lunedì, gennaio 23, 2006

A proposito di conflitto di interessi

Da almeno 12 anni si sente parlare su tutti gli organi di stampa (su carta o televisiva) e negli incontri politici, di conflitto di interessi che esisterebbe per alcuni uomini politici italiani e, più recentemente, per uno dei principali partiti, ovvero i Democratici di sinistra.
Tale conflitto è indicato, per le società di capitale, dal codice civile e sono ben delineati i comportamenti da tenere da parte degli amministratori indicando pure le sanzioni, nel caso in cui questi comportamenti vengano disattesi.
In buona sostanza è fatto obbligo all'amministratore, nel caso di una o più specifiche iniziative, di informare preventivamente gli organi di governo della società del conflitto appunto esistente fra l'azione della società e l'amministratore (compresi i terzi a lui riconducibili).
In caso di decisioni prese, l'amministratore in conflitto, deve astenersi.
Nel caso in cui tutto ciò non avvenisse, gli eventuali danni che dovesse patire la società, sono direttamente imputabili all'ammistratore con apposita iniziativa legale.
Questa disciplina è stata introdotta anche, con apposita legge, dalla amministrazione dello stato in relazione, soprattutto, alla predisposizione e promulgazione di delle leggi e similari che regolano il funzionamento dello stato e della società.
La legge esistente certamente affronta questa disciplina, ma non attua tutti quei principi di comportamento che evitino nel modo più ampio, che tale conflitto possa sussistere.
Nelle democrazie liberali anglosassoni infatti, dove questo conflitto si potrebbe manifestare con più frequenza e da molto più tempo che in Italia, si è individuato uno strumento, obbligatorio, che regoli tale disciplina, strumento che in modo del tutto volontario è stato attuato dal nuovo Governatore della Banca d'Italia, Dr. Mario Draghi.
Il Governatore ha infatti liquidato tutte le risorse personali che potessero essere in conflitto con la sua nuova funzione, risorse che sono state assegnate ad un gestore, senza resa dei conti per il mandante.
Lo stesso sindaco di New York, Bloomberg, ha fatto altrettanto.
In Italia, al contrario, tale azione non è stata assolutamente così drastica e quindi, molti sono i casi i cui questa netta separazione fra interessi personali e scelte politiche di diversi uomini politici non c'è stata.
La conseguenza è che questo conflitto continua a permanere latente e di tanto in tanto riappare avvelenando la vita politica e sociale del paese.
Una scelta di tipo anglosassone, certamente, sembrerebbe assai eccessiva per il cittadino che intendesse scendere in politica in quanto vedrebbe liquidare le proprie risorse affidandole in amministrazione a terzi, rinunciando (magari solo per una o due legislature) quindi ad interessarsi al patrimonio che ha creato e che gli appartiene, ma è fuori di dubbio che amministrare la res pubblica, significa anche creare una separazione tra fatti personali e quelli pubblici, soggiacendo pertanto soltanto al giudizio politico dell' elettorato.
Ne consegue che è interesse anche dell'amministratore eliminare qualsiasi collegamento o frammistione per poter essere apprezzato o meno sul suo operato.
Altra cosa è il conflitto di interessi che riguarderebbe invece un partito che oggi è sarebbe costituito dai Democratici di Sinistra.
Innanzitutto qualsiasi partito riassume interessi economici, sociali ed ideali di una fetta, più o meno ampia, della collettività per cui le azioni volte a cercare di tutelarli sono un dovere non certo una interessenza.
Fra l'altro il sistema di formazione e promulgazione delle leggi, a qualsiasi livello (regionale, comunale, privinciale o nazionale) necessariamente coinvolge e si intreccia con i contributi degli altri partiti esistenti per cui i risultati si riverberano su tutta la collettività, in quanto funzionali ad essa.
Inoltre la caratteristica dei partiti attuali non è più nemmeno interclassista bensì d'opinione per cui legiferare per una categoria o una lobby risulta assai difficile, se non impossibile.
Se il conflitto di interessi esistesse davvero credo che lo si potrebbe imputare, ancor di più, alle organizzazioni sindacali, che tutelano contrattualmente una specifica categoria di lavoratori dipendenti, o dipendenti di una singola azienda; ma ovviamente così non è perchè non vi è frammistione tra le azione sindacale e risultato, in quanto questo va ai dipendenti in modo indistinto (iscritti e non iscritti).
Guardare al passato poi può essere un buon esercizio di storia, ma trasporlo ai giorni nostri risulta operazione assai azzardata: al tempo dei "blocchi" i finanziamenti esterni ed interni esistevano, ci piaccia o no, per tutti gli schieramenti politici (dalla Dc al Pci) ed il malaffare che ne può essere scaturito è emerso ed ha portato al collasso della struttura politica di quel tempo.
Oggi accusare i Ds di conflitto d'interesse appare francamente un esercizio assai forzato: non esiste diretta correlazione o interesse tra l'azione di questo partito ed i risultati che questo può aver incamerato; del resto questo non avviene nemmeno in tutti gli altri partiti che contribuiscono alla ammistrazione del paese, ma non traggono alcun vantaggio diretto, se non quello del loro riconosimento politico.
Qualora invece si riscontrasse che ciò non è avvenuto perchè un partito o suoi esponenti hanno beneficiato del risultato della loro azione, allora in questo caso ci troveremmo di fronte ad alri reati (come il finanziamento illecito, la malversazione, ecc), ma non certo difronte ad un conflitto di interessi.

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