domenica, settembre 16, 2012

L' ETICA NELL' IMPRESA

In questi giorni si stanno acuendo le problematiche  che investono il settore dell'auto che in Italia vuol dire semplicemente F.I.A.T. ed infatti la società sta anticipando che, visto il livello calante delle vendite, gl impianti sparsi per l'Italia risultano essere sovra dimensionati tanto da oientarsi alla chiusura di qualche altro impianto dopo quello, buon ultimo, di Termini Imerese.
In sostanza il piano di rilancio che insieme alla acquisizione della Chrysler avrebbe dovuto portare alla produzione, tra i vari stabilimenti e società, di 6 milioni di autovetture e in Italia investimenti veramente consistenti si è miseramente infranto contro la realtà dell'economia mondiale.
La produzione e la vendita delle grandi case automobilistiche si è fermata o regredita  solo in alcuni casi la crescita di nuovi mercati ha podotto il mantenimento dei livelli produttivi.
La svolta "epocale" dei rapporti contrattuali e sindacali che sembrava la panacea a tutti  i mali imposta da Fiat si è rivelata la classica foglia fico che nasconde le vergogne costituite dagli errori veri cioè quelli di non aver puntato al miglioramento del prodotto, ma soprattutto all' offerta di nuovi modelli che potessere attrarre nuovi mercati e incentivare le sostituzioni di prodotto.
Non erano quindi i rapporti ingessati (?) tanto sbandierati la palla al piede della crescita di Fiat poichè ancora una volta si è puntato ad accordi a senso unico senza quindi inserire clausole reciproche di salvaguardia; peraltro questa formula viene applicata invece da Fiat oltre oceano e sembra dare i suoi frutti, nonostante i Sindacati nordamericani non siano delle mammole, visto che il Gruppo Fiat produce ormai il 70% (tra Canada, Usa e Brasile) fuori Europa.
Queste posizioni a brutto muso assunte da proprietà e management di Fiat hanno certamente una caratteristica e cioè quella che l'impresa fa un pò quel che vuole senza dover render conto a nessuno; in effetti la libertà d'impresa non è un dogma assoluto, perchè deve tener conto delle libertà individuali per conseguire un reciproco rispetto.
Resta però il fatto che questo atteggiamento può far emegere posizioni, per esempio, di superamento di leggi come quella 300/70 e relativo art. 18 che avrebbero costituito un freno, una remora alla crescita del nostro paese.
In realtà, la verità storica è che questa legge ha regolamentato il mondo del lavoro che stava assumendo, a seguito del boom economico italiano caratteristiche poco chiare con  forti incertezze che stavano provocando, guarda caso,  una forte divisione della ricchezza prodotta in italia.
Se ben ricordiamo la crescita era robusta (la lira nel 1960 fu dichiarata la moneta più forte della terra) anche se un pò forsennata e caotica tanto da far crescere le classi sociali e nuovi ceti sociali, ma non in modo sufficientemente armonico.
Regolamentare quindi non vuol dire imbrigliare, ma individuare regole chiare per tutti  separando, fra l'altro gli aspetti professionali ed conomici dalla sfera privata (diritti politici ed individuali) non solo caratterizzati dalla legge in questione, ma anche da altri eventi importanti dal referendum sul divorzio, a quello sull'aborto o alla eliminazione del del delitto d'onore.
Del resto anche oggi i "liberi mercati" all'omba delle poche regole hanno prodotto di bei sfracelli. 
Peraltro dal 1970 l'Italia ha vissuto una crescita importante della ricchezza nonostante le forti incertezze provocate da periodi oscuri come quello del terrorismo o dell'inflazione galoppante a due cifre.
Caso mai è stato dal 1992 che non si proseguito sulla strada del risanamento del paese con linee chiare e decise che lasciassero trasparire quella che avrebbe duvuto essere immaginata l'Italia del futuro: l'biettivo fu, raggiunto, quello dell'euro, ma poi la stasi è tornata ad imperversare.
Ed ancora oggi, politica, lavoro e impresa non hanno ben chiaro quale vuole essre il loro contributo per una rinnovata crescita eonomica e sociale del paese; deve essere chiaro infatti che se la politica non sollecita le convergenze logiche tra lavoro ed impresa di progetti a lungo termine e strutturali se ne faranno ben pochi. .
Sempre sulle scelte di Fiat si espongono le posizioni abbastanza urticanti di un grande imprenditore come Della Valle che parla di rispetto dei lavoratori o di un ex-manager come Cesare Romiti (il che è tutto dire)che attribuisce tutte le responsabilità di questa grande defaillance in Italia ed Europa al management della Fiat appunto(con Cisl e Uil, ma non Cgil) che non ha saputo coniugare la crescita di prodotto a quella di processo.
Il comportamento di Fiat quindi sul piano etico è parecchio discutibile, peraltro seguito anche da parte del mondo imprenditoriale che non ha saputo uilizzare appieno la grande opportunità data dalla nascita dell'euro.
La stessa imprenditoria, anche quella straniera, afferma che la vera palla al piede è la burocrazia dello stato e degli enti locali, sapendosi ben destreggiare sulle "stampelle" datele dalle forme contrattuali atipiche; allo stesso tempo però ha dato più fiducia a chi prometteva radiosi futuri, ma che per snellire la macchina statale non ha fatto proprio un bel nulla.
Oltre a Fiat abbiamo Alcoa, Ilva, e tante altre, ma a livello politico nessuno che ponga ed imponga confronti chiari sulle situazioni di crisi, senza ben inteso superare la sfera che riguarda la posizione dell'imprenditore stesso.
Il Governo ed il Parlamento hanno tutto il diritto i chiedere conto alle varie imprese che danno segni di cedimento o disimpegno del loro operato.
Un semplice ragionamento: Fiat, ma vale per Alcoa e tanti altri, utilizzano infrastrutture create o messe a disposizione appunto dallo Stato italiano ed enti locali come la creazione e manutenzione di strade, porti, illuminazione pubblica, servizi di tasporto di terra di mare e aerei, sicurezza, ospedali, assistenza medica anche nelle zone di loro insediamento (e la sfilza è ben più lunga), ebbene perchè mai non chiedere a brutto muso che intenzioni hanno ?
In fin dei conti tutte queste infrastutture e servizi sono stati posti in essere anche nel loo interesse e son stati pagati da tutti i contribuenti italiani, imprese comprese !
Del resto vediamo che la struttura economica di un paese è il risultato di un complesso di componenti indissolubilmente legate fra di loro e se un anello di questa catena ideale di indebolisce questo inflenza anche gli altri anelli per cui contribuire a spezzarne uno significa mettere a repentaglio se stessi ed anche tutti gli altri.
A Fiat in particolare quindi, ma non solo, va chiesto il conto, dopo aver beneficiato per anni di contributi della collettività (alla quale ha pure ritornato parte dei vantaggi) della sua decisione di svicolare dal'Italia (ma penso anche dall'Europa visto che in Serbia non mi sembra abbia fatto passi da gigante).
Non si deve dimenticare quindi mai che qualsiasi iniziativa imprenditoriale perchè riesca deve sempre e omunque poggiarsi sugli uomini che la compongo e sugli uomini e donne che acquistano i suoi prodotti e servizi; diversamente è destinata all'estinzione !!




2 commenti:

Lucio Sorge ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Lucio Sorge ha detto...

Marchionne, nella intervista a Ezio Mauro di Repubblica ha spiegato le sue ragioni e lo farà, credo, nell'incontro con il Capo del Governo Monti.
Resta il fatto che quando Fiat annunciò l'acquisto di Chrysler spiegò che era necessario per raggiungere la massa critica di almeno 6 milioni di autovetture poichè vedeva nel Mercato futuro del settore l'esistenza di pochi ma grandi competitors.
Torna strano quindi che non abbia previsto un mercato europeo in crisi e che la promessa di 20 miliardi di investimenti non poteva essere mantenuta per le ragioni che ha spiegato oggi.
Del resto la produzione di nuovi modelli di auto necessita di tempi di gestazione non certo brevi quindi la programmazione è d'obbligo, compreso il fatto di capire come tira il vento.
Resta il fatto che il Mercato non è una entità empirea, ma è condizionato e condiziona le variabili che lo compongono per cui l'impresa non può essere una sua componente che sta ad aspettare la manna dal cielo.
Se si chiede al lavoro di fare la sua parte e guadagnarsi ogni santo giorno la pagnotta, è altrettanto vero che questo spetta pure all'impresa/e, magari con accordi più stringenti, ma reciproci.