venerdì, febbraio 01, 2008

I MACCHIAVELLISMI DELLA POLITICA CHE GLI ITALIANI NON CONDIVIDONO

La crisi politica che si è sviluppata in modo repentino dapprima con le dimissioni del Guardasigilli Mastella (per l’incidente giudiziario occorso a se stesso e alla moglie ) e subito dopo con il ritiro della fiducia al Governo Prodi da parte dell’ Udeur diretta sempre dal Senatore Mastella, ha lasciato stupefatta l’opinione pubblica, anche se ormai sin dalla sua nascita la maggioranza dell’Unione era data per abortita; ora apparentemente tutti (o molti) auspicano una nuova tornata elettorale, ma ognuno in cuor suo sa perfettamente che il futuro presenta ulteriori e sconosciute incognite.

Le cause della crisi in realtà sono tali e tante che appare assai complicato poterle tutte enunciare, ma esiste un filo conduttore che le riunisce; in buona sostanza all’Unione è successo in modo più netto e drammatico quanto è accaduto nella precedente legislatura al Governo Berlusconi; cioè l’impossibilità di governare in modo deciso a causa delle varie anime che componevano le due coalizioni per cui le scelte che su piano teorico avevano una loro logica – condivisibile o meno – nella realtà stentavano a prender forma o per effetto di veti incrociati o per effetto di mediazioni che cercavano di riassumere i vari punti di vista, molto spesso poco conciliabili.

Per di più il Governo Berlusconi ha smaccatamente operato questo si, in settori e materie, che si sono rivelate assai utili sia al premier che ai suoi sostenitori (condoni), mentre il Governo Prodi, nonostante le sue grandi capacità di tenere insieme una coalizione così eterogenea, ha sortito soluzioni un po’ raffazzonate, poco chiare che avevano l’intenzione di accontentare un po’ tutti, ma che alla fine hanno rischiato di non accontentare nessuno.

In questi 20 mesi di legislatura certamente importanti cose sono state fatte: si pensi soltanto all’azione di rientro nei parametri indicati dalla Ue, alla lotta all’evasione fiscale, alla riduzione del debito e alla creazione dell’avanzo primario; oppure alla manovra verso le aziende con il 3% in meno di cuneo fiscale, alla integrazione delle pensioni minime, al sostegno delle famiglie numerose e/o con redditi bassi, alla revisione del sistema pensionistico e ai primi atti di liberalizzazione.

Ma alcuni nodi socio economici che vengono da molto lontano (inizio anni 2000) sono giunti al pettine per cui la soddisfazione dell’opinione pubblica stentava a crescere (crescita dei redditi reali dei dipendenti vicina allo zero) e la fragilità della coalizione consentiva sia il grande battage dell’opposizione, sia gli interventi “a gamba tesa “ da parte di istituzioni sovra nazionali come la Chiesa Cattolica che certamente approfittavano della situazione per far pesare la propria posizione o convinzione un po’ su tutti i temi (compreso quello che riguarda il modo con cui viene amministrata la Capitale).

La fase assai complicata che vede affrontare la crisi in atto dalla seconda carica dello Stato (Marini) dimostra però che sono le cause politiche strutturali che in realtà hanno portato a questo risultato; intendo dire che quello che accade in questi giorni è la ripetizione, sotto forma diversa, di una situazione di stallo che è sorta nei primi anni 90.

Dobbiamo avere l’onestà intellettuale di riconoscere che il progetto di creare il bipolarismo in Italia è miseramente fallito (e questo gli italiani l’hanno capito benissimo) perché gli strumenti utilizzati hanno costretto – con la legge elettorale che da il premio di maggioranza alla coalizione con più voti – i vari partiti ad aggregazioni troppo eterogenee, per cui nell’esercizio di governo sono poi emerse poi chiaramente le diversità e quindi l’incapacità di decidere comunque.

In questo contesto il Pd, con il suo segretario, ha capito benissimo dove sta il baco ed in tal senso ha lanciato dichiarazioni che appaiono politicamente suicide, ma che in realtà intendono spezzare questa situazione di stallo perché la prospettiva è che ci potranno essere imminenti nuove elezioni i cui risultati, comunque, non elimineranno queste fragilità, con la conseguenza che non si riuscirà – qualsiasi sia il risultato – ad attuare quello che invece occorre al paese: crescita, distribuzione equa della ricchezza, modernizzazione, economie sui costi di struttura e d’esercizio, diminuzione del debito.

Questo in effetti è stato poco capito nella coalizione di centro sinistra (Veltroni è stato accusato di presunzione e supponenza), mentre è stato capito benissimo dalla coalizione di centrodestra la quale inneggiando al diritto inviolabile del popolo a esprimere nuovamente il suo voto, in realtà intende mantenere la situazione in stallo affinché nulla cambi (non dimentichiamo che sono dei conservatori).

Tutto questo nonostante le divisioni di fine anno collegate allo strappo di Berlusconi con il lancio di un nuovo partito e le diaspore che avvengono in questi giorni all’interno dei partiti di questa coalizione.

Non si vuole infatti procedere di comune accordo alla stesura di una nuova legge elettorale che porti ad una reale capacità di governo , preferendo il sistema attuale, perché questo non imporrebbe innanzitutto chiarezza estrema con il proprio elettorato potenziale, abbandonando gli slogan mediatici, con alleanze chiare ed effettivamente condivise; certamente non è facile affrontare una politica del contenimento della spesa pubblica, della diminuzione conseguente della pressione fiscale, dell’incremento della ricchezza prodotta e della sua distribuzione tra i soggetti che la producono (lavoratori ed imprenditori), ma si preferisce puntare surrettiziamente a raggiungere una maggioranza non è di per sé sufficiente per garantire un governo che produca risultati reali.

Appare del tutto chiaro che si vuol andare subito (si fa per dire) alle elezioni per cogliere – forse – l’attimo fuggente, ma poi, senza obbiettivi chiari, non sarà per nulla facile chiedere – se necessario – sacrifici o rinunce agli italiani; come sempre poi si attaccano –semplicisticamente - i partiti dello schieramento avverso accusandoli di temere il responso delle urne.

Si fa forse finta di nulla, ma ci stiamo avvicinando, volenti o nolenti, alla fine della cosiddetta seconda repubblica: è questione di tempo (fare elezioni subito sposta il referendum all'anno prossimo, ma non l'elelimina) e ben sarebbe che responsabilmente anche in questa fase si attuassero quei cambiamenti che effettivamente favorissero le aggregazioni politiche stabili (il bipolarismo fittizio ha prodotto la proliferazione dei partiti che non si arresta vista anche la recente nascita della “rosa bianca”) eliminando il premio di maggioranza e sostituendolo con lo sbarramento (5% ? ) affinché la rappresentanza politica sia - forse – minore, ma con una capacità di governo effettiva.

Questo significherebbe che il ceto politico per primo metterebbe mano a smontare la cosiddetta “casta”(nel progetto di modifica istituzionale e costituzionale c'è anche la diminuzione dei parlamentari, la modifica del sistema bicamerale perfetto, le preferenze,ecc), ma significherebbe anche autorevolezza nello smontare tutte le altre caste che affliggono il nostro paese e delle quali tutti gli italiani sono ormai arcistufi.

Diversamente la spaccatura – quali che siano i risultati elettorali – si manterrà netta e chi ne soffrirà sarà il nostro paese che manterrà caratteristiche contrapposte: di potenza economica (in declino ) e di paese del terzo modo.

Nessun commento: