martedì, ottobre 20, 2009

I RIPENSAMENTI DEL MINISTRO TREMONTI

E proprio vero che sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico, ma in questi giorni ci troviamo ad ascoltare con attenzione le esternazioni del Prof. Tremonti che ci lasciano interdetti e stupiti tanto che non abbiamo ben capito se scherza o fa sul serio.
Per la verità questo "fenomeno" è iniziato qualche anno fa quando in piena economia di mercato globalizzato se ne uscì sollecitando azioni protezionistiche contro l'invadenza dei prodotti cinesi, dopo la caduta della moratoria doganale durata 10 anni.
In quel caso era evidente che la Cina (ma anche gli altri paesi emergenti) sviluppava la sua ricchezza prodotta incrementando la produzione volta all'esportazione, sfruttando il basso costo della manodopera che in forza di questo non poteva aumentare propozionalmente i consumi interni.
Ne è risultato che lo stato cinese è divenuto il principale sottoscrittore del debito pubblico americano e che i consumi dei paesi industrializzati erano fortemente riforniti dalla sua produzione.
Il fenomeno aveva ed ha due aspetti: il primo riguarda la qualità e salubrità dei prodotti (un tempo, per esempio le porcellane cinesi erano un segno di alta qualità e raffinatezza mentre oggi non risulterebbero affidabili sotto il profilo di qualità e salubrità); il secondo riguarda la estrema convenienza in termini di prezzo rispetto ai prodotti domestici.
Da che mondo è mondo i paesi più avanzati industrialmente hanno sempre innalzato innovazione e qualità per lasciare ad altri la produzione di prodotti a basso valore aggiunto tanto che già dalla prima rivoluzione industriale, caratterizzata dal passaggio dei telai (per cotone e lana) da manuali a meccanici sorsero le prime crisi produttive tanto da produrre forti emigrazioni di tipo coloniale.
Quindi in questo caso la produzione a basso valore aggiunto dei paesi industrializzati (Italia in particolare) è continuata tranquillamente senza tener conto che quei 10 anni di protezione sarebbero puntualmente finiti e che c'era tutto il tempo per convertire e ristrutturare destinando gli sforzi a nuove frontiere.
In questo senso i governi di allora ed anche i più recenti non hanno sviluppato una nuova politica industriale di concerto con le imprese, nemmeno mettendo mano alla revisione dei distretti industriali che hanno fatto grande il nostro paese.
Pretendere quindi di reintrodurre sistemi protezionistici era del tutto velleitario e non perseguibile.
Ricordo una vecchia e solida azienda veneta tuttora sulla breccia che produce macchinari sempre più avanzati tecnologicamente per la lavorazione della pelle; puntanto appunto sempre sulla innovazione e sulla qualità la sua storia non si arresta mai poichè se il prezzo del pellame (salt dry cow) era basso esportava le sue macchine in Eeuropa se invece si alzava notevolmente esportava negli altri continenti.
Riguardo al sistema bancario italiano ricordo benissimo che la principale accusa era quella di "nanismo" al pari di quella del sistema di distribuzione delle benzine e gasoli ovvero c'erano troppe banche solide ma troppo numerose e piccole (come i chioschi di benzina) per cui era necessario favorire un processo di aggregazione che le rendesse più grandi, più solide e più adatte a servire i clienti con offerte ad ampio spettro.
Questo successe anche con i chioschi di benzina il cui ampliamento e contestuale diminuzione nel numero avrebbe raggiunto masse critiche più ampie, maggior concorrenza e quindi prezzi più concorrenziali.
Il sistema bancario si è evoluto privatizzando tutte le banche di interesse nazionale ed enti di diritto pubblico ed oggi abbiamo dei campioni che non sfigurano assolutamente sul piano internazionale anche perchè sono cambiate le regole fondamentali (con la creazione della BCE ed un mercato unico per finanza e moneta) per l'erogazione del credito.
Non è più come un tempo (quello delle "bin" o dei "edp"che Tremonti rimpiange) dove per prestare più denaro occorreva raccoglierne sempre di più, calmierato dalle politiche monetarie di ogni stato (si chiamamo "limiti di accrescimento" professore), ma conta oggi la qualità del credito erogato che deve essere correlato alla forza patrimoniale di ogni singola banca, per cui se questo si deteriora per andamenti anomali dell'economia o per scelte avventate, la macchina del credito si blocca perchè i paramentri di solidità saltano.
Apprezzare quindi oggi da un lato la cautela attuata dalle banche nazionali nella erogazione del credito (rispetto ai subprime americani) e poi attaccarle perchè non aumentano il credito (con un calo del 21% della produzione industriale) come avessero il braccino corto, mi sembra una grossa contraddizione, fermo restando che un meccanismo per aiutare a vivacizzare l'economia va comunue trovato.
Se poi i "Tremonti bond" servono molto meno del previsto non ci si deve offendere, anzi, si dovrebbe essere contenti per le risorse rispamiate e pensare che altro mettere in campo per un vero rilancio dell'economia (con vincoli e limiti posti dalla restante fetta di mercato) che rimane l'obiettivo principale.
Ciliegina sulla torta, visto che non si può tornare indietro, ecco nasce la Banca del Mezzogiorno che potrà dare adito a forti frantendimenti: un certo tipo di società meridionale sgranerà gli occhi pensando ad una nuova e bella mucca da mungere, mentre l'altra si troverà qualche gocciolina da bere a stento.
Riguardo alla struttura del lavoro le recenti affermazioni del Ministro che auspicano un rafforzamento dei rapporti di lavoro fissi appaiono ancora di più sconcertanti.
Intendiamoci non auspico assolutamente che l'obbiettivo sia di rendere tutti i lavori autonomi (come qualche volta lascia trapelare il Premier) perchè i posti di lavoro a tempo indeterminato si sono ridotti in questi 20 anni, ma non possono scendere sotto soglie che non garantiscono una solida base produttiva ed industriale.
L'evoluzione dell'economia e la maggior circolazione di beni e persone ha contribuito l'incremento dei lavoratori autonomi e rapporti di lavoro subordinato più "sciolti" nel senso che tanti rapporti di lavoro a tempo indeterminato producono comunque spostamenti nei posti di lavoro ovvero nella vita lavorativa rapporti successivi con più datori di lavoro.
Quello che è stato un buco nell'acqua - e da questo non se ne può chiamare fuori il ministro Tremonti cospargendosi il capo di cenere - è stata la maledetta flessibilità trasformata in precarietà da un tutte le categorie di datori di lavoro (stato e parastato compreso) che sta creando una vera e propria crisi sociale in questa fase economica di recessione.
Questa manovra iniziata con l'accordo e consenso di tutti 15 anni fa ha prodotto una forte diminuzione della disoccupazione, ma vediamo ora che è come un "gigante con i piedi d'argilla" dove i sistemi di protezione sono modesti o inesistenti in una fase recessiva e dove il sistema delle imprese ha continuato a privilegiare il contenimento dei costi del lavoro, a considerare il fattore lavoro come un attore intercambiabile o incidentale, dimenticando che il fattore vincente è sia la produttività ma anche - e soprattutto - la maggior qualità; e la miglior qualità non si raggiunge con maestranze incerte o troppo intercambiabili.
Se a questo aggiungiamo che il sistema pensionistico è stato rivoluzionato sin dal 1994 e che a basse retribuzioni corrispondono sistemi contributivi miseri non è detto che ci si può mettere un bel tappo semplicemente innalzando l'età pensionabile; c'è un limite (nonostante i 120 anni auspicati per se stesso dal Premier) fisiologico a tutto per cui si lavora, male, una vita, alla fine si prende la propria liquidazione e... poi passa la comare secca !
Di questa "devianza" se ne sono disinteressati in molti; andava fatta con coraggio un forte aggiustamento ma alla fine ce chi ha preferito voltarsi dall'altra parte per non perder voti, chi ha messo il dito nella piaga cominciando ad aggiustare il tiro e così ci ha rimesso politicamente le penne.
Inneggiare quindi oggi al "posto fisso" suona molto come una grande presa in giro perchè per volerlo attuare significa reintrodurre regole di uno stato centralista, mentre se vogliamo parlare di rapporti di lavoro a tempo intederminato (fermo restando che ogni lavoratore sa che può cambiarne quanti ne vuole) allora sono altre le leve su cui occorre lavorare per favorire la creazione delle condizioni per attuarlo parlando chiaro non sono con i lavoratori ma anche con le imprese.
Significa riqualificare la scuola - veramente - fornendo anche indicazioni sugli sbocchi successivi sul mercato del lavoro, significa incentivare e riqualificare formazione e apprendistato, significa rivedere la qualità e la quantità del costo del lavoro complessivo, rivedere gli aspetti contributivi e fiscali - per lavoratori ed imprese, armonizzare la retribuzione dei fattori produttivi (la retribuzione della rendita è circa un terzo di quella del lavoro e del capitale), significa riorganizzare i distretti industriali, significa sviluppare politiche industriali che siano veramente selettive e produttive.
Tutti questi ripensamenti o pentimenti quindi non mi convincono per nulla perchè mi appaiono sempre di più, perchè messi li con un sorrisetto, con nonchalance, del "falsi scopi" (in artiglieria il falso scopo è il punto sul quale il puntatore fa il calcolo per colpire con l'obice il vero obiettivo che gli è nascosto)!

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