giovedì, febbraio 02, 2012

IL POSTO FISSO NON ESISTE PIU' ?

Il Prof. Monti con la sua intervista a Matrix di ieri sembra aver sconvolto il mondo del lavoro italiano, con l'affermazione, sintetica, indicata nel titolo.
In realtà il primo che espresse il concetto che flessibilità significava non più il posto fisso presso lo stesso datore di lavoro fu Massimo D'Alema quale premier nel periodo 1998-2000.
Nella realtà poi sono sempre di più i lavoratori che nella loro vita lavorativa cambiano il posto di lavoro, addirittura passando da occupazioni dipendenti a quelle autonome se non additittura imprenditoriali di vario "calibro" e in questo particolare momento il ricorso alla cassa integrazione di vario tipo produrrà senz'altro una ulteriore ondata di cambiamenti di posti di lavoro, ai quali andranno sommati tutta quella pletora di contratti "flessibili" trasformatisi in in precarietà ai quali se vogliamo far decollare il paese, occorrerà metter mano.
Detta meglio:  si dice che in una economia avanzata e liberale i rapporti di lavoro dipendenti e non dovrebbero cambiare almeno sette/otto volte nella vita lavorativa, a dimostrazione di una vivacità di rotazione e di cambiamento che annoierebbe meno i lavoratori e li dovrebbe far sentire più vivi e partecipi all'economia stessa.
Ma c'è un grande  "ma": per favorire una maggior vivacità nel cambiamento di occupazione, non possiamo non tener conto che l'eccessiva volatilità del posti di lavoro, portata all'esasperazione,  potrebbe produrre una pericolosa instabilità della struttura economica di un paese con riflessi sociali altrettanto preoccupanti.
Penso alle occupazioni dipendenti in particolare che sono dedicate alle funzioni sociali ed inalienabili di una collettività come l'istruzione, l'assistenza, la sicurezza, la sanità, il credito dove serve una preparazione ed aggiornamento costante e soprattutto una stabilità nei servizi offerti per mantenere una buona qualità nella loro erogazione.
Peraltro se pensiamo ad un insegnante, che vede cambiare fisiologicamente i suoi discenti ogni 3/5 anni, a seconda di che tipo di insegnamento offre, in realtà il tipo di attività rimane la stessa ma i fruitori, con i loro familiari, cambiano, numerose volte durante la sua vita lavorativa.
Si pensi che anche un bancario di una banca nazionale o europea, se vuol crescere professionalmente deve mettere in conto di cambiare incarico, filiale, città e regione, almeno 7/10 volte in 40 anni di lavoro.
Quel che più importa però è il fatto che se vogliamo perseguire una politica di fluidità nel cambiamento dei rapporti di lavoro, non possiamo assolutamente preoccuparci solo e soltanto di allestire validi sistemi di sostegno per i parzialmente o temporaneamente disoccupati, ma dobbiamo soprattutto trovare il modo di applicare il principio di re-ci-pro-ci-tà !
Intendo dire che se oggi si "accusano" i lavoratori dipendenti di puntare al posto fisso, tenendosi la libertà di decidere quando e se cambiare lavoro e si nega tale diritto analogo all'imprenditore, occorre che una volta rese le parti libere di agire (ovvero liberi di assumere o di licenziare e liberi di andarsene e di ritrovare facilmente lavoro) queste lo siano per davvero.
Inoltre appoggiarsi soltanto sul fatto che esistano nuovi e più moderni strumenti di tutela economica per i lavoratori licenziati, questo potrebbe costituire un costo insostenibile da parte dello Stato poichè non credo proprio che sia automatica la rotazione se non si rimuovono gli ostacoli posti strumentalmente.
Qual'è il motivo del posto fisso possibilmente a vita ?
La realtà dimostra che quasi sempre quando si viene investiti da un licenziamento individuale o collettivo questo evento è  a "perdere" cioè perdi un posto di lavoro, ma quasi sempre se ne ritrovi uno, la retribuzione è inferiore, mentre se cambi tu, di tua sponte, quasi sempre è "a guadagnare" per cui è questo il pericolo che ragionevolmente, molto ragionevolmente e credibilmente va rimosso.
Intanto per sgomberare il campo dalle varie problematiche penso che la questione sull'articolo 18/300 è un falso problema perchè riguarda i licenziamenti ingiustificati e riconducibili esclusivamente a decisioni illogiche perchè legate a motivazioni extra professionali (diversità politiche, religiose, di censo e di genere protette peraltro dalla Costituzione); ne consegue che non può essere questo il motivo per cui il nostro sistema economico e produttivo mostri il passo visto che questa legge è in vigore dal 1970 e non sono sufficienti le mutate condizioni del Mercati a giustificare l'abolizione di un rticolo "ideologico" (sappiamo perfettamente perchè è stato introdotto e le sue cause sappiamo bene che non sono per nulla morte e sepolte).
Pealtro non ce la vedo l'imprenditoria italiana con la sua vivacità e fantasia che si considera ostaggio di una legge (articolo) "capestro".
Occorre pertanto pensare a strumenti di controllo, oltre che contrattuali, tali per cui la libertà di scelta di cambiar lavoro o di licenziare non devono alterare assolutamnte i rapporti di forza fra le parti che devono essere sempre più equilibrati.
Abbiamo infatti assistito ad un comportamento indecente favorito dalle opportunità date da tutti quei contratti di lavoro flessibili che hanno portato alla precarietà che ora attanaglia il mondo del lavoro italiano.
Il fatto che l'imprenditoria indigena abbia a piene mani approfittato di posizioni di vantaggio con questa contrattualistica ci ha portato ad una attività economica di poca crescita se non stagnante ed a una fascia sembre più ampia di lavoratori precari a basso reddito; si è privilegiata infatti perchè più facile più l'innovazione di prodotto che di processo, ma questa è una azione perdente per chi vuol stare sul Mercato aperto perchè mondiale .
Che cosa non ha funzionato ? Non hanno funzionato i controlli per cui la sotto occupazione e l'occupazione parte in bianco e parte in nero,  producono l'insabilità economica, anche  del sistema imprese stesso che se non trova sbocco più di tanto sull'estero, si trova un mercato interno stagnante o di poca crescita.
Se di nuove regole si parla è evidente che il risultato non può essere che quello che alla velocità con cui si può perdere un posto di lavoro deve corrispondere altrettanta velocità nel trovarne uno nuovo.
In questi giorni abbiamo sentito che nei bliz della GF a Milano si son scoperti molti lavoratori irregolari e per di più senza permesso di soggiorno; ebbene i datori di lavoro se la caveranno con multe di vario tipo, ma l'andazzo continuerà in mille altri posti per cui il lavoro nero continuerà ben sapendo che questo produrrà anche evasione fiscale e contributiva, mentre i dipendenti perderanno il lavoro e verranno espulsi.
Proviamo invece a pensare ad una "punizione" diversa: introdurre l'obbligo di regolarizzazione del dipendente da parte del'imprenditore con la conseguente assunzione regolare e conferma del permesso di soggiorno.
Questi sono i nodi da sciolgliere ben sapendo che una collettività per essere veramente tale non può assolutamente poggiare su un mondo d libere professioni per tutti.
Peraltro lavoratori dipendenti ed imprenditoria fanno parte di uno stesso Stato e se questo chiede per comprovate motivazioni alla collettività di lavorare per più anni prima di andare in pensione, non possono esistere nel mondo del lavoro remore o riserve mentali per cui la velocità di cambiamento del posto di lavoro solleva eccezioni, o è inversamente proporzionale, come spesso vediamo accadere, all'età dell'assumendo, sul suo sesso, sul suo stato civile e quantaltro; se di merito e di professionalità si vuol parlare come elemento trainante di una economia, a qauesti principi si deve guardare, non ad altro.
Il lavoro quindi da fare è molto e riguarda anche e soprattutto un cambiamento radicale del mododi pensare il ruolo e il compito di lavoratori ed imprese.
Diversamente c'è il rischio che per necessità contigenti si facciano scelte "avvenierisiche" che non modifichino in reltà strutturalmente la struttura economica e produttiva dell'Italia, e ci presenti invece fra qualche anno un conto ancora più salato di quello che ci troviamo oggi in mano.

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