mercoledì, settembre 19, 2012

LE RAGIONI DI SERGIO MARCHIONNE


Marchionne, nella intervista a Ezio Mauro di Repubblica ha spiegato le sue ragioni e lo farà, credo, nell'incontro con il Capo del Governo Monti.
Resta il fatto che quando Fiat - nel 2009 - quindi a crisi finanziaria da subprime già bella e scoppiata -  annunciò l'acquisto di Chrysler spiegò che era necessario per raggiungere la massa critica di almeno 6 milioni di autovetture (ora siamo a quattro circa) poichè vedeva nel Mercato futuro del settore l'esistenza di pochi ma grandi competitors.
Torna strano quindi che non abbia previsto un mercato europeo in crisi - sanno tutti che dopo la crisi finanziaria fa sempre seguito una crisi economica - e che la promessa di 20 miliardi di investimenti non poteva essere mantenuta per le ragioni che ha spiegato oggi.
Del resto la produzione di nuovi modelli di auto necessita di tempi di gestazione non certo brevi quindi la programmazione è d'obbligo, compreso il fatto di capire come tira il vento.
Non solo capire quindi quale può essere il livello della domanda, ma anche e soprattutto la sua qualità.
Fiat insiste su modelli medio bassi ed ha praticamente abbandonato i modelli medio alti che si rivolgono a fascie elativamente più ristrette di consumatori, ma meno attaccabili dalle crisi.
Sa poi gestire con profitto i nuovi mercati (Brasile)e gestire quelli ad alta concorrenza (Usa/Canada), ma lascia la polpa alle altre case automibilistiche europee sia sui mercati Ue che sui mercati emergenti dell est europa (per non parlare del far east).
Resta il fatto che il Mercato non è una entità empirea, ma è condizionato e condiziona le variabili che lo compongono per cui l'impresa non può essere una sua componente che sta ad aspettare la manna dal cielo.
Se si chiede al lavoro di assumerci le sue esponsabilità guadagnandosi la pagnotta ogni giorno, anche l'impresa deve fare altrettanto, magagari con accordi stringenti, ma chiari e reciproci.
Ma ancora: La Fiat, come peraltro tante altre imprese purtroppo in altri settori (quindi è un loro vulnus questi), non ha saputo cogliere le opportunità che potevano favorire da un lato la crescita, ma dall'altro una maggior spinta sul rinnovamento produttivo e commerciale.
Nel senso che se l'impresa ha un vantaggio estero e temporaneo deve certo soddisfare la ragione del capitale, ma deve anche metter fieno in cascina per riorientarsi se occorre o rilanciare per quando il vantaggio verrà annullato.
Per esempio quando lo stato italiano ha rinunciato alla super iva sui modelli con potenza superiore ai 2.000 cc Fiat non ha spinto sulla fascia che si stava prospettando più accessibile (anzi, Ferrari a parte,  l'ha ristretta), soprattutto nel settore dei consumatori privati (per le soceità l'iva è una partita di giro scaricabile fiscalmente) come invece hanno fatto altre case automobilistiche europee (vista la loro crescita anche sul mercato italiano).
Il vantaggio era per tutti i produttori e quindi l'opportunità andava colta anche dalla Fiat.
Marchionne poi dice che dieci anni abbondanti di incentivi da parte dello Stato, quindi di noi tutti, per favorire il cambio delle autovetture e ringiovanire il parco macchine degli italiani, ha in realtà drogato il Mercato interno tanto da saturarlo, o renderlo moribondo come dice lui.
Questo può essere vero, ma ciò non toglie che per le case automobilistiche questo vantaggio era una vera opportunità per mettere in cascina risorse da investire per i tempi futuri quando il sostegno sarebbe sparito.
La riprova sta nel fatto che l'opportunità era per tutti i produttori europei e molti hanno colto l'occasione sia per aumentare la loro quota di mercato in Italia, sia per preparsi al futuro.
Quello da cui non può esimerci quindi, oggi, Marchionne, a prescindere dai numeri che inequivocabilmente  potrebbero dar  spiegazione alle sue decisioni, è il fatto che l'impresa italiana, Fiat e in parte molte altre, deve ripensare alla loro filosofia di impresa, perchè le scelte fatte nel recente passato, scelte conservative e di retroguardia, sono proprio quelle che condizionano la crescita del paese, per cui oggi non vi è spinta sufficiente per una crescita robusta della ricchezza, che traccheggia  ormai da almeno un decennio.
Ci sono certo altri elementi che frenano la crescita, per esempio i bassi salari, ma non si può equivocare sul livello della pressione fiscale che abbassa i redditi netti, perchè la tassazione ritorna alla collettività sotto tamte e varie forme.
Intendo dire che se anche riuscissimo, come mi auguro,  a diminuirla, tagliando tutti gli sperperi, compresi quelli della corruzione e della politica (come ci viene riferito ancora in questi giorni), se l'impresa non cambia la sua mentalità, ne beneficierebbe per un pò d'anni di questo vantaggio effimero, ma poi ci si ritrovebbe nello stessa analoga situazione (degli sperperi, della corruzione non ne beneficiano certo i marziani).  
Oggi Fiat tramite Marchionne afferma che non se ne andrà dall'Italia (e dall'Europa) anche se le perdite (700 milioni l'anno) verranno coperte dai profitti della produzione del nord e sud America; potrà anche, strategicamente, decidere di ridurre, temporeneamente la produzione (cosa che peraltro già fa), ma dovrà certamente ripensare alla sua politica industriale e commerciale per riprendersi, in Italia e nel mondo, un ruolo di grande competitor: le opportunità non mancano di certo pensando ai mercati emergenti e al nuovo ruolo che può avere l'Italia e l'Europa sulla scena mondiale. 
Per parte loro il lavoro e soprattutto la politica dovranno prendersi le loro responsabilità; in particolare la politica dovrà indirizzare, confrontandosi con lavoro ed impresa, lo sviluppo su scenari credibili.
Non parlo ben inteso di incentivi di qualsiasi genere, ma di nuove regole che favoriscano nuove opportunità, che rendano più snello il mondo del lavoro, dove, è ovvio ed implicito, non ci deve esser spazio a posizioni super protette.  

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