domenica, dicembre 09, 2007

EVOLUZIONI (E INVOLUZIONI) DELLA SINISTRA ITALIANA

Partendo per semplicità di analisi storica dal 18 aprile 1948 la sinistra italiana, costituita da Pci e Psi, ha patito per molti anni per una posizione politica che pur forte per ruolo politico, per iscritti e riscontri elettorali, le precludeva la possibilità, comunque, di competere per il governo del paese; le era consentito, in buona sostanza, soltanto il governo amministrativo locale, ove ne avesse la capacità politica ed elettorale per poterlo fare (regioni rosse).

Sul piano politico sia Pci che Psi erano partiti sostanzialmente classisti, ma pur rappresentando una buona fetta della classe operaia non la rappresentavano comunque totalmente poichè anche il principale partito di governo, la Dc, ne rappresentava una parte di tutto rispetto; inoltre anche altri partiti, più interclassisti, avevano riferimenti in questa grande classe che rappresentava, nel mondo economico e sociale, oltre il 70% del lavoro dipendente ed il 50% di tutto il mondo del lavoro.

Dal 1948 la sinistra italiana ha ricominciato ad accumulare consensi crescenti sino a che nel 1963 sorse il primo governo di centrosinistra, dove la Dc cominciò a governare con coalizioni alle quali partecipò soltanto il Psi; il Pci continuò il suo ruolo di opposizione pur contando su un riscontro elettorale di tutto rispetto (circa un quinto), ma escluso comunque da qualsiasi possibilità di creare alleanze che gli permettessero di alternarsi alla maggioranza di allora, che come oggi, presentava un folto gruppo di partiti.

Il balzo in avanti avvenne con la Segreteria di Enrico Berlinguer che capì la necessità di superare il concetto di partito egemone della classe operaia perché anni di lotte condotte nelle fabbriche non avevano dato adeguati riscontri: in buona sostanza il ruolo egemone del Pci era fuori discussione, ma incrementi determinanti sul piano elettorale, a livello nazionale, non se ne vedevano, ne se sarebbero potuti prevedere.

L'apertura quindi a tutto il mondo del lavoro, anche quello intellettuale (dipendente o autonomo), portò ad un incremento significativo, anzi portò sul piano politico ad una serie di aggregazioni con partiti più piccoli (Psiup) o del rientro (dal Psi) nel partito di molti ex comunisti, usciti nel 1956 con i fatti di Ungheria.

A prescindere che questo cambiamento fosse frutto del nuovo disegno politico costituito dal "compromesso storico", resta il fatto che sin dagli iscritti al Pci, si poteva riscontrare che anche impiegati, intellettuali, artisti, studenti trovavano convergenza sotto la linea politica del partito che alle europee del 1984 raggiunse i massimo storico di consensi elettorali (un terzo).

Il Pci non era più un partito di classe, di lotta e di opposizione, ma si stava trasformando in partito interclassista e con chiare aspirazioni di governo impedite soltanto dalla "convenzio ad escludendum" sostanzialmente imposta dal "patto atlantico" ed dalla divisione in blocchi decisa a Yalta da Usa, Urss e Regno Unito.

La genialità politica di Berlinguer, assecondata dal partito, anche dalle componenti più scettiche, sta proprio in questo: allargare i consensi e su questi innestare l'ideologia marxista che trovava attuazione in una politica che coinvolgesse e rispondesse alle aspettative di più classi sociali e quindi maggior peso politico per l'aggregazione così ottenuta.

Le novità politiche e sociali successive avvenute negli anni a seguire hanno imposto ulteriori evoluzioni del partito: la società economica era sempre meno statica, sempre più dinamica con le grandi fabbriche che diventavano sempre più piccole, la crescita consistente della piccola media industria, la nascita di nuove professioni, arti e mestieri, la tecnologia applicata, l'informatica per cui la società è divenuta sempre più articolata, frastagliata, con la nascita di nuovi bisogni e la morte di altri.

La divisione in blocchi del mondo è scomparsa con la liquefazione dell' Urss per cui anche nella comunità italiana avevano sempre minor peso le ideologie e sempre di più le politiche: le progressiste da un lato e quelle conservatrici dall'altro.

Ed ecco che il Pci (il Psi aveva da tempo imboccato una strada evolutiva più liberista) si prepara ad un altro cambiamento più aderente ai tempi ed accelerato dallo scandalo di "mani pulite" il quale portò alla disgregazione di molti dei partiti storici che avevano governato dal 1948.

Con la svolta della Bolognina nasce il Pds, nasce la sinistra, non più rigorosamente marxista, che si popone di aggregare tutte le componenti progressiste, tutte le classi sociali, e non più e soltanto, quella operaia a tal punto che convergo anche esponenti ed iscritti della sinistra extra parlamentare (operaisti).

Nello stesso tempo però, mentre nasce dal nulla il partito di Berlusconi (forse suggerito da quegli esponenti messi fuori gioco dallo scandalo del 1992), ecco che invece comincia la stagione delle diaspore: i nostalgici della sinistra dura e pura, con mille distinguo se ne escono per formare nuove entità partitiche.

Il percorso ideale ipotizzato nel 1970 (cioè quello che prevedeva la nascita di nuove classi sociali con il ridimensionamento implicito di quella operaia) comincia ad infrangersi perché da un lato si vuol spingere per sviluppare politiche progressiste e di sinistra che coinvolgano le necessità e le aspettative della maggioranza possibile degli italiani, mentre dall'altra, attorno a specifiche strategie emergono linee politiche collaterali (non necessariamente avverse) che cominciano a indebolire e polverizzare non solo lo schieramento di sinistra.

Nel momento storico in cui emergono nuovi soggetti politici che obbiettivamente sono sottovalutati (Fi) o riacquistano vigore e consensi partiti rimasti nell'angolo per decenni (An) ecco che la sinistra non trova di meglio che, sull'onda dei distinguo, scindersi, non essendo in grado di trovare una convergenza che consenta comunque di mantenere le varie identità (anche nel vecchio Pci esistevano le componenti).

La sinistra italiana non si guarda nemmeno intorno ( o se lo fa, lo fa con disinteresse o sufficienza): i partiti comunisti portoghese,francese e spagnolo spariscono, mentre rimontano i partiti socialisti con politiche progressiste e il partito laburista in Gran Bretagna ritorna al governo (pur mantenendo al suo interno anche le componenti trozkiste)e le nuove iniziative come quella della fondazione del Partito Democratico creano nuove scissioni: troppo spostato al centro si dice.

Ma anche qui è forse più la necessità di mantenere la stretta identità con i padri, che la volontà di sviluppare politiche, non progetti, reali ed soddisfacenti.

Parlare quindi di componente di centro nel Pd appare sempre più una scusa che un reale pericolo; nel nuovo partito oltre a quelle ex marxiste o ex comuniste ci sono le componenti cattoliche di sinistra che hanno sempre guardato con occhio benevolo quelle cattoliche comuniste del vecchio Pci; ci sono ex radicali, ex verdi per cui l'identità di sinistra del partito non rischia di essere affievolita.

Pare comunque che questa fase involutiva sia in via di superamento, non certo con il rientro nel nuovo partito dei transfughi (come avvenne durante la segreteria Berlinguer nel Pci), ma con una fase di riaggregazione tra ben quattro partiti di sinistra (il Psi fortemente ridimensionato sembra voler rimanere solitario nella coalizione dei partiti di maggioranza parlamentare).

Affermare che questo evento sia il riconoscimento, implicito, di errori commessi al momento delle diaspore sarebbe ingeneroso, ma è fuor di dubbio che non sta avvenendo per nulla quello che ha preceduto la nascita del Pd: siamo ancora alla fase della confederazione, non alla nascita di un nuovo partito che, compatto, costituisca una entità di sinistra "alternativa".

Sembrerebbe più una operazione di aggregazione in funzione di nuovi e prossimi cambiamenti della legge elettorale, più una operazione con prospettive da utilizzare ai prossimi (imminenti ?) confronti elettorali che il tentativo di verificare convergenze politiche che portino alla fusione ed alla creazione di un programma politico da mettere sul piatto della scena politica italiana.

Certamente il primo innegabile vantaggio sarebbe la semplificazione dello schieramento dei partiti progressisti, ma sono le linee politiche che si possono (tatticamente e strategicamente) realizzare che contano, e soprattutto la rispondenza sul piano elettorale (e quindi di rappresentanza) che si possono conseguire, nonchè - e non ultima - la stretta correlazione con le esigenze dei vari settori della società italiana .

I veti ideologici sono, sembra, caduti definitivamente; tutto sta ora in chi ha più filo per tessere la migliore tela dello sviluppo economico e sociale del paese.

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