giovedì, maggio 07, 2009

TERREMOTI E RICOSRUZIONI

E' caduto ieri il 33esimo anniversario del terremoto del Friuli e il "trigesimo" di quello dell'Abruzzo e balza evidente al nostro pensiero paragonare i due eventi tellurici che hanno avuto dimensioni sostanzialmente simili: più intenso quello del Friuli, meno morti in quello d'Abruzzo, sostanzialmente simili i danni alle cose e alle popolazioni coinvolte.
Si parla oggi, a ragione, del modello da improntare per la ricostruzione e viene logico pensare che occorra ricercare quello più efficente ed efficace a prescindere da chi pro tempore governa il paese, la regione, le provincie ed i comuni.
I danni in Friuli sono costati - ai prezzi del 1976 - oltre 4500 miliardi di lire paragonabili, rivalutandoli, a circa 6,7 miliardi di euro, somma che si avvicina ai costi preventivati in questo primo mese post terremoto abruzzese, ma oltre alle cifre è estremamente importante individuare il modello di azione utile a fare presto e bene per evitare lungaggini che affliggono tutt'oggi altre regioni terremotate (Irpinia, Belice) e per consentire economie ed evitare "rigonfiamenti" della spesa totale.
Il governo in carica appare tutto orientato a dimostrare la sua decisione ed efficenza, ma mi sembra partire con il piede sbagliato: infatti il modello che stà approntando è estremamente accentrato, mentre quello applicato in Friuli - lo dimostrano i fatti ed i risultati - era di tipo decentrato: il Friuli in 10 anni si è rimesso in pista più forte di prima (ha addirittura consentito il rientro degli emigranti) tanto da diventare regione di punta del mitico Nordest.
La carta vincente del Friuli è stato quindi il decentramento della gestione del post terremoto, con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni locali, le comunità, gli enti, le associazioni di categoria, il Clero, ecc. che come una massa unica se pur articolata, ha impedito perdite di ritmo e riultati scadenti.
Fabbriche, abitazioni e chiese - nell' ordine - sono state oggetto della ricostruzione, ma soprattutto la simbiosi tra le varie istituzioni e l'appoggio del governo centrale con il Commissario Zambeletti, ha prodotto l'ottimo risultato che è sotto gli occhi di tutti.
Oggi invece si comincia innanzitutto con un decreto "fantasma" che dice tutto ed il contrario di tutto, quasi a voler dimostrare essenzialmente il decisionismo del governo, ma con termini un pò fumosi che cominciano a preoccupare gli Abruzzesi.
Prer prima cosa non c'è delega alle amministrazioni locali, non c'è coinvolgimento nemmeno con le associazioni di categoria, con i sindacati, con le comunità e soprattutto si parla di grossi importi ( 9 miliardi di euro di investimenti spalmati da oggi al 2032), ma non si coprende in che modo e in che tempi potranno essere investiti; per di più non si comprende da dove sortirà la provvista anche se un'idea cominciamo a farcela.
L'esempio più calzante è quello dei costi di ricostruzione che verrebbero dai ai terremotati per la ricostruzione: sino ad 80 mila euro per la sistemazione degli alloggi; sino a 150 mila per la ricostruzione antisismica articolata in 50 mila a fondo perduto (con produzione delle fatture di spesa), 50 mila quale credito di imposta per i prossimi 23 anni (2022) sui redditi futuri e 50 mila come contributo per agevolare tassi su mutui da contrarre (per la precisione tasso agevolato su mutui di 50 mila euro sino al 2033).
Degli aiuti per la ricostruzione/restauro delle abitazioni ed edifici vincolati alle "belle Arti" - sono circa 1200 nel solo centro de L'Aquila - non se ne parla, come non si parla di aiuti alle imprese.
Certo, la situazione economica e finanziaria dell' Italia d'oggi è molto più critica di quella del 1976:
all'ora il debito dello stato era il 76% del Pil e l'inflazione galoppava mentre oggi il debito è abbondantemente "sopracento" e l'inflazione è compressa per effetto dell'Euro e della crisi economica.
Negare quindi che vi possa essere una necessità - anche temporanea di maggior finanza - sembra legato molto poco all'obbiettivo di risparmiare, di economizzare e molto più a non voler contraddire gli slogan sbandierati dalla attuale maggioranza di governo e parlamentare, mentre tutta l'opinione pubblica comprende benissimo che in questi frangenti che dipendono soltanto dalla natura occorre rimboccarsi le maniche senza brontolare.
Certo questo significa far fare qualche sacrificio in modo del tutto trasparente, ma significa anche presentare il conto una buona volta a chi ha evaso per decenni e che in questo caso si dovrebbe vergognare doppiamente.
Sul fronte finanziario invece si parla timidamente di nuove provviste risultanti da nuovi giochi all'Otto e soprattutto dal recupero di risorse da "pozzi di San Patrizo" cioè spostanto somme da vecchi capotoli di spesa a quelli nuovi, tirando imsomma una coperta che è sempre corta perl'insipienza di chi ci governa.
Si badi bene 9 miliardi di investimenti per la ricostruzione significano un fatturato di pari importo, significa incremento del Pil dello stesso importo e quindi una contribuzione importante, anche se per forza di cose diluita in qualche anno, alla crescita della ricchezza del paese; significa anche in parte una contribuzione sotto il profilo fiscale (non tutti i fornitori saranno aruzzesi) come iva, irpef e irpeg.
Bah, la cosa che più addolora non è tanto vedere una maggioranza che appare come un gigante con i piedi di argilla, quanto una popolazione che rischia - per puro gioco di potere - di trovarsi nelle stesse situazioni in cui si trovano altre popolazioni colpite nl passato dal terremoto.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e

Anonimo ha detto...

Perche non:)