domenica, dicembre 18, 2005

Da Michele Sindona a Giampiero Fiorani, passando per Guido Calvi

DA MICHELE SINDONA A GIAMPIERO FIORANI PASSANDO PER GUIDO CALVI

I recenti avvenimenti che hanno coinvolto il management recentemente dimessosi della Banca Popolare di Lodi, ora Banca Popolare Italiana e sottoposto a regime restrittivo in questi giorni da parte della magistratura, fanno drammaticamente emergere eventi avvenuti negli ultimi 35 anni, eventi che purtroppo non ci hanno insegnato nulla e, per di più, che questi non sono per nulla dissimili da altri, come per esempio il caso Parmalat, dove sono venute chiaramente a galla, oltre che le responsabilità oggettive dei vari attori, le incapacità del sistema a creare controlli veramente adeguati e tempestivi.
E' bene comunque esser chiari su una premessa: in un sistema economico di libero mercato debbono essere chiare le regole di comportamento e altrettanto chiare le regole di controllo da parte delle istituzioni nelle loro diverse formule; non si tratta assolutamente di concepire un sistema per così dire "in libertà vigilata" bensì un sistema ben organizzato, ben delimitato e con pesi e contrappesi che precorra l'orientamento del mercato perchè questo rende il mercato stesso trasparente e soprattutto contribuisce a generare principi etici, a cui gli operatori possono o meglio debbono ispirarsi.
Questo concetto va visto ovviamente in continua evoluzione, perchè illimitate sono le combinazioni che liberamente si posso generare nel mercato, ma è certo che se non vi è preventiva analisi dell'evoluzione del mercato e conseguenti misure di controllo, il risultato è che possono sorgere disastri come quello che stiamo vivendo in questi giorni, nei quali si possono inserire altri fenomeni di malcostume o di azioni occulte che alterano i rapporti sociali ed economici di una collettività.
Nei primi anni settanta scoppiò lo scandalo della Banca Unione e della Banca Privata Finanziaria di Michele Sindona e pensavamo tutti che fosse un brutto evento, una mela marcia, che purtroppo dovevamo mettere in conto come se fosse un fattore puramente statistico; allora, peraltro, il sistema bancario aveva strumenti di controllo molto rigidi vigendo il principio che era consentito solo ciò che era previsto ed era vietato pertanto tutto il resto.
Ma ciò non di meno accadde questa brutta storia che fini tragicamente per alcuni attori come lo stesso Sindona ed il curatore della procedura Dr. Ambrosoli.
Dieci anni dopo accadde lo scandalo del Banco Ambrosiano di Guido Calvi ed anche qui, superata la bufera, tutti pensammo che quel brutto episodio, culminato con lo strano suicidio dello stesso Calvi, fosse un evento eccezionale che aveva superato le maglie del controllo da parte di Bankitalia.
Oggi siamo di nuovo daccapo: le regole che pur esistono, poggiano su principi più liberistici, ma non sono state in grado ne di prevenire ne di reprimere un evento che ci ricorda molto il passato.
Ci sono istituzioni di controllo come la Consob che affiancano, per le società quotate in borsa, l'Istituto di vigilanza, ma ciò nonostante, come nel caso di aziende industriali soggette a procedure concorsuali, si sono potuti commettere reati come l'aggiottaggio, l'inside trading,ed altri ancora, senza colpo ferire.
E' evidente che qualche cosa non ha funzionato nelle nuove regole che hanno liberalizzato il settore bancario; è vero che la spinta alla liberalizzazione del sistema bancario ha prodotto certamente maggior competitività, maggior aggregazione, nuove regole per così dire ex post come l'accordo di Basilea sui criteri di erogazione del credito, ma accanto a gruppi bancari come ImiSanpaolo, Intesa, Unicredit e Montepaschi, dove le nuove opportunità hanno generato la nascita e la crescita di aziende sempre più solide e proiettate sul mercato internazionale, si sono sviluppati gruppi dimostratisi fasulli come quello di Bpi.
Le istituzioni di controllo avrebbero dovuto essere più attente sulla crescita del sistema bancario italiano perchè non è possibile domandarsi ora come mai uno a scelta dei gruppi su indicati abbia impiegato quasi un decennio per aggregarsi e soprattutto integrarsi, mentre altri sono invece "esplosi" in pochissimi anni.
Qui non si tratta di dire che nel primo caso il management era lento e vecchio, mentre nell'altro era più vispo e rampante: la realtà dimostra che l 'etica professionale del primo prevaleva sul suo operato, mentre nell'altro vigeva la regola del crescere a qualunque costo, eludendo le regole di una sana e accorta gestione.
Quel che è ancor peggio poi, è costituito dalla rete di connivenze, di protezioni e di favoritismi che si sono sviluppate, più o meno, alla luce del sole, per cui tanti sapevano, ma vi era il chiaro interesse personale affinché tutto fosse sopito o addirittura insabbiato.
Anche in questo caso non si è certo trattato di seguire o consigliare i modi e tempi di crescita di una iniziativa bancaria da parte delle istituzioni, bensì favorire azioni che poggiavano sulle sabbie mobili ed erano comunque poste in essere per generare valore solo per gli attori.
Un primo elemento che ha indebolito il sistema bancario nella fase della liberalizzazione è quello di non aver posto particolare attenzione sul controllo tra i soci rilevanti di un gruppo bancario e le ragioni di credito che questo può avere nei confronti degli stessi; un tempo era impedito da parte dell'imprenditoria industriale partecipare in modo significativo a banche, ora con la leberalizzazione ciò è possibile, ma non vi è alcun controllo né da parte dell'istituto di vigilanza né da parte di Consob sugli impegni che questa classe di soci ha nei confronti della banca stessa, o di altre banche.
Il risultato è quindi demandato alla correttezza ed onestà dei singoli, ma se tra questi alcuni soggetti intendono approfittare della mancanza di controllo, ponendo in essere operazioni azzardate con il sostegno di banche e banchieri compiacenti, ecco che nascono gli scandali, neppure tanto sbandierati, come per esempio la scalata estiva alla Rcs.
Ora un grande banchiere come l’attuale direttore generale di Bpi, Divo Gronchi, deve sbrogliare un bel papocchio costituito dall’utilizzo di una linea di credito, garantita totalmente da azioni che nel frattempo sono scese di prezzo: bella operazione bancaria questa, nella quale il cliente non sborsa un euro, addossando tutto il rischio alla banca.
Inoltre di operazioni di questo tipo ce ne sono diverse per cui quella citata è la più evidente ma non l’unica; abbiamo infatti saputo di concessioni dello stesso tipo per importi più contenuti cocessi a destra e a manca, concessioni di credito a banchieri di altri gruppi bancario/assicurativi, ma il giudizio non può essere che negativo .
Basterebbe applicare la vecchia regola che vigeva per le bance popolari le quali avevano l'obbligo di "incrociare" gli impegni dei clienti con l'eventuale detenzione di quote azionarie: oggi si parla molto di conflitto di interessi,ad ogni piè sospinto, ma in questo caso la regola sembrerebbe non esistere nel modo più assoluto.
Un secondo elemento è costituito dal fatto che molte banche di alto livello come quelle sopra descritte hanno introdotto, nelle proprie regole di governo, quella della valutazione del "clente a rischio rilevante" ovvero "grandi operazioni finanziarie" riconducibili ad un unico soggetto economico per cui la segmentazione, nell'analisi del rischio, fa emergere le eventuali anomalie e rischiosità, per cui eventuali connivenze o valutazioni per così dire pilotate non sono possibili perchè dovrebbe interessare tutta la filiera di governo, dalla filiale al Consiglio d'Amministrazione.
Nel caso invece oggetto dell'attuale scandalo, sembrerebbe che i criteri di governo sono simili a quelli di una bottega a conduzione famigliare, ma applicati ad una azienda con migliaia di dipendenti ed oltre mille punti vendita, per cui le regole dettate dal trattato di Basilea, visto che c'è ancora tempo, potranno entrare in vigore in più in là possibile. .
Un terzo elemento riguarda le partecipazioni off shore che fanno capo sia all'impresa bancaria che alla sua clientela: le prime, se proprio debbono esistere, vanno accuratamente analizzate dalle istituzioni di controllo per la determinazione del reale patrimonio netto e dove non vi è chiarezza i valori relativi vanno senz'altro cassati; per le seconde dovrebbe valere da parte della banca l'obbligo alla valutazione complessiva del "cliente a rischio rilevante" come detto in precedenza.
Dagli eventi di questi giorni non sembrerebbe che questo esista o sia effettivamente efficace, perchè stanno emergendo fatti ed atti del tutto simili a quelli degli scandali Sindona e Calvi.
Si pensava che il "back to back" inventato e scoperto nel Gruppo Ferruzzi non fosse più possibile, ma la realtà dimostra proprio il contrario e quel che è peggio che non si è fatto nulla perché ciò possa ancora accadere.
A questo punto ben si comprende che simili falle si verificarono un tempo e si sono verificate nel recente passato lasciando il ragionevole dubbio, se non si pongono in essere efficienti rimedi, che ciò possa in modo del tutto incidentale accadere in futuro.
Abbiamo per un certo verso modernizzato, o cerchiamo di modernizzare il sistema economico depenalizzando il falso in bilancio, o scrivendo le regole con la Legge sul risparmio ( anche se stiamo impiegando una legislatura per vararla), di contrappesi non se ne vede l'ombra, o per lo meno non si vedono azioni efficienti che producano risultati altamente soddisfacenti.
Negli Usa, lo scandalo Erron, produsse in soli 6 mesi nuove e più ferree regole che impedissero scandali futuri, noi invece abbiamo prodotto sempre cambiamenti a metà, prestando il fianco, non so a questo punto quanto inconsapevolmente, ad atti che hanno consentito scorrettezze e ruberie non di poco conto.
Riguardo alla depenalizzazione del falso in bilancio abbiamo creato una norma con intenti liberistici, ma
nella realtà si è creato un mostro che potrà consentire altri scandali; in sostanza la nuova norma sostiene la non procedibilità nel caso di falsi in bilancio, qualora questi non ledano i diritti i terzi ai quali è fatto l’obbligo di farsi parte attiva nella denuncia, pena la decadenza del reato stesso.
Questa è una aberrazione perché in qualsiasi società, quotata e non, i terzi che potrebbero essere lesi dal falso in bilancio sono: i dipendenti, i fornitori, le banche, lo stato, gli istituti previdenziali, e i soci di minoranza; l’unico caso in cui sarebbe veramente applicabile e quello della società a socio unico che non ha assolutamente nemmeno un debito nemmeno nei confronti dei dipendenti, dell’erario e degli enti previdenziali !
Per quanto riguarda poi la legge sul risparmio che appare sempre più una tela di Penelope, occorre essere estremamente chiari riguardo, in particolare, alle nuove regole di governo che si vorrebbero introdurre in Banca d’Italia; occorre premettere che la mancanza di scadenza dell’incarico dato al Governatore risale agli anni 20 dello scorso secolo, dopo lo scandalo della Banca Romana, per sancire la sua assoluta autonomia, che non poté essere scalfita da nessuno, nemmeno dal Duce.
La realtà ha dimostrato che questa formula ha sempre funzionato per l’alto senso di responsabilità di chi si è avvicendato nell’incarico e nel caso in cui vi fu qualche problema il Governatore del momento rassegnò le dimissioni a velocità inaudita: ricordo quelle del Professor Paolo Baffi che si dimise perché uno scandalo coinvolse, di striscio, il responsabile della Vigilanza Sarcinelli, coinvolgimento che poi si rivelò infondato; questi grandi manager però non ci pensarono un momento a togliere il disturbo, per non creare imbarazzo oltre che a sé alle istituzioni.
Ora invece sono mesi che l’attuale Governatore viene attaccato da destra e da sinistra, apprendiamo che è indagato, da mesi, dalla magistratura e nulla accade, nessuno riesce a trovare la strada per metterlo alla porta; lo stesso continua per la sua strada, dimostrando di non avere l’onestà intellettuale di farsi da parte, indifferente all’imbarazzo che crea al l’Italia nel consesso internazionale.
Ebbene, trasformare l’incarico del Governatore a scadenza, deve assolutamente ribadire la sua piena autonomia, magari introducendo organi collegiali che consentano il controllo reciproco.
Questo modus operandi ha infine, ma non ultimo, favorito la caduta del livello etico del management bancario, che opera spesso con deprecabile disinvoltura, scambiandosi talvolta favori del tutto interessati, e punta esclusivamente al risultato immediato, senza preoccuparsi minimamente dei risultati successivi.
Buona regola invece di qualsiasi manager, bancario e non, è quello di agire con correttezza per generare, con la sua opera, valore nel tempo, limitandosi a beneficiare di quanto il suo status ed i suoi risultati riusciranno a produrre, trattandosi sempre, a tutti i livelli, di somme di tutto rispetto, proprio erogate affinché non nascano strane idee.
Già le stock options (molto meno le stock granting) infatti si possono prestare a manovre eccessivamente interessate (lo si è visto in più di qualche frangente), ma se a queste si aggiungono desideri di malversazione, penso proprio che qualsiasi impresa debba fare a meno di uomini di questo genere.
lucio.sorge@lsfs.biz

1 commento:

Anonimo ha detto...
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