sabato, febbraio 19, 2011

MONDO ARABO IN SUBBUGLIO

Anche se qualcuno l'aveva preannunciato al Presidente degli Stati Uniti, nell'autunno scorso, tra l'incredulità di molti si sta verificando proprio un sommovimento di popolo, una contestazione generalizzata che sta interessando un po' tutti gli stati Arabi del nordafrica, come un filo rosso, da ovest ad est e poi giù verso gli emirati arabi.
Questo fenomeno politico ha avuto le prime avvisaglie con gli attentati contro la comunità cattolica in Egitto e la contestazione sul prezzo del pane (sempre lui: ne sa qualche cosa Maria Antonietta) in Algeria.
Poi in Algeria la contestazione è cresciuta non poco anche se ora pare sopita semplicemente con l'abolizione del coprifuoco che durava da parecchio tempo, frutto della politica di una maggioranza confessionale che sta da anni ingessando questo paese e che non riesce, evidentemente, a tutelare e proteggere la sua economia, dalle indubbie crisi che hanno investito tutto il mondo.
Non è quindi colpa della crisi prima finanziaria e poi economica mondiale se nasce la contestazione, ma dipende evidentemente dall'assetto politico che questo stato si è dato, assetto che non trova partecipazione e condivisione, ma contestazione assai dura, visto che non è in grado di assicurare l esigente primarie a quella popolazione.
Peraltro l'Algeria, che nella sua storia è stata sottoposta al potere ottomano, che l'ha utilizzata per l'arabizzazione della penisola iberica, con la Battaglia di Algeri, si è liberata dal neo colonialismo
francese (1962), ma solo nei primi decenni di libertà ha visto la sua rinascita e la sua indipendenza compiuta, ma poi si è avvitata su se stessa ed evidentemente, viste le recenti reazioni popolari, la dittatura della maggioranza si è progressivamente trasformata in dittatura pura e semplice; con tutte le controindicazioni che sono oggi sotto gli occhi di tutti.
Subito dopo, come una serie di cerini accesi, è toccata una sorte ben più veloce, ma non certo immune da incertezze politiche, economiche e sociali, alla dittatura della Tunisia, poiché quando un Presidente, Ben Ali, che aveva scalzato il precedente Presidente Bourguiba, resta in carica tutti quegli anni significa che le cose non possono funzionare per bene; significa che nascono le partigianeria, i familismi e le corruzioni, per cui basta un niente ed il potere viene liquidato, come puntualmente è avvenuto, a velocità stratosferica.
Certo la Tunisia si è liberata di un peso, ma sembra non avere una struttura politica solida che possa subentrare, quasi fosse impreparata e che soprattutto sia in grado di evitare gli errori dei predecessori.
Dopo di che è toccato all'Egitto ed anche qui la storia si ripete poiché dopo la deposizione di Re Faruk da parte dell'esercito cappeggiato dal Colonnello Nasser il vento è si cambiato, ma non ha evidentemente tenuto conto della evoluzione dei tempi, sino ad arrivare alla situazione che è sotto gli occhi di tutti.
La "rivoluzione " nasseriana fu doverosa perchè la storia ha condannato tutti i regni imbelli alla loro liquidazione; guardate il recente passato e l'attualità: solo i regni illuminati ed al passo con i tempi sono rimasti in piedi (Regno Unito, Olanda, Belgio, Spagna, Svezia, Norvegia, Danimarca, Iran) mentre quelli legati alla chiamata divina o gravi errori politici imperdonabili, sono stati spazzati via senza pentimento (Russo, Austroungarico, Ottomano, Italiano, Greco).
Quel che è mancato all'Egitto è stato un meccanismo di avvicendamento che consentisse un miglior ricambio ed evitasse conseguentemente il solito refrain di corruzione, favoritismi, familismi.
Ai tempi di Nasser (1056-1070)le esigenze primarie e generalizzate erano le più importanti da ricercare e da difendere (dopo una colonizzazione prima ottomana, poi inglese ed un regno imbelle) e per di più faceva da forte collante la lotta economica e politica sia per la proprietà del Canale, che quella contro Israele ed in sostegno dei Palestinesi.
Al suo successore, Sadat (1070-1981) restò la guerra guerreggiata contro Israele con il raggiungimento della Pace con gli accordi di Camp David, Pace che costò la vita a lui e al Premier israeliano Rabin.
A Mubarak non sarebbe rimasto che raccogliere i frutti dei suoi predecessori per spingere molto di più di quanto non sia avvenuto lo sviluppo di questo grande paese arabo, evitando però questa monarchia repubblicana durata 30 anni, monarchia repubblicana che, pur moderata, ha mostrato tutti i suoi limiti e difetti e in solo 18 giorni di dura contestazione è stata liquidata.
La contestazione pacifica, ma contrastata con estrema violenza, ha toccato poi anche il Bahrain
che ha una struttura politica monarchica, ma forse per la poca conoscenza che abbiamo di questo stato non comprendiamo bene che cosa vi stia accadendo.
Certo è che quando le popolazioni si sollevano in modo così spontaneo è evidente che gli equilibri interni sono completamente saltati e che tutti i livelli di accettabilità e sopportazione sono stati abbondantemente superati.
Questo sottile filo rosso si collega anche alla situazione della Libia, dove però la contestazione sembra ammantarsi di situazioni assai più pericolose e sanguinose, vista la situazione dei primi giorni.
Sembrerebbe che il pur solido potere detenuto da Gheddafi, la grande "rivoluzione verde" nata dopo la liquidazione del Re Idris e la cacciata e confisca degli insediamenti italiani, non avesse alcun problema, mentre invece la contestazione soprattutto a Benghasi rischi di spaccare il paese, anche se la reazione sempre più violenta di quelle apparse negli altri paesi arabi del nordafrica.
Il Presidente Gheddafi, che è al potere dal oltre 40 anni, sembrava inaffondabile ed inattaccabile, sembrava che la sua politica internazionale ed interna fosse patrimonio della popolazione, ma evidentemente i meccanismi interni di governo hanno fortemente limitato le libertà individuali (confermate dal modo deciso e violento della sua reazione).
Non dobbiamo dimenticare che la Libia ha sviluppato una politica internazionale che ha provocato embarghi rigidi anto che molta della ricchezza prodotta dalla vendita di petrolio è stata obbligatoriamente allocata all'estero ed ora che gli embarghi si stanno via via diluendo, questa motagna di risorse deve essere riallocata nel paese.
In sostanza stati come Libia ed Algeria siedono su una montagna di denaro (250 miliardi di dollari di riserve per la sola Algeria) che rimangono inutilizzate, mentre le popolazioni hanno non pochi problemi di sopravvivenza.
E' evidente che questa enorme contraddizione alla lunga provoca reazioni e contestazioni che non è proprio facile addomesticare, soprattutto se la situazione interna è accompagnata pure da corruzione e larghi favoritismi.
In tutti questi stati comunque il sottile filo rosso non è assolutamente, almeno sino ad ora, costituito da una linea riconducibile alle componenti integraliste del mondo arabo (come avvenne ed avviene in Iran), ma ad una contestazione ad ampio spettro popolare, del tutto simile a quello che portò all'indipendenza questi stessi stati.
Intendo dire che i movimeni indipendentisti sorti in Algeria, Tunisia, Libia e Egitto e che hanno portato alla liquidazione delle rispettive monarchie e colonialismi, hanno nella realtà tradito il loro spirito originario, tendendo a trasformarsi in buona sostanza in monarchie assolute "repubblicane" ed ora la sollevazione popolare presenta il conto.
Complesso e difficile addentrarsi nelle singole realtà, ma è certo che il solo fatto che per tanti decenni il potere sia stato governato non tanto da un partito o da una coalizione, ma nella maggior parte dei casi da un solo uomo, che non abbia tenuto conto della evoluzione delle comunità e delle esigenze e necessità sempre più crescenti, questo basta ed avanza a spiegare le reazioni e le contestazioni generalizzate.
Si pensi che il modo più semplice per comunicare, organizzare, documentare è costituito dal telefonini portatili e da internet, per cui tutte queste popolazioni giustamente insoddisatte si trovano in mano da un lato la tecnologia più avanzata, ma dall'altra una situazione sociale, economica, alimentare vecchia almeno di mezzo secolo.
In questo contesto assai burrascoso e pieno di incognite, l'Italia, insieme a pochi altri paesi europei mediterranei, dovrebbe porsi per prima parecchie domande, poichè l'instabilità influenza gli stati confinanti, soprattutto i più ricchi, sia per i rapporti economici reciproci e diretti sia per gli approvigionamenti di utilities che sono l'ossatura delle economie industriali come la nostra.
Eppure appare sostanzialmente assordante il silenzio del nostro governo (a parte le problematiche delle prime migrazioni bloccate, per il momento, dal maltempo).
Timidi l'accenno del Ministro degli Esteri, preoccupato per la tenuta dei recenti accordi italo libici, ma nemmeno una parola sulle cause di questa contestazione generalizzata che ha investito il mondo arabo nordafricano.
Certo è delicato andare a trinciar giudizi sul modus operandi sin qui seguito da questi governi, ma è altrettanto vero che le valutazioni politiche obbiettive devono spiegare e spiegarci che cosa non ha funzionato, che cosa non poteva funzionare ed anche che comportamenti politici dovremmo tenere per evitare gli effetti che possano avere analogia con quanto stiamo riscontrando.
Insomma nel nostro paese repubblicano, come in molti altri, le cariche politiche hanno tutte scadenza, chi 7, chi 5 anni e sono reiterabili solo e soltanto concorrendo nuovamente in libere elezioni, dove la composizione dei partiti dell'arco costituzionale, si compone, si scompone e si ricompone seguito del "gioco" politico, ma non è mai capitato, almeno sino ad ora, che un uomo politico restasse al potere ininterrotto per decenni.
Non abbiamo mai avuto monarchi repubblicani ( soltanto partiti con stabile maggioranza relativa) e per questo abbiamo evitato tutto gli errori che ora vengono invece imputati ai governi arabi sotto contestazione.

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