve invece contare la forza delle idee, la credibilità e la realistica convinzione della loro realizzabilità per far raggiungere al centrosinistra ampi consensi che portino ad un governo stabile e duraturo. .


sabato, maggio 03, 2008

LE “RIVOLUZIONI” ELETTORALI IN ITALIA E GRAN BRETAGNA

In questi giorni possiamo rilevare che sia in Italia che in Gran Bretagna si stanno o si sono attuate delle svolte epocali a dimostrazione he non è del tutto vera la storica frase del nostro Giulio Andreotti, Senatore emerito della Repubblica, ebbe a dire un tempo: “ il potere logora chi non ce l’ha!”

Infatti in Spagna e Germania chi rincorreva il premier ed il partito di governo in carica ha guadagnato la maggioranza (in Francia possiamo riscontrare forse l’unica eccezione) ed ora in Italia e in Gran Bretagna (anche se si tratta di elezioni amministrative) sta avvenendo la stessa identica cosa.

Capire se questo sta avvenendo per meriti delle passate opposizioni o per demeriti delle maggioranze uscenti è forse la cosa più importante per analizzare veramente le cause e per allestire quindi strategie che portino a riguadagnare consensi e maggioranze nei prossimi anni.

In realtà le cause sono imputabili ad entrambi gli schieramenti, ma per chi perde deve necessariamente essere messo sotto la lente di ingrandimento prima di tutto il proprio operato.

E’ infatti con l’autocritica che si affrontano luci ed ombre e si possono ricercare idee, strategie, programmi che possano rigenerarci e permetterci di riproporci come credibile forza di alternanza.

E’ fuor di dubbio che l’elettorato, qualsiasi elettorato dei paesi europei, crede sempre meno alle ideologie, alle differenziazioni tra destra e sinistra, ma crede, e lo ha dimostrato ancora una volta, ai fatti dimostrati e alla credibilità che si ha per i fatti da dimostrare.

Le elezioni in Italia hanno dimostrato che l’elettorato non crede più ad un arco costituzionale pletorico, portatore di tante idee, ma anche di tanto immobilismo, non crede più a schieramenti statici che restino ingessati nel tempo ed ha punito quindi severamente la amministrazione uscente che non ha dimostrato determinazione e coesione, premiando chi invece, a torto o a ragione, dimostrerà il futuro prossimo di saper dare o meno un cambiamento radicale al paese.

Chi governa infatti ha sempre due obiettivi: il primo è quello di attuare ciò che ha promesso ed il secondo quello di sapersi rigenerare, saper trovare quindi al suo interno la forza di concretizzare gli obbiettivi che si è dato e nello stesso tempo l’affidabilità che questa azione si possa sviluppare anche nel futuro, con gli stessi uomini o con nuove leve.

Il progetto politico dell’ Ulivo prima e dell’Unione poi non si è completamente sviluppato perché non si sono eliminati vecchi schemi, vecchi idealismi che sapevano di stantio e sono apparsi quindi sia nello sviluppo politico, sia in prospettiva, come elemento di fragilità e di instabilità ad una opinione pubblica che invece ha bisogno di chiarezza e di certezza.

La nascita del Partito Democratico, se ce ne fosse stato il tempo, avrebbe accelerato questo processo perché avrebbe costretto anche la sinistra radicale ad una scelta analoga timidamente iniziata con La Cosa Rossa, ma le elezioni anticipate hanno circoscritto l’area elettorale del Partito Democratico e letteralmente liquefatto la presenza parlamentare di Sinistra Arcobaleno.

Quest’ultima ha cavalcano ancora vecchi slogan solo un po’ ringiovaniti che non convincono più nessuno: la lotta di classe è stata strapersa visto che dal 1983 al 2005 in Italia i profitti delle imprese sono passati dal 23% a 31% del Pil (fenomeno del tutto comune a quasi tutti i paesi industrializzati) per cui sono altri i percorsi, altri i progetti, altri i programmi da mettere in campo per creare ricchezza e maggior equità.

La perdita dell’amministrazione comunale di Roma, dopo 15 anni e dopo solo due anni dalla vittoria plebiscitaria del 2006, ne è la riprova: per generare convergenze su una alleanza che si propone di governare non si può più parlare in termini di classi o ceti sociali perché abbiamo visto che questi si scompongono senza tanti problemi per addensarsi intorno a partiti, a programmi e a leaders che generino affidabilità nel dare risposte a problemi concreti.

Non si comprende infatti perché Walter Veltroni nel 2006 abbia trovato la maggior forza per raggiungere quel grande risultato con i voti di tutti i quartieri soprattutto popolari e questa volta Francesco Rutelli abbia perso attraendo soprattutto i voti dei soli quartieri storici del centro città.

La questione sicurezza è stato un buon cavallo di battaglia un po’ ovunque, sia per le elezioni amministrative che per quelle politiche, ma resta il fatto che chi aveva l’amministrazione uscente in mano non ha saputo, non ha voluto, non ha potuto gestirla con soddisfazione per le varie comunità ed ora è stata punita severamente: troppo comodo prendersela con l’elettorato che nonavrebe capito o che si sarebe fatto abbindolare da facili promesse.

Questa volta il processo di rigenerazione, di ripartenza, andrà fatto con il cuore in mano, prestando attenzione a quanto faranno o non faranno le amministrazioni vincenti, capendo i malumori e le aspettative frustrate della gente e su questo costruire un modello politico che si possa riproporre in futuro spero molto prossimo come valida alternativa.

C’è molta da lavorare senza reticenze e senza sconti, perché in queste elezioni politiche si è disperso un patrimonio enorme, l’11% di elettorato rappresentato dalle preferenze ottenute nel 2006 dai partiti della Sinistra Arcobaleno, che va recuperato, ma a questo punto c’è da domandarsi, visto il tempo che ci aspetta, se non varrà la pena di liberarsi definitivamente di vecchi orpelli e procedere ad una aggregazione sotto un stesso partito di un’area ben più ampia, con grande peso specifico da giocare nella prossima tornata elettorale (eliminando una buona volta la sindrome da scissione che come una maledizione segue la vita della sinistra italiana).

I partiti della nuova maggioranza di governo, è fuor di dubbio, hanno saputo sin dall’aprile 2006 saper giocare sapientemente di rimessa e in questa campagna elettorale (anche quella municipale di Roma) hanno saputo attrarre le peculiarità territoriali, giocando sulle insoddisfazioni che il governo uscente, pur con ottimi risultati, non ha saputo eliminare.

L’autonomia del Nord ha fatto breccia ovunque, presso tutti i ceti sociali, in tutte le comunità e quella del Sud altrettanto, riproponendo un modello autonomista nuovo di zecca, che ha saputo proporsi come novità su tutti i competitori storici, di sinistra, di centro e di destra.

Alleanza Nazionale è riuscita a sdoganarsi dalla sua storia ancora meglio di quanto non sia stata capace la sinistra storica: è vero che quest’ultima già da molti anni ha assunto numerosi ruoli istituzionali, ma è questo un percorso non completamente compiuto, se si esclude il breve governo di Massimo D’Alema, sintetizzato dal " lavoro ai fianchi" usano anche questa volta da Berlusconi in campagna elettorale e in legislatura .

Uno degli slogan più azzeccati è stato quello di accusare la sinistra di "incapacità a governare per storiche riserve mentali" e la maggioranza uscente ha fatto di tutto per non smentirla con fatti ed atti realmente convincenti.

Forza Italia con il suo demiurgo Berlusconi è stato il collante, l’unificatore di tanti mal di pancia, di tanto malcontento che serpeggia, a torto o ragione, nell’opinione publica ed il risultato è arrivato per noi cocente.

Quello che avverrà non sì può prevedere, ma c’è forte il timore che pur con queste maggioranze il nuovo Governo non faccia tesoro delle esperienze negative del passato.

L’ Italia è una società assai composita con attese, aspettative talvolta contraddittorie (più sicurezza e più libertà, più servizi e meno tasse, ecc) delle quali si rende certo conto, ma sulle quali cerca d mantenere il punto.

Occorrerebbe all’ Italia una politica decisa a trasformare radicalmente (come è avvenuto in Gran Bretagna negli ultimi decenni) il paese, ma per questo ci vuole appunto decisione ed anche accettazione che le varie componenti della nostra comunità sembrano non voler accogliere: lo vediamo da anni per la questione Alitalia, l’abbiamo visto per Telecom, per Aeroporti di Roma, per Malpensa e per tanti altri casi.

L’imprenditoria nostrana che ha saputo incrementare i propri profitti dell’ 8% sul Pil in 22 anni, mantiene ancora vecchi vizietti, soprattutto la grande imprendoria che entra ed è entrata in operazioni di privatizzazione non per mettere a disposizione il proprio background per migliorare le imprese sotto il profilo della redditività, della crescita occupazionale, dei migliori servizi a minor costo, ma per sostituirsi semplicemente al monopolio pubblico, utilizzando la leva finanziaria (denaro a prestito) anziché il capitale di rischio, finalizzato più al business finanziario che a quello industriale.

Le elezioni Amministrative in Gran Bretagna segnano una battuta dei Laburisti ancora più cocente di quella patita nel 1994 dai Conservatori di Mayor.

E’ forse troppo presto per trovare motivazioni plausibili, ma da questi primi giorni appare evidente che il partito Laburista ha perso la spinta propulsiva guadagnata con Tony Blair nel 1994.

E’ evidente che il Labour non ha saputo rigenerarsi, non ha saputo ringiovanirsi e riproporsi come partito ancora una volta affidabile; questo riguarda tante amministrazioni locali ed anche quella metropolitana di Londra condotta da Livingstone.

Chi rincorre, i Tories, ha giocato sugli errori di chi governa, sul minor appeal presso l’elettorato, sulle sue attese sempre meno soddisfatte, ma ha anche saputo rinnovarsi profondamente facendo emergere una classe dirigente giovane, meno paludata e pragmatica.

Per le elezioni politiche del prossimo anno la situazione non si presenta per nulla rosea, per il Labour, visto che è stato superato anche dai Liberal, da decenni fanalino di coda dei partiti parlamentari anglosassoni.

Anche qui le similitudini con l’Italia si sprecano perché le caratterizzazioni di questi partiti si sono nel tempo stinte ed il partito dei Conservatori non è più il partito della sola nobiltà (che nel Regno Unito conta quanto la Chiesa Cattolica, senza offesa naturalmente) ed ecco perché ha ottenuto maggioranza di consensi puntando a soddisfare le aspettative e le angosce insoddisfatte dell’elettorato, che guarda sempre meno al fatto che il leader sia un nobile o meno.

Le difficoltà di gestione ed integrazione ci sono per tutti quindi anche nel Regno Unito, che è appunto il regno unificato di tre monarchie e di metà Irlanda, che è la sede del Commonwealth, che gestisce etnie diverse derivanti dal suo secolare colonialismo e religioni che hanno creato non poche lacerazioni.

Eppure le maggioranze susseguitesi hanno saputo governare per un certo tempo questa realtà e a farla prosperare.

Margharet Thatcher ha saputo smontare uno stato sociale troppo costoso (ricordo uno zio che preferiva prendere il sussidio di disoccupazione molto vicino allo stipendio da lavoro), ma non ha saputo rilanciare il paese tanto che il reddito pro capite era inferiore a quello dell’Italia e giunse poi a far uscire drammaticamente la sterlina dallo Sme (insieme alla Lira l’ 11 settembre 1992).

Tony Blair seppe raccogliere fiducia e svecchiando il vecchio Labour seppe creare una politica economica “rivoluzionaria” che portò a tralasciare settori produttivi ormai maturi (ora l’industria automobilistica, dopo tanti giri, è finita in mani indiane) verso quelli ad alta innovazione sia tecnica che finanziaria ed ora dopo 13 anni di questa cura la ricchezza del paese e dei suoi sudditi è cresciuta (mentre dall’ 1983 a 2005 i profitti delle imprese sono in percentuale sostanzialmente stabile rispetto il Pil).

E’ fuor di dubbio che comunque questa politica abbia mantenuto o abbia generato margini di malcontento significativi nell’opinione pubblica (ha apprezzato l'intervento militare alle isole Granadine, ma non l'intervento in Iraq troppo allineato agli Usa) ed il cambio di testimone con Brown può averla amplificata, per l’incapacità di percepirla e soprattutto di modificarla.

Resta il fatto, del tutto simile all’ Italia, che l’elettorato del Regno Unito, non ha, per la maggioranza qualificata alcuna reticenza a cambiare “cavallo” se David Cameron saprà essere veramente convincente e soprattutto affidabile.

C’è forse ancora tempo per poter recuperare alle prossime elezioni politiche, ma resta il fatto che anche qui occorre una analisi sugli errori atti e soprattutto la formulazione di una proposta convincente che sia in grado di annullare abbondantemente lo svantaggio acquisito.

Diversamente il Labour dovrà andarsene in quarantena per rigenerarsi profondamente e ripresentarsi più credibile e convincente alla successiva tornata elettorale.