martedì, febbraio 07, 2012

LE SINEDDOCHE CONTEMPORANEE

Assistiamo ogni giorno alla discussioni anche accese e indignate su vari temi, ma queste assistono l'analisi soltanto du una parte (per il tutto) proprio per evitare di analizzare il tema da tutti i punti di vista, quindi in modo approfondito tale da andare a ricercare tutte le motivazioni, le cause, le contro deduzioni e le possibili realistiche soluzioni.
Ogni i giorno i media ci segnalano le novità importanti su qualsiasi tema, ma su queste fioriscono dibattiti molto spesso inutili, parziali e fuorvianti.

La forte nevicata di venerdì scorso ha infervorato gli animi per le difficoltà della viabilità a Roma come se altrove non fosse caduta nemmeno una faliva di neve ed abbiamo assistito ad una specie di partita a tennis tra il Sindaco Alemanno e il Capo del Dipartimento della Protezione Civile Gabrielli, quando è evidente che la situazione metereologica è stata sottovalutata da molti.
Per una metropoli come Roma la sua latitudine aplifica fortemente gli effetti della precipitazione nevosa assai rara per cui non c'è l'abitudine delle strutture istituzionali e degli abitanti di vivere un simile fenomeno in modo sufficientemente organizzato; ne consegue che occorre avere l'umiltà di chiedere aiuto per tempo e non nascondere il fatto che il "fai da te" non ha funzionato.
Penso al fatto per esempio che l'Atac ha fatti uscire i mezzi senza pneumatici da neve o senza catene e qui la responsabilità è della sua dirigenza, ancor prima del Sindaco o della Protezione Civile.
La forte nevicata ha presentato fortemente il conto alla regione Lazio, ma anche alla Toscana, Umbria, Lazio, Romagna, Molise, ecc  (in certe zone sotto metri di neve) e balza all'cchio che tanti responsabili non hanno fatto. o hanno fatto poco la loro parte: penso ad Anas, Società Autostrade, Enel, Snam ecc., ma su questo non vola una mosca: sappiamo solo dei disagi o dei drammi mortali occorsi a diverse persone, decedute in modo atroce.
Quanto alla Protezione Civile, che ha il compito di coordinare tutte le funzioni di soccorso (Croce Rossa, Vigili del Fuoco, Esercito, Polizia, Carabinieri) si deve occupare della organizzazione a monte predisponendo piani di possibile soccorso, non certo preoccupare che gli impianti e le manutenzioni e siano fatte a regola d'arte ed i piani di intervento siano ben predisposti.
Queste sono dirette responsabilità dei vari enti e società di gestione, por con lo sconto delle precipitazioni nevose estremamente copiose.
Gabrielli e il Dipartimento della P.C. quindi possono e devono agire con tempestività, ma non li si può certo accusare del fatto che siano stati recentemente depotenziati (legge 10/2011), per cui la potenza di intervento sia diminuita; fatto che peraltro lo stesso Gabrielli denuncia.
Come spesso accade in Italia si passa da un estremo all'altro: con Bortolaso alla P.C. sono stati assegnati compiti non istituzionali; penso alla gestione degli eventi sin dalla loro progettazione e costruzione e non ai semplici piani di sicurezza da attivare per eventi programmati o per eventi climatici, metereologici e tellurici (imprevisti per assioma).
E evidente che tutto questo serviva invece ad accentrare, a gestire direttamente fenomeni utili al potere politico vigente (oltre che a possibile malaffare), dando peraltro il segnale a tutte le altre istituzioni, territoriali soprattutto, di liberarsi di responsabilità invece del tutto proprie.
Il Dipartimento della P.C. ha cambiato pelle, ma le istituzioni - pubbliche e private - si sono sentite ancora evidentemente demotivate o meglio deresposabilizzate, attendendo la manna dal cielo, mentre invece era neve!

Ma le sineddoche non finiscono qui: assistiamo da alcune settimane al dibattito relativo al tema del lavoro, ma come in passato ci si attacca su affermazioni, su concetti  sintetici per bloccare sul nascere eventuali possibili cambiamenti.
Peraltro se analizziamo le frasi - come quella dei "bamboccioni" dichiarata dal compianto Padoa Schioppa che ha fatto strappare le vesti a molti, ci si attacca sul termine per non affrontare realmente il prolema che invece è rimasto li del tutto insoluto.
Quando si sente parlare che il posto fisso non può essere garantito a vita a tutti si afferma una ovvietà, ma la reazione non è quella di affrontare il problema, ma quella di attivare un fuoco di sbarramento per non parlare affatto dei veri argomenti, nascondendo quindi i problemi.
Nella realtà tutti i lavoratori attivi,e ancor di più le giovani leve, sanno perfettamente da sempre che il posto non è garantito - infatti si parla di rapporto di lavoro a tempo indeterminato - e nella realtà già oggi nell'arco della vita lavorativa si cambia posto di lavoro più di una volta.
Stessa cosa quando si parla di lavorare in città diverse; certo la maggioranza di noi ha lavorato o lavora nel luogo di origine, ma sono sempre di più coloro che cambiano ditta e città e questo fenomeno viene da lontano.
Questo avveniva nel passato - penso infatti alla migrazione interna dal sud che ha fornito manodopera alla crrescita industriale delle imprese del nord - ed avviene ancora oggi .
Mio padre stesso, siciliano, classe 1908, ha sempre lavorato, per 45 anni, nel Triveneto (ogni mio fratello è nato in una città diversa) con solo due rientri nella sua regione: nel 1939 e alla fine degli anni 50; cosa analoga è occorsa ad un mio fratello ed anche a me stesso; i miei nipoti insieme a mio figlio hanno cambiato azienda più volte e non sempre vivono nelle città d'origine (alcuni addirittura all'estero); se ci guardiamo intorno nei nostri entourage vedremmo che non si tratta di casi del tutto personali, ma ne troveremmo numerosi del tutto analoghi nei quali le scelte sono state fatte con serenità e soddisfazione.
Altra sinoddica riguarda la frase  che molti gradirebbero una occupazione "vicino a mamma e papà", ma è anch'essa una ovvietà perchè è l'incertezza molto spesso che non fa volar via i nostri figli; quindi non hanno paura del futuro, ma non vedono prospettive adeguate che li confortino nella loro crescita umana e professionale.
Sono questi invece i motivi che tutti sanno, anche i Ministri "tecnici" ed i politici di lungo corso, ma che non si vogliono affrontare con coraggio e determinazione.
Infatti l'incertezza per chi si avvia al lavoro c'è sempre stata e sempre ci sarà; ma mentre un tempo nell'incertezza dei primi passi nel mondo di lavoro si poteva intravvedere un obbiettivo che ci desse stabilità, oggi invece questo non accade, o accade molto meno di un tempo.
E l'articolo 18 della legge 300/70 - checchè ne dica il Wall Street Journal - non è il tappo che blocca la nostra crescita economica, prchè esisteva in molti eventi che ho citato del passato .
In passato infatti i primi passi nel mondo del lavoro erano sempre incerti - che si facesse l'operaio o l'insegnante - ma poi seguivano evoluzioni che portavano alla stabilità.
Un neo laureato, per esempio, che si avviava all'insegnamento iniziava con piccole supplenze, poi con altre un pò più lunghe (sostituzioni per maternità), poi con incarichi annuali, eppoi con l'assegnazione di una cattedra magari divisa su più scuole o su più comuni della stessa provincia; l'operaio - anche specializzato - cominciava come apprendista in piccole ditte o presso artigiani, ma poi cambiando più di una azienda raggiungeva un posto di lavoro stabile in una azienda più grande e strutturata; oppure diventavo lui stesso artigiano o imprenditore.
Ne consegue che nel giro di qualche anno la stabilizzazione era raggiunta, con la possibiltà di metter su famiglia, ma senza precludersi la possibilità di cambiare ancora posto di lavoro (se non facevi carriera in azienda cercavi di farla fuori cambiando lavoro).
Oggi invece la precarietà sembra avere connotati piatti per cui spiragli non se ne vedono e queste sono le vere zavorre che limitano le proprie aspirazioni e che possono impaurire per l'incertezza che il futuro sembra far percepire.
Il fatto che l'Italia sia comunque da molto tempo la quinta potenza mondiale (per il momento fino  che i paesi emergenti con le loro centinaia di milioni di abitanti non ci supereranno) dipenderà pure da un modello socio economico che ha una certa staticità e stabilità, ma anche da una flessibilità congenita da sempre esistita, che ha prodotto i suoi buoni frutti.
Erano altri tempi quando le famiglie - numerose - poggiavano quasi sempre su un solo reddito; ma  almeno 40 anni fa le famiglie si sono spesso appoggiate su due redditi (e meno figli).
Questo ha consentito la crescita economica, la crescita dei consumi - anche quelli superflui divenuti necessari - ma è evidente che la volatilità dei rapporti di lavoro avveniva sempre più in un area geografica circosritta, poichè socialmente ed affettivamente non si potevano certo "smontare" i nuclei familiari per rincorre nuovi posti di lavoro a distanze poco sostenibili poichè queste scelte comportano necessariamente il cambio anche per l'altro coniuge; del resto l'Europa e l'Italia è una area circosritta e densamente popolata e non può essere paragonabile agli Stati Uniti che è una nazione con una popolazione in perenne transumanza, laddove tante piccole e medie comunità nascono, crescono e muoiono nel giro di qualche decennio.
Oggi stiamo tornando indietro dove i doppi redditi scendono e dove e difficile trovare lavoro e molto facile perderlo.
Come sopra conto, peraltro estremamente determinante, i livelli retributivi crescono miseramente per cui non vi sono più le opportunità appetibili del passato; molto spesso si cambia lavoro per necessità e molto meno per volontà, ma è del tutto prevedibile che sarà meno soddisfacente sul piano economico di quello precedente.
Ecco perchè la volatilità del lavoro auspicata dell'attuale governo trova resistenze poichè non ci sono presupposti economici validi per cambiare facilmente; ed ecco perchè i giovani, pur coraggiosi, vivono vicino a mamma e papà. 
Ecco perchè la nostra generazione, che ha assistito la vecchiaia dei nostri genitori, si trova oggi  molto spesso ad assistere la gioventù dei nostri figli.
Cos'è cambiato ?
Molti lo sanno, ma nessun lo dice: si è rotto il principio della intedipendenza tra capitale  e lavoro (peraltro sempre in equilibrio instabile), ma soprattutto si è rotto il principio che tiene ben saldi gli aspetti sociali a quelli economici dell'impresa e del lavoro.
Intendo dire che il capitale non funziona senza lavoro e viceversa e che gli aspetti sociali hanno sempre strette correlazioni economiche e viceversa.
Questo significa che per l'impresa deve aver ben chiaro che la sua mission economica implica aspetti sociali imprescindibili, come peraltro i lavoratori dipendenti devono aver ban chiaro che l'aspetto sociale ha sempre impliciti rivolti economici per se e per le imprese.
Auspicheremmo che oltre che ai lavoratori in servizio ai quali si è allungata la vita lavorativa per produrre di più, vi sia una più ampia disponibilità da parte dei nuovi giovani lavoratori a cercar lavoro, ma se le condizioni economiche sono quelle che tutti sappiamo ( per i neo assunti e per i lavoratori ancorchè stabilizzati operanti in aziende in debito d'ssigeno))è evidente che non possono essere soddisfatte che le necessità primarie di sostentamento; pensare a metter su famiglia e a far figli, quando  non ci sono obiettivamente spazi e servizi a prezzi coerenti, è e evidente che si usa la buona vecchia regola di star fermi per non insabbiarsi ancor di più.
Penso ad esempio ai lavoratori dell' Alcoa, multinazionale dell'alluminio, attratti dall'insediamento dell'impresa  in Sardegna che ha deciso di chiudere i battenti andandosene altrove; c'è un bel dire che occorre avere la dispinibilità al cambiamento, ma, proprio ai sardi, popolo laborioso e disposto anche ad emigrare, che soluzioni ed opportunità possono essere credibilmente prospettate ?
L'Alcoa ha le sue ragioni, ma tutte queste famiglie che prospettive possono avere ?
Chiaro, chiaro: se un lavoratore trova nuovo lavoro in un'altra città non è detto che la sua moglie abbia la stessa opportunità; vi può essere il caso che lasci il certo per l'incerto e si ritrovi a dover subire uno dei tanti rapporti di lavoro precari; se poi hanno figli come potrebbero fare ?
Se le retribuzioni sono eccellenti gli spazi ci sono, ma se le retribuzioni sono dell'ordine del 700/900 euro mese - perchè questà è la realtà - e un posto al asilo nido o scuola materna, se c'è,  costa 600 (visto che mamma e papà son lontani) è evidente che il meccanismo si inceppa.
La stessa migrazione interna - pur sempre presente - ha volumi contenuti proprio per questi motivi: le retribuzioni sono quelle che sono e trasferirsi per sostenere il futuro da soli (e magari la famiglia al paesello) quando conosciamo il livello del costo della vita al nord, senza le economie dei gruppi familiari d'appartenenza, è evidente che anche in questo caso le rinuncie al trasferimento risultato del tutto comprensibili.
La rivoluzione del mondo dei rapporti di lavoro può essere quindi affrrontata senza impicciarsi su frasi o concetti, ma va analizzata senza riserve mentali sia da parte dei lavoratori (e le rappresentanze sindacali)che da parte delle imprese proprio perchè esiste la simbiosi inalienabile tra capitale e lavoro e tra economia e società.
Nuovi punti di intesa sono possibili, ma i "mea culpa" vanno fatti insieme fra le parti ed il Governo, soprattutto questo, non si può limitare ad allestire strumenti di sostegno perchè ribadisco questi possono far correre il rischio di costituire l'alibi per non affrontare le proprie riserve mentali e responsabilità.
Possono esserci modelli più moderni, ma deve esser chiaro che si deve trattare di extrem ratio. 
L'ho detto altre volte: i lavoratori hanno - forse per ragionevole timore - assunto posizioni statiche e troppo difensive, ma le imprese ha avuto una grande opporunità di ripartire con tanti contratti flessibili nel momento migliore - quello della nascita dell'euro -, ma hanno dimenticato che non possono soddisfare soltato il conseguimento dei migliori profitti possibili, frutto peraltro della maggior fascia di consumatori costituita dai loro 16 milioni di di dipendenti, da 5 milioni di autonomi (e 16 milioni di pensionati).
Occorre ricercare stimoli che riequilibrino i principi cui accennano prima: per esempio son passati almeno 20 anni dalla ultima manutenzione relativa ai distretti industriali, quelli che hanno prodotto una larga diffusione della media impresa ed oggi una "manutenzione"; ebbene  un rinnovamento di qei progetti è del tutto possibile senza grandi necessità di spesa da parte dello Stato poichè sono sufficienti indirizzi e stimoli che sostengano ed orientino impresa e lavoratori in questo mae magnum per soddisfare equamente le esigenze sociali ed conomiche dell' Italia.
Il pericolo maggiore è quindi quello di perdersi dietro alle frasi più o meno ad effetto per non affrontare con serietà i veri problemi del lavoro in Italia.



Note:
sineddoche (dal greco «συνεκδοχή», in italiano «ricevere insieme») è un procedimento linguistico espressivo e una figura retorica che consiste nell'uso, in senso figurato, di una parola al posto di un'altra mediante l'ampliamento o la restrizione del senso.

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