venerdì, febbraio 08, 2008

PERCHE’ NO ! AL PARTITO DEL “NON VOTO”

Alla vigilia di ogni campagna elettorale per il rinnovo della Legislatura appare spesso il partito del “non voto” che è certamente espressione di una certa insoddisfazione e delusione di come è trascorsa la legislatura scaduta per vita naturale o per la caduta irreversibile della maggioranza che sosteneva il Governo eletto, ma che non può essere una espressione politica attiva per la prosecuzione di una attività politica che comunque è necessaria.

Esiste certamente una percentuale di iscritti alle liste elettorali che storicamente non si presenta ai momenti elettorali, ma rappresenta comunque una percentuale che, pur importante, rientra nello stato delle cose, con motivazioni così disparate da non costituire un fenomeno di disaffezione nei monenti di rappresentanza politica.

In paesi di stampo anglosassone addirittura, come negli Usa, per esprimere il voto occorre necessariamente iscriversi alle liste elettorali ,per cui le percentuali di voto sono molto basse (poco più del 50% degli aventi diritto), ma negli stati europei l’adesione al voto viene considerata sempre come un diritto-dovere.

Sarebbe ovviamente tropo semplicistico controbattere con questa tesi il partito del “non voto”; i motivi in realtà sono molto complessi ed articolati, ma riconducono tutti ad un principio: la politica è l’arte del possibile e pertanto non è detto che una scelta fatta in passato e rivelatasi, dal punto di vista dell’elettore o meglio da una parte dell’elettorato, poco azzeccata o soddisfacente, non possa essere corretta da una nuova votazione che contribuisca a rimediare agli svantaggi ottenuti o agli obiettivi mancati.

Il malcontento, anche in questa fase di nuove elezioni, può essere comprensibile, soprattutto da parte di chi ha contribuito alla formazione di una maggioranza dimostratasi poco efficace o addirittura sfaldatasi in “corso d’opera”, ma da qui a dire : non ci sto più ! ce ne corre.

Certamente l’elettorato non è una entità indistinta bensì costituita da almeno due grandi classi: quella che esprimendo il voto punta a risultati che diano risposte di tipo “collettivo”, mentre l’altra dia risposte di tipo “individuale” o di raggruppamento.

Inoltre i modelli politici ed elettorali che si formano nel tempo non sono immobili e ripetitivi per cui non è detto che insistere e persistere sull’uno o sull’altro, sia la via giusta per raggiungere obiettivi o risultati soddisfacenti; vi è invece il pericolo che questo comportamento contribuisca ad una cristallizzazione del sistema e la nascita di staticità e pessime abitudini che portano direttamente al voto di scambio (io e i miei amici ti votiamo, e tu, eletto, penserai a me ed ai miei amici e a quelli che ti indicherò !).

Già questo avviene, anche se non in modo generalizzato, per cui esprimere il proprio dissenso anziché votando in modo diverso, ma astenendosi non votando, si rischia, pur non volendo, a contribuire a perpetuare tutte quelle storture che ci hanno fatto infuriare.

Ma venendo ai giorni nostri dobbiamo riconoscere che la nascita del bipolarismo, sorto per evitare le frammistioni tra partiti che hanno portato ad un sistema finito poi nelle aule giudiziarie, ha dimostrato il suo tempo; in quindici anni, pur con la nascita dal nulla di un partito personale come Fi e solo recentemente dal Pd, dobbiamo riconoscere che nel panorama politico non è successo nulla di nuovo e che la politica sviluppata non ha prodotto alcun cambiamento radicale (a parte l’entrata nell’euro, o la modifica in più volte, del sistema pensionistico) tale da modernizzare lo stato in modo analogo alla modernizzazione che invece, con tante difficoltà, ha coinvolto la società civile.

Questo ha portato invece ad una certa auto referenzialità del sistema politico, ad un progressivo allantonamento dal paese reale, per cui si impongono nuovi modelli politici, nuovi programmi ed anche alleanze più coese.

Bipolarismo dicevo, dove la definizione netta di due schieramenti non è più (o non è mai stata) garanzia di governabilità, ma soltanto di alternanza, sterile comunque poiché, soprattutto in queste due ultime legislature, si sono visti i sui limiti incontestabili, a prescindere dalle maggioranze raggiunte più o meno solide.

Nell’arco del centrosinistra di tentativi di rinnovare, veramente, se ne son fatti molti: dapprima all’Ulivo e poi all’Unione, ma va riconosciuta la volontà di ricercare nuovi modelli politici aggreganti, per poter meglio esprimere una politica più avanzata e moderna.

Chi ha contribuito a questo ha saputo anche fare autocritica (anche se non in modo particolarmente esplicito) e proporre evoluzioni del sistema che cambiasse anche negli atteggiamenti e nei modi per realizzare effettivamente questa seconda repubblica.

Il tentativo di ritornare a vecchi schemi non è mai morto però; lo si vede ancora più chiaramente nell’azione politica della coalizione di centrodestra, che a parole ha lanciato più volte proclami liberistici e di modernizzazione, ma in realtà la musica suonata è sempre quella, anche in partiti localistici come la Lega la quale fa proclami pseudo-rivoluzionari, ma poi nella pratica esercita il potere ottenuto con metodi vecchi, che la seconda repubblica dovrebbe aver messo in soffitta.

I comportamenti di entrambi gli schieramenti di fatto non convincono e se persistono, questo si potrebbe giustificare la posizione del “non voto”, ma quando emergono novità di strategia e di programmi, va dato ancora una volta (mai demordere) credito, vanno messi alla prova dei fatti e giudicati ex post.

Il primo a muoversi è stato il centro sinistra con la creazione di un nuovo partito, il Pd, dopo una gestazione di parecchi anni (solo a un Berlusconi, eccezionalmente, può riuscire di farne uno dalla sera alla mattina) che ha cominciato a scombinare le carte già nella sua coalizione e visto come è finita questa legislatura non vi sono poi così tante altre alternative: fare marcia indietro oppure ammettere, come l’elettorato ha ben visto, che il progetto dell’Unione è fallito o ha fatto il suo tempo; sarebbe irresponsabile pertanto reiterare modelli simili (se pur corretti) andando incontro al chiaro pericolo di non incontrare apprezzamento da parte dell’elettorato di riferimento, o, peggio ancora, di mancare obbiettivi e programmi.

E’ certamente più chiaro, e spero premiante, in questo schieramento evolvere verso nuovi modelli e nuovi progetti per cui appare interessante l’iniziativa del Pd e mi auguro ne sorga ben presto un’altra, analoga da parte della galassia dei partiti della Sinistra (del resto “cosa rossa” ha cominciato a veleggiare in risposta alla nascita del Pd) dove appaiano chiari in entrambi programmi, obbiettivi e possibili alleanze.

Tra l’altro questa grande novità ha messo di fronte i partiti del centrodestra alla necessità di misurarsi con accordi politici e programmatici che non possono più essere omnicomprensivi, dimostrando chiaramente che le difficoltà che possono aver afflitto in centrosinistra sino a farlo cadere, si possono ripresentare allo stesso modo nel centrodestra, anche nel caso in cui vincesse in modo chiaro e netto.

In quest’ottica è troppo interessante e gustoso astenersi: la curiosità di come potrà andare a finire è più che sufficiente per analizzare, giudicare e quindi votare.

Siamo alle prime battute perché si parla, per il momento spero, di schieramenti ed eventuali alleanze; il bello verrà quando si presenteranno i programmi; il centrosinistra non ha più la necessità di predisporre programmi simili ad un vocabolario perché basteranno pochi temi chiari per indicare la propria azione futura, facendo comunque molta attenzione a non riproporre vecchi schemi che richiamino o rimpiangano il passato.

Il centrodestra avrà il suo bel daffare perché con i “contratti con gli italiani” ha già fatto meschine figure e perché, pur con le alleanze che si stanno delineando, non vengono sciolte assolutamente le divergenze di fondo (statalismo e federalismo maccheronico sono come il diavolo e l’acqua santa)che sono alla base della sua fragilità politica; magari elettoralmente il risultato sarà più soddisfacente, ma l’azione risulterà senz’altro molto ferragginosa.

La pletora dei partiti di centrodestra è enorme, anche per effetto dei partiti transfughi dal centrosinistra o nati da costole dei partiti “pilota”, per cui sarà necessario grande lavoro per trovare formule di risposta, aggravato dal fatto che questo centrodestra ha imparato anche troppo bene i meccanismi della prima repubblica, nonostante i proclami di modernizzazione e di liberismo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono assolutamente d'accordo sulla tua contrarietà al partito del non voto. Troppo comodo, mettersi nella posizione di poter dire, in seguito, "io questa ente non l'ho votata". Che imparino tutti a sporcarsi le mani.

Anonimo ha detto...

Sta a noi invece dare un segnale.
Dopo anni di continue elezioni ed una classe politica inutile,se avremo coraggio non andremo a votare.Non serve giuridicamente ma se la classe politica va da una parte e i cittadini da un'altra,vi assicuro che si spaventeranno.

NO VOTO=NO CASTA