Era intitolato “Libero mercato ed effetti collaterali” in buona sostanza sostenevo in un questo “panfleth” che le regole di mercato erano state in tutti i sensi stravolte ed aggirate, per cui questo stava producendo uno stravolgimento del mercato stesso e stava creando danni incalcolabili che avrebbero stravolto la struttura delle economie.
In particolare sostenevo:
- che le regole teoriche della formazione di prezzi e tariffe, prodotte dall’incontro tra la domanda e l’offerta, pur con tutti i vincoli di produzione e di reperimento delle materie prime, avrebbero dovuto portare alla diminuzione dei prezzi al crescere della domanda, in realtà erano sostituite in gran parte da regole pratiche che le stravolgevano in buona parte (ad eccezione di qualche prodotto e servizio dove effettivamente il confronto tra domanda ed offerta era trasparente e i produttori erano in effettiva concorrenza).
- che la conseguenza erano la dislessia di prezzi e tariffe ovvero la loro formazione sempre più avulsa dalle regole di mercato (che diventa a sua volta dislessico) con la nascita quindi di una sempre più ampia rete di piccoli e grandi monopoli ed oligopoli che produceva – e continua a produrre - da un lato l’aumento dei prezzi di beni e tariffe e dall’altro una diminuzione progressiva dei consumi.
- che il risultato finale era la nercrosi del mercato e quindi del consumatore che consiste in una spirale perversa che porta inesorabilmente alla crisi economica.
Che cosa avrebbe dovuto fare ancora allora il Governo in carica ?
“ riporto di sana pianta queste considerazioni - parziali - d'allora:
Per prima cosa non avrebbe dovuto interpretare quella situazione come un fenomeno congiunturale bensì strutturale, per cui la sua azione avrebbe dovuto orientarsi non a sfornare manovre economiche sciolte in mille rivoli, ma affrontare i nodi che avevano portato a quella situazione di stallo introducendo regole che evitassero tante furbizie di sorta.
Invece no, pur in una situazione in lenta ripresa, preferì lasciare le briglie sciolte convinto che l’autoregolamentazione del Mercato avrebbe prodotto i suoi anticorpi per una pronta ripresa dell’economia.
Da buon governo liberista avrebbe dovuto invece sancire nuovamente che in un libero mercato il centro è la domanda (consumatore) che per regola dovrebbe avere il coltello dalla parte del manico, avendo invece la lama, che fa già da tempo le sue scelte di economicità fin dove può (l’ha sempre fatto per la verità): seleziona i consumi, sceglie gli offerenti ( i discount proliferano a vista d’occhio) ed attende tempi migliori che però non debbono tardare.
L’offerta (produttore) deve necessariamente esaminarsi e fare scelte coraggiose: pensare e progettare di produrre di più, a più basso costo e a più basso prezzo rendendosi conto che la sua non è una scelta umanitaria, ma è una scelta obbligata per il suo futuro, necessaria per la sua stessa sopravvivenza.
L’impostazione del attuale Governo Berlusconi che con la sua filosofia pseudo liberista ha fatto in realtà intendere che produttori e grande distribuzione potevano fare dei prezzi quel che volevano, va invertita con decisione: occorre che l’offerta, nel suo stesso interesse, faccia con decisione un passo in dietro intraprendendo una politica autonoma di diminuzione dei prezzi (con controllo stretto da parte delle Istituzioni) introducendo il principio della “accettabilità” dei prezzi stessi, regola peraltro largamente utilizzata nella formazione e lancio di nuovi prodotti e servizi che va perpetrata e controllata anche nella vita successiva dei prodotti e servizi stessi.
Certo, soluzioni ce ne possono essere altre, come quella di cercarsi altri mercati in alternativa a quelli storici, ma questo comporterà oltre che vantaggi anche maggiori impegni di quelli che avrebbe restando ad operare nei luoghi d’origine; comunque il modus operandi non potrà che essere lo stesso: entrare in un nuovo mercato del Terzo Mondo per esempio dovrà necessariamente comportare il rispetto della regola della “accettabilità” di prezzi e servizi in quanto, diversamente, sarà ancora più repentino il flop che si può preannunciare sui mercati domestici.
Non va dimenticato infatti che la crisi del nostro paese, arrivati a questo punto, non è di produzione bensì di consumi per prezzi troppo alti e per salari o retribuzioni nette sostanzialmente ferme (di trasferimenti di ricchezza dalle imprese ai dipendenti non se ne parla proprio).
Le Istituzioni a questo punto (ed in particolare gli organi di Governo nazionale e locali), debbono allestire dei veri e propri osservatori sull’andamento dei prezzi e delle tariffe per contrastare le anomalie del mercato (sull’esempio degli accordi con Farmindustria per il latte in polvere)…………………………………………………………………………………………… “”
Ebbene di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia; da quel marzo 2006 abbiamo avuto il II Governo Prodi, la sua repentina ed anticipata caduta (dove sono apparsi i primi abbozzi ai cambiamenti strutturali ma hanno prodotto solo violente ed immobilizzanti reazioni) ed un trionfante IV Governo Berlusconi, ma la “piccola” crisi economica del 2004-2005 è riesplosa più virulenta che mai e – crisi finanziaria o no – questo sarebbe avvenuto comunque, forse non così forte, ma comunque avrebbe presentato un conto assai severo come quello che stiamo riscontrando oggi.
Il Mercato incontrollato ha prodotto un impoverimento dei redditi medi e ancor di più di quelli medio bassi e bassi; il calo dei consumi conseguente ha preso una china che non sappiamo quando finirà e soprattutto dove porterà.
I “difetti” di questo Mercato ovviamente persistono perché continua il fenomeno per cui i prezzi aumentano all’aumento delle materie prime, ma quando ridiscendono (che sia petrolio, frumento o mais) i prezzi finali scendono lentamente o addirittura aumentano.
A questo punto se non si vogliono attuare politiche di controllo adeguate (non capisco però perché, quando si vuole, si riesce a multare qualche grande player internazionale come Microsoft) si agisca sulla formazione e soprattutto sulla distribuzione della ricchezza.
Certamente è nelle situazioni di crisi che si possono gettare le basi, intelligenti, per riprender quota, per eliminare difetti ed errori del passato e per programmare gli investimenti futuri.
E’ una fase estremamente delicata perché da un lato occorre mettere una toppa per arrestare la china, ma contemporaneamente occorre selezionare gli interventi che effettivamente consentano sia subito che in prospettiva di crescere economicamente, progettando un modello economico che non avvantaggi nessuno, ma dia opportunità a tutti.
E’ il momento di ricercare economie ed efficienze in tutti i settori produttivi, anche nella pubblica amministrazione, ma mettendo da parte tutti idee malsane e furbizie che portino ad avvantaggiare sempre i soliti noti.
Invece, nonostante la maggioranza ottenuta, il Governo in carica mette in cantiere, sul piano economico azioni di piccolo cabotaggio che non affrontano i danni prodotti dal liberismo cavalcato, non hanno il coraggio di metter mano profondamente alle regole che riequilibrino i rapporti di forza nel mercato, nell’economia, nella società e tra i fattori produttivi.
Non ci si domanda perché buona parte delle pensioni sono diventate in pochi anni cosi misere e la prospettiva che lo saranno anche le future (si potrà anche aumentare l’età pensionabile ancora una volta, ma sarà sempre un pannicello che non scioglierà i nodi a monte, per cui a valle sarà ancora debacle); lo saranno perché il reddito lordo da lavoro dipendente diminuisce sempre di più, soprattutto per le nuove generazioni e quello al netto fiscale e previdenziale è ormai insufficiente: nel patto sociale del 1992 si è messa in soffitta la scala mobile, si sono creati poi rapporti contrattuali flessibili per creare un mondo del lavoro più dinamico, per ricercare maggiori produttività ed efficienze, ma poi si è profondamente alterato il rapporto nella distribuzione della ricchezza e su questo, nonostante le continue denuncie, non si è fatto nulla.
Oggi siamo alla frutta con iniziative caritatevoli verso i possessori di redditi divenuti miseri in pochi anni, o ergogazioni progressive una tantum verso redditi da lavoro (per nucleo familiare) che potranno consentire di superare una emergenza, ma non potranno certamente produrre tranquillità per il futuro.
Non si tratta qui di dimostrare contrarietà comunque – a prescindere – ma si vuol denunciare che il modello pensato, attuato o favorito in questi ultimi 15 anni si è rivelato un grosso fallimento per i danni che ha prodotto e ci vuole quindi il coraggio implicito a cambiare rotta, pur con i vincoli postici dal livello del nostro debito statale.
Qui non si tratta di aprire le borse, ma si tratta di selezionare pochi ma efficaci interventi che portino alla crescita dei redditi disponibili in via continuativa (i profitti le imprese li avranno dai maggiori consumi), alla creazione di nuova produzione qualificata come nelle opere infrastrutturali e negli investimenti “ambientali”.
Certo, comprendo il timore di fare un passo (come la diminuzione del prelievo fiscale irpef) e poi non riuscire a rientrare nei parametri di Maastricht in poco tempo, ma occorre qui si coraggio e decisione, dimenticandosi almeno per una volta che non si governa per se, ma per tutti gli italiani.
Diversamente sarà ancora: tutto cambi affinché nulla cambi!